mercoledì 31 dicembre 2008

Il corredo

Maria si sposa e ha preparato il corredo. Sua madre invita i vicini a visitare l’esposizione. Io sono una improvvisata vicina.
Tutto molto prezioso, costoso e sfarzosamente esposto in una stanza per consentire a chi entra di ammirare quanto preparato per i futuri sposi. Guardo e mi rimane impresso nella mente e nei ricordi il set per il letto: due coperte in pura lana vergine, il piumone matrimoniale in vera piuma d’oca, il piumone di scorta perché può sempre servire e la trapunta quadrata per i piedi che da sola costa un milione di vecchie lire: splendida quanto inutile.
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Ecco sono trascorsi nove anni da quando ho visitato il primo corredo, quello di Maria ed è stata anche l'ultima volta.
Per un’ora la madre di Maria non ha fatto altro che descrivermi entusiasta ogni singolo oggetto, ha esposto in cerca di elogi i “suoi” acquisti per la figlia sottolineando il sacrificio economico e la necessità o meglio l’obbligo di dover sostenere tali spese. Io ho ascoltato in silenzio, o quasi, e mi sono limitata ad apprezzare educatamente ma avrei voluto fare alcune domande: “Dove metterete tutte queste cose, molte delle quali completamente inutili? Quando mai userà tutto questo? Perché esibire il tutto ad un pubblico di curiosi in visita con il solo scopo di commentare e spettegolare nel caso in cui il corredo non venga apprezzato?”.
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Io il corredo non l’ho preparato: non il corredo, alias dote, che si usava ai tempi di mia nonna intendo. Non avrei avuto lo spazio e non ne vedevo la necessità. Però ho una parure di lenzuola in lino ereditate dalla stessa nonna rimaste intatte per due generazioni e ora abitualmente usate nel letto di casa mia. Mia nonna non c'è più ma penso che sarebbe contenta di sapere che il suo prezioso lino ricamato a mano ha finalmente raggiunto lo scopo per il quale era stato tanto amorevolmente lavorato quasi un secolo fa e vi assicuro che viene apprezzato ogni notte estiva e invernale per la sua freschezza.
"I tempi cambiano e non si dà più importanza a nulla!" direbbe qualcuno.
I tempi cambiano e forse oggi si guarda un po’ di più all’essenziale e un po’ meno alla forma in tanti aspetti della vita e poi le case moderne non hanno spazio per i bauli che profumano di lavanda, non la mia almeno.

martedì 30 dicembre 2008

Post di servizio

Ieri mattina è venuta a trovarci una cugina di Antonio. Ci siamo viste quasi sull’uscio: lei entrava e io uscivo per andare al lavoro. Il tempo di un caffè e quattro chiacchiere.
“Sai ho letto il tuo blog?”
“Davvero e come l’hai saputo?”
“Me l’ha detto Antonio. Ho letto qualche articolo, mi è piaciuto molto quello in cui descrivi come vi siete conosciuti, ho riso tanto. Ho letto anche quello sui nomi, molto realistico.”
“A dire il vero quel post ha sollevato parecchia polemica anche se non era mia intenzione provocare o insultare qualcuno.”
“Secondo me hai fatto bene a scegliere i nomi dei tuoi figli, però a volte si rovinano i rapporti famigliari e in quel caso è meglio lasciare perdere. Non tutti condividono. Conosco un signore che aveva chiesto sul letto di morte che il suo nome venisse lasciato ad almeno un nipote, in quel caso non hai scelta.”
"Dipende, è sempre una "scelta"."
Ecco io ho scritto un post come tanti altri in cui ho descritto una tradizione non mia, alcuni fatti e ho sollevato dissenso e disappunto. I blog servono anche a questo: non tutti per fortuna o purtroppo abbiamo le stesse idee.
Probabilmente scriverò altri articoli sulle diverse tradizioni che ci sono nella terra in cui sono nata e in quella in cui è nato mio marito: una terra che adoro per alcuni aspetti e che non amo per altri.
Saranno articoli scritti con gli occhi di chi osserva usanze, abitudini, tradizioni diverse dalle proprie e che non avranno, come non l’hanno avuto, alcun intento offensivo o invettivo.
Ecco mi farà molto piacere se qualcuno commenterà quei post, sperando che vengano letti e commentati per quello che c'è scritto.

lunedì 29 dicembre 2008

Il lettone

Qualcuno tanti anni fa ha inventato il "lettone" alias letto matrimoniale.
Ho dormito per anni nel lettone dei miei, unica consolazione nei giorni di malattia.
Sì perchè a casa mia funzionava così: se non stavi bene, se avevi la febbre alta, qualche malattia infettiva o qualsiasi altro malessere che ti costringesse a letto per giorni, guadagnavi il diritto di dormire nel lettone. Mio padre finiva nel letto del figlio ammalato che prendeva il suo posto giorno e notte accanto alla mamma. Questa soluzione a noi piaceva, a volte ne approfittavamo anche per piccoli insignificanti malanni e spesso in tali casi senza lo sfratto di papà. Ma il lettone dei miei era davvero grande, da buon falegname mio padre aveva pensato a tutto e nel suo letto si dormiva tranquillamente anche in tre.

Il nostro è un normale letto a due piazze, misura standard, ma da un po' di tempo è diventato meta ambita di Marco e Luca.
Si sveglia Marco, si avvicina al letto e chiede di entrare, si corica nel mezzo sopra le coperte e poi inizia a muoversi fino a raggiungere la sua posizione preferita: testa sul cuscino di mamma e piedi su quello di papà. Quando si addormenta lo trasporto di nuovo nel suo letto.
Si sveglia Luca, lo porto nel lettone accanto a me e dopo qualche abbraccio è di nuovo nel suo letto, addormentato.
A volte la combinazione subisce varianti e ci svegliamo in quattro nel lettone: due adulti ai lati esterni e due microbi con braccia e gambe spalancate ad occupare l'intera piazza.
Non succede sempre ma si fa, si può fare e senza grossi traumi per nessuno.

Ci sono notti però in cui la convivenza diventa difficile, impossibile.
Antonio: "Spegni la lampada che non riprendo il sonno!"
"Con la luce spenta si lamentano, tra qualche minuto dormono."
"Mamma il latte"
"Dormi!"
"Mamma voglio il latte!"
"Ok ma stai zitto che svegli tuo fratello."
"Dormi ora!"
"Luca che c'è vuoi un po' di acqua? Non stai bene?"

"Kn Kn Knu."
"Tieni un po' di acqua."
"...........Antonio vai a prendere un body e un pigiama per Luca per favore che ha rimesso tutto addosso a me a lui."

Si dorme.
Due ore più tradi.
"Rena svegliati Marco si è fatto la pipì addosso, addosso a lui e a me!"
Antonio si cambia e Marco infastidito per l'accaduto inzia ad urlare.
"Calmati non è successo nulla, cambia il piagiama e torna a dormire."
"Maaaaaaaaamaaaaaaaa, maaaaaaaaamaaaaaaaa, maaaaaaaaamaaaaaaaa!"
"Marco svegliamo tutti i vicini smettila! Ho già tolto le lenzuola, sdraiati e dormi!"
Ci addormentiamo tutti in un letto senza lenzuola, sotto il piumone. Per terra sparsi ci sono quattro pigiama e la biancheria intima delle medesime persone, due "vomitati" e due "pisciati", lenzuola, coprimaterasso e copricuscini bagnati, due bicchieri quasi vuoti, un pannolino usato e il fazzoletto di zio Giò.
E' l'alba.
"Mamma perchè il fazzoletto di zio Giò è bagnato? Chi è stato? Luca l'hai ciucciato tu?"
"Marco ti sei fatto la pipì addosso, adesso lo laviamo e poi lo riprendi."
"Non è vero è stato Luca!"
"Luca ha vomitato sul suo non sul tuo."
"Voglio un altro fazzoletto di ziiiiiiiiooo!"

Si ricomincia.

sabato 27 dicembre 2008

I musicanti di Natale

Sotto l'albero di Natale sono ancora ammassati tutti i giochi che Babbo Natale ha portato. Quest'anno il caro buon vecchietto ha pensato che ogni festa ben organizzata deve essere allietata da un po' di musica e così davanti a me vedo un tamburo e un tamburello, una trombetta, le maracas, una pianola con suonerie incorporate, una chitarra super accessoriata e due bonghi trasformer che suonano in autonomia musiche ritmate. T‎utti strumenti utilissimi che sommati al tamburello sardo, allo xilobao e ai tanti giocattoli sonori che già abbiamo, trasformeranno la nostra casa in una armoniosa orchestra. Ad aiutare gli improvvisati musicanti, il buon vecchietto ha portato anche il karaoke con tanto di lettore cd per le basi.

Forse Babbo Natale ha fatto un po' di confusione. Gli avevamo detto che avremmo trascorso la notte di Natale dai nonni, solo quella notte! Non era un trasloco!!!!!
A casa dei nonni il duo avrebbe modo di suonare senza disturbare e indisturbato, avvolto dal silenzio della campagna; avrebbe uno spazio dedicato in cui esercitarsi e passare da un suono stonato e sgraziato alla padronanza del pentagramma. Nei nostri settancinque metriquadrati scarsi, no.

Qualsiasi altra richiesta correttiva inoltrata a Babbo Natale lascerebbe scoperti i prossimi dodici mesi e la buona vecchietta che dovrebbe arrivare tra qualche giorno porta solo calze piene di dolciumi; non ci resta che acquistare un biglietto della lotteria di capo d'anno sperando di essere molto fortunati.
Potremo così acquistare un nuovo appartamento e allestire una stanza insonorizzata.
Si accettano altri consigli e suggerimenti!

venerdì 26 dicembre 2008

Sarà vero?

La notte scorsa Marco era troppo eccitato per riuscire a dormire: di tanto in tanto si affacciava alla finestra in cerca della luce rossa nella speranza di scorgere le renne e Babbo Natale. Poi in preda al dubbio di non ricevere nulla, è andato a nanna.
Luca già dormiva e noi speravamo di fare lo stesso.
Ci sbagliavamo.
Luca si è svegliato quasi subito gridando e ha continuato ad urlare a lungo: forse il vaccino fatto la mattina, forse i dentini che stanno spuntando, forse il virus intestinale che ha colpito di nuovo, di fatto sì è addormentato stremato dopo due ore di sofferenza per lui e per me che non sapevo come aiutarlo. Siamo tornati a letto e di nuovo grida di dolore.
Ecco quest'anno la notte di Natale, nota come notte Santa, una notte carica di speranza, di attesa, di veglia; di Santo non ha avuto nulla.
Ecco quest'anno io e Luca abbiamo vegliato fino all'alba ma con mia profonda delusione non abbiamo visto nemmeno il mitico vecchietto.
Inizio a pensare che qualcuno mi abbia preso in giro per anni.
Però il mattino sotto l'abero qualcosa c'era!

mercoledì 24 dicembre 2008

Buon Natale

“Tanto tanto tempo fa, in Finlandia nacque una piccola renna con un nasino rosso. Tutte le renne del villaggio la derivano per quel suo buffo naso e la piccola renna era sempre triste. Solo la sua mamma le voleva tanto bene e cercava di consolarla ma a volte anche il suo amore non era sufficiente e la piccola renna crebbe triste e sola. Qualche anno dopo in una notte buia e nevosa la piccola renna si accorse che il suo nasino era diventato luminoso come una lampada accesa: un'altra ingiustizia del destino, un’altra sofferenza per la nostra amica.
Quella stessa notte, passò la fatina della neve che sentì il pianto triste della piccola renna provenire dal villaggio e decise di portarla con sè al Polo Nord. Babbo Natale si stava preparando per la grande notte, ma era in difficoltà perché da giorni il tempo era pessimo e non sarebbe stato facile consegnare i regali a tutti i bambini; quando vide il nasino della piccola amica si rincuorò e pensò di metterla davanti alla slitta: il suo nasino avrebbe illuminato la via.
Quella notte tutti gli abitanti del villaggio videro una luce in cielo e riconobbero la renna che avevano tanto deriso e criticato. Ancora oggi, la piccola renna ormai cresciuta guida la slitta di Babbo Natale e se restate a guardare davanti alla finestra la potrete vedere anche voi!”

Come molti sapranno la favola della Piccola Renna non l’ho inventato io e fino a pochi giorni fa non la conoscevo nemmeno. E’ una favola che hanno raccontato all’asilo di Marco, che gli è molto piaciuta e che abbiamo letto più volte visto che è riportata su un libro che ha ricevuto per Natale.
E’ una favola triste con un lieto fine come molte delle favole per bambini. Chissà poi perché la maggior parte delle fiabe nascono con l’intento di suscitare lacrime e compassione, forse perché anche la vita è un po’ così.
La vita ci regala spesso momenti tristi, delusioni, stanchezza, cedimenti ma se guardiamo dentro il nostro cuore di adulti scopriamo che almeno un motivo c’è per ritrovare il sorriso, a volte può essere un motivo semi nascosto ma c’è. Essere tristi non aiuta e allora il mio augurio di Natale è solo questo: un po’ di ottimismo e la certezza che la vita torna sempre a sorridere se siamo ancora disposti a lasciarci amare.
Buon Natale a tutti e non dimenticate di guardare in cielo questa notte!

martedì 23 dicembre 2008

Nebbia in Val Padana

Ieri doveva venire a trovarmi il mio responsabile con Z., una collega.
Al di là delle mie lamentele di mamma lavoratrice, il mio responsabile è una persona gentile. Quando mi ha detto: "Che ne pensi se veniamo a trovarti?" mi ha stupito ma mi ha fatto molto piacere.
Il programma prevedeva la partenza da Roma con il volo delle otto in modo da avere tutta la mattina per noi. Visto che non c'era più posto, partenza posticipata alle nove.
Dopo tre ore in trepidante attesa, gli ho mandato un messaggio sul cellulare.

La nebbia in Val Padana è ormai un ricordo di altri tempi, almeno in quel di Milano. Raramente capita di uscire di casa avvolti in una coltre biancastra.
Ieri nebbia su Linate, atterraggio a Malpensa e trenino per Milano.
Ci restavano due ore scarse per terminare una procedura e impostare il nuovo lavoro, ma due ore trascorrono in fretta, troppo in fretta e sul nuovo lavoro è rimasta molta nebbia.
Fortunatamente abbiamo da poco superato il solstizio di inverno: le giornate si allungano, aumenta la luce, la nebbia si dirada e anche in Val Padana ritornerà il sole.

Ho sempre pensato che le cose accadono perché devono accadere, perchè capita, perché non si può prevedere e pianificare tutto, perché gli imprevisti sono all’ordine del giorno, però casualmente ieri mi è capitato di leggere l'oroscopo:
“In questa giornata qualcuno vi presterà particolari attenzioni e voi dovrete essere tanto intelligenti da captare il perché di tanto interessamento. A volte avrete difficoltà a rapportarvi con gli altri. La variabilità nel cielo vi terrà sospeso come un filo."
Giuro che l'oroscopo di ieri non me lo sono inventata!

lunedì 22 dicembre 2008

Posso dormire da te questa sera?

Si sono conosciuti due anni fa su una spiaggia toscana.
Lei solare e luminosa come il sole d'agosto, spiritosa e giocherellona. Lui, il mio Marco.
Per Giovanna è stato amore a prima vista. Marco la guardava incuriosito, cedeva di tanto in tanto ai suoi regali, alle sue lusinghe ma diceva sempre "NO!". Lei faceva di tutto per piacergli e incurante di un amore apparentemente non corrisposto si è prostrata ai suoi piedi, ha giocato con le formine insieme a lui, ha assaggiato per giorni la pizza e gli spaghetti che Marco preparava sulla spiaggia, ha ascoltato musica dalla stessa radiolina cedendogli uno dei suoi auricolari. L'ha invitato a cena e una sera anche alla Baby Dance.
Il caso ha voluto che Giovanna abitasse poco distante da noi e così Marco ha avuto modo di conoscerla meglio.
Per un anno intero l'ha tenuta sulle spine, a volte la illudeva, altre volte ritornava a ripeterle "NO!" con il tatto e la delicatezza di un brontosauro; ma Giovanna è una tipa tosta e mai, nemmeno per un momento, ha rinunciato al suo piccolo grande amore.
Poi è arrivato Luca: coccolone, tenerone, sempre sorridente. Giovanna si è affezionata a Luca ma era solo un amico; lei voleva un uomo sicuro e deciso e infondo sperava ancora che quei "NO!" nascondessero altri sentimenti, molto più profondi. E così ha aspettato pazientemente, con quella pazienza che solo l'amore di una donna conosce.
Venerdì sera la svolta.
Mentre Giovanna accarezzava e abbracciava Luca, Marco le ha chiesto: "Posso dormire da te questa sera?"

Cara Giovanna, sei semplicemente unica, non c'è da stupirsi se gli occhi di Andrea si illuminano quando ti guarda e sono certa che quella luce brilla da più di trent'anni con la stessa intensità.

Grazie ad entrambi per la bellissima serata!

sabato 20 dicembre 2008

Obama o Stoner

Obama ha vinto le elezioni. Marco ogni volta che sente nominare il nome del prossimo imminente presidente degli Stati Uniti, ripete esultante il suo nome. Ovviamete Antonio, orgoglioso di questo fatto, sfoggia tra parenti e conoscenti l'euforia del figlio nei confronti di un uomo che spera, anzi speriamo, migliori l'economia, la politica, la democrazia mondiale.

Ecco inizia il Tg.
Marco:"O-ba-ma, O-ba-ma, O-ba-ma!"
Marco: "A me mi piace di più Casey Stoner."

Come? Casey Stoner? Che centra? Come puoi confondere l'uomo planetario con il tuo motociclista preferito (sì perchè Valentino è stato ceduto al fratello e lui ora incarna i panni di Casey)?
Interviene Antonio aiutando Marco a ripassare gli insegnamenti dell'ultimo mese e riprendiamo a cenare.

Antonio: "Tra un mese Obama va ad abitare alla casa Bianca..."
Marco:" E Casey Stoner dove va ad abitare?"

Agli occhi di Marco: Obama è solo un nome, Casey un mito!

venerdì 19 dicembre 2008

Le parole che non dice

Nella scatola del didò abbiamo alcune formine di animali e ieri mentre cercavamo di costruire una variopinta fattoria, Luca mi ha proprio sorpreso.
“Luca vuoi l’asinello giallo?”
“Knu, knu, knu!”
Mentre ripeteva il suo solito, unico e intraducibile monosillabo, Luca indicava insistentemente il presepe dietro di noi.
Un po’ stupita ho provato con il bue e le pecore e la scenetta si è ripetuta. Ho constatato che associa perfettamente ogni animale al nome corretto e così per tanti altri oggetti.

Luca è un bambino vispo e spesso alzo il tono della voce anche con lui: “Luca, lascia lo scopettino del cesso! La lamp dance no! Le palline dell’albero di Natale devono rimanere sull’albero!”.
Sempre, di fronte ad ogni rimprovero, mi guarda con aria dubbiosa, mi sorride e riprende il suo lavoro e se cerco di allontanarlo dal luogo del delitto si lamenta e ritorna più ostinato e determinato di prima.
Altro che potere delle parole! Associavo lo scarsissimo vocabolario ad una ancora limitata capacità di comprendere e alla sua età e invece capisce bene, molto bene ed è bravissimo nel prendermi in giro.

Caro Luca, forse l’ars oratoria non ti appartiene e non ti apparterrà mai o forse è solo questione di tempo. Io aspetto curiosa di scoprire il tuo mondo, quel mondo che per ora è solo tuo e del quale ci concedi solo alcuni assaggi. Sei un furbetto e lo vedo dai tuoi piccoli dolcissimi occhietti marroni e dalle fossette delle tue guance quando mi sorridi divertito sminuendo i miei rimproveri. Caro Luca, tuo fratello usa l’arte della seduzione e il fascino delle parole per ottenere ciò che vuole: "Mamma come sei bella oggi! Mamma perché devi andare dal parrucchiere sei già bellissima! Mamma come sei elegante!"; caro Luca, tu mi hai dimostrato di non averne bisogno.

giovedì 18 dicembre 2008

Ti presento i miei

Presentare i miei ad Antonio non è stata impresa semplice.
Perchè? Non ho ancora capito il vero motivo, di sicuro era un cocktail di elementi che partivano dalle sue esperienze e approdavano ai miei racconti.

La mia famiglia è una famiglia brianzola come tante e chi abita da quelle parti sa che il termine “terrone” è ancora in uso anche se oggi non viene associato ad una valenza negativa, non sempre almeno.
Il termine ha origini storiche ma è negli anni sessanta, con le prime ondate migratorie dal Sud al Nord Italia, che diventa di uso popolare: identificava gli immigrati in modo dispregiativo ed era volutamente ingiurioso e offensivo.
Se ci pensate non è così strano. Quasi sempre nel passato e oggi, in Italia e fuori, lo straniero è visto con sospetto, diffidenza, ostilità. Perché? Perché è difficile accogliere a braccia aperte chi ci porta via il lavoro quando già il lavoro è scarso o manca, perché probabilmente chi arriva ha tradizioni e usanze diverse e ci vuole tempo per capire e condividere.
Come dicevo, oggi poche persone utilizzano il termine "terrone" con lo stesso significato di un tempo: è rimasto nella mentalità di qualche vecchio e nella ignoranza di alcuni giovani. Non si può negare però che sia ancora diffuso e può succedere di incappare nella parola.

Per farla breve mio padre, al secondo posto dopo il convento e in tempi non sospetti, avrebbe preferito un marito brianzolo per sua figlia.

Arriviamo a casa mia. Mio padre ci viene incontro.
“Ciao Gianfranco!”
“Ciao!”

Tutto bene no? NOOOOOOOOO!
Accidenti con Antonio avevo parlato ma non con mio padre! Non gli avevo detto che al paese di Antonio si usa il “tu” con tutti e il “ciao” è una forma di saluto universale. Al mio paese "ciao" non è un saluto qualunque, è sinonimo di confidenza, di amicizia e se lo usi con qualcuno che ti viene presentato per la prima volta, soprattutto se quel qualcuno è molto più grande di te, vieni considerato un maleducato. Ovviamente il "tu" e il "ciao" vanno di pari passo. Mio padre ha usato il “Lei” con sua suocera fino all’ultimo giorno e gli ho sempre sentito dire "Buongiorno sciura Martina! Sciura Martina la stia setada giò!" ("Buongiorno signora Martina, stia seduta! nel senso di non si stanchi!"), benché vivesse con noi da anni. Sentirsi dire “ciao” nella sua testa coincideva con mancanza di rispetto e io l’ho letto nei suoi occhi. Ma fortunatamente non ha detto nulla e Antonio non si è accorto di nulla.

Mi ero preoccupata di tante cose, volevo che tutto andasse bene e non avevo considerato che al di là delle tradizioni e delle usanze alla fine avevo di fronte due persone che mi amavano e che avrebbero messo me prima di tutti i pregiudizi, le abitudini o qualsiasi altra sfumatura fuori luogo.

mercoledì 17 dicembre 2008

La festa di "Gesù Bambino"

"A Natale si festeggia il compleanno di Gesù Bambino."
"E allora andiamo alla festa?"
"Gesù Bambino è in cielo non organizza una festa. Festeggiamo con i nonni, gli zii."
"E ma in cielo non c'è la torta con le candeline?"
"Beh no, però Gesù Bambino è tanto buono e ha detto a Babbo Natale di portare i regali a tutti i bambini bravi."
"A allora purrre a me, perchè io sono bravo!"
"Allora io voglio un gatto, un asino e un cavallo di peluches e anche un tamburo."
"E a Luca?"
"Cosa credi a Luca gli va bene solo un tavolo da lavoro nero e se non lo trova piange."
"E se non trovi tu i regali che hai chiesto?"
"Se non li trovo...."
Marco strizza gli occhi nell'atto di compiere uno sforzo, contorce il labbro in una smorfia, un misto di riflessione e ricerca interiore. Si guarda in giro e osserva i tanti giocattoli sparsi in cerca di una ispirazione.
"Se non li trovo mi va bene una moto grandissima di Casey Stoner."
"Come un'altra moto di Casey Stoner! Marco avete due moto di Casey, due di Valentino, tre di Pedrosa. Tra te e tuo fratello avete più moto che al concessionario sotto casa e vuoi un'altra moto di Casey Stoner?"
"E si perchééé Babbo Natale è rosso e porta la moto rossa!"

Ormai il Natale si avvicina. Marco ha la camera talmente piena di giochi che non sa nemmeno cosa desiderare e questo non mi piace. Non voglio che impari che tutto quello che vuole lo può avere sempre e subito o, come spesso accade, che non c'è nemmeno bisogno di desiderare, perchè c'è sempre qualcuno che anticipa i suoi desideri realizzandoli. O forse è ancora troppo piccolo per capire e va bene anche così.
Però un aspetto positivo in tutto questo c'è: Babbo Natale per quest'anno sarà libero di scegliere e sicuro di non sbagliare!

martedì 16 dicembre 2008

Ho detto "sì"


Domenica ho incontrato L.
L. era la mia migliore amica. Poi la vita ha allontanato le nostre strade. Ci vediamo raramente ora ma quando accade c’è un sorriso e un velo di nostalgia. Ci accomunano i ricordi più che la vita presente perché a volte si scopre di non avere molto in comune con le persone un tempo importanti nella nostra vita: crescendo maturi altri interessi, altre idee.
L. mi ha detto che si sposa la prossima estate. Mentre lo diceva era radiosa, felice e desiderosa di iniziare questa nuova esperienza di vita. I suoi occhi luminosi, riflettevano la sua gioia.

Da piccola ero affascinata dai matrimoni e dagli abiti che indossavano le spose e il sabato mattina d’estate partecipavo a quasi tutte le cerimonie della chiesa vicino a casa, non mi interessava la funzione in sé ma l’abito bianco. Sognavo anche io di indossare un giorno quell’abito, un abito elegante e prezioso.
Mi sono sposata poco prima dei ventisette anni. Desideravo ancora quell’abito, forse non più bianco, ma un abito chiaro, lungo, un abito che doveva in qualche modo tradurre la favola.
Però quando Antonio ed io abbiamo deciso di sposarci avevamo idee molto diverse sulla cerimonia: io avrei voluto la classica cerimonia religiosa, quella stessa che mi faceva sognare da bambina; lui, agnostico come si autodefinisce, voleva un matrimonio civile. Alla fine come spesso accade nella vita, siamo arrivati ad un compromesso.
La sera prima del matrimonio: i parenti di Antonio stipati con lui nel nostro bilocale, i miei futuri suoceri ed io a casa dei miei genitori, gli amici altamurani nel camper parcheggiato nel cortile di casa. Un camper fornito di ogni comfort e di ogni genere alimentare: ho trascorso con loro la serata prima delle nozze mangiando pasta fresca con funghi cardoncelli preparata dalla madre di Domenico.
La mattina mentre ero ancora dal parrucchiere vengo raggiunta dal fotografo e amico, poi la corsa a casa già invasa dai parenti.
Arriva Antonio, in casa non c’è più una stanza libera, si cambia sul camper.
Io chiusa nella camera di mio fratello aspetto, perché un minimo di tradizione andava rispettata.
Ok posso uscire.
“Non ti cambi?”
“Sono già vestita.”
“Come?”
“Si mi sposo così.”
Indossavo un semplicissimo abito rosso.
Eccoci, sono già tutti seduti. Mio padre mi accompagna. E’ emozionato.
Io improvvisamente inizio a tremare. Le gambe sembravano cedere e quei venti metri erano interminabili e pensavo di non farcela. Davanti a me il mio futuro marito, l’uomo con il quale già vivevo e non aveva senso tremare non sarebbe cambiato nulla; al mio fianco mio padre. Felice? Non so lo. Di sicuro più sereno perché a lui quella convivenza non piaceva, l’aveva accettata ma era troppo lontana dal suo mondo.
La cerimonia procede, io sono serena, rilassata.
Tocca a me devo dire sì, solo sì. Nemmeno la raucedine è capace di farmi tacere e in quel momento la voce si blocca in gola, forse nessuno se n’è accorto ma l’emozione mi ha reso difficile pronunciare quelle due sillabe.
Perché alla fine anche se non è la cerimonia dei tuoi sogni di bambina, hai accanto l’uomo che ami, tutto il resto non conta più e ti emozioni. Puoi lasciare spazio ai tuoi sentimenti più intimi, è il tuo giorno e tutto ti è concesso: la fragilità, le lacrime, la paura, la gioia, il riso.
E’ stata una bella giornata di festa, una giornata vissuta senza aspettative perché non volevo restare delusa e che non mi ha delusa affatto.

Tra pochi mesi anche L. farà il grande passo. Ha scelto una chiesa semplice e sobria e sarà una sposa radiosa come lo era domenica mentre parlava del suo ragazzo.
Cosa augurare ad una amica? Solo tanto amore, perché il matrimonio non è solo un bel giorno, un giorno "indimenticabile".
E’ un sì che si ripete ogni giorno, un sì spesso difficile che va difeso e protetto, ma se accanto hai un uomo in cui credi e che crede in te anche i giorni difficili diventano in fretta ricordi lontani.

lunedì 15 dicembre 2008

La neve

L’altra mattina siamo usciti molto presto Marco ed io.
Alla fermata del tram c’eravamo solo noi, intorno una Milano imbiancata e silenziosa. Una Milano irreale, da cartolina, quasi magica. Il lampione davanti a noi illuminava i copiosi fiocchi di neve che scendevano quasi danzando in una atmosfera rara, natalizia.

Ero in prima media e avevo una professoressa di italiano severa che aveva la capacità di rapire un pubblico indisciplinato di studenti e di far sedimentare i suoi insegnamenti in un qualche cassetto della mente. La rivedo mentre zoppicava fingendo di appoggiarsi al bastone imitando i verbi transitivi che hanno bisogno del complemento oggetto (il bastone) per reggersi e mentre tornava saltellante su due gambe quando passava ai verbi intransitivi. Una volta mentre viveva la rappresentazione di un complemento è inciampata urtando un banco e trasformando un complemento di moto a luogo in uno stato in luogo "figurato".
La professoressa P., perché non potevi chiamarla prof., mi ha fatto amare l’analisi grammaticale e l’analisi logica e ancora oggi quando incontro sulla metro ragazzi in crisi sui vari "complementi" non riesco a trattenermi e intervengo.
Cosa centra la professoressa P. con la neve?
La professoressa P. era una insegnante come poche, una donna carismatica e forte, una donna sicura di sé, progressista e femminista. Aveva tre figli che adorava ma prima di tutto aveva un lavoro che amava e da difendere con i denti perché una donna deve anche lavorare, deve essere rispettata nella società e senza un lavoro non c’è rispetto, c’è abnegazione e sottomissione al marito. Questo suo pensiero che non condivido pienamente, la portava ad alienare da lei ogni sogno, ogni fantasia.
La mattina di Natale di quell’anno ci siamo alzati con la neve, caduta abbondante e improvvisa durante la notte. L’unico modo per muoversi era camminare, così con la mia famiglia siamo andati a messa e poi dai nonni sempre camminando sulla neve. Io ero felicissima e guardavo estasiata un paesaggio immacolato e luminoso, guardavo con gli occhi di una bambina romantica e sognatrice quello spettacolo della natura. E avevo pensato di descrivere nel tema delle vacanze proprio quella mattinata e i sentimenti che aveva suscitato in me.
La professoressa P. ha pensato di leggere il mio tema in classe, a voce alta, e di dirmi di non scrivere più simili stupidaggini, di essere concreta e meno sognatrice e che lei altri temi così non li voleva più vedere. Io a scuola ero brava e non abituata ai rimproveri, ma ero anche piuttosto timida e mi sentivo umiliata.
Mi sono sentita piccola piccola e per lei ho dovuto scrivere senza sentimento, ma non ero io e quegli otto non mi appartenevano.

L'altra mattina sotto la neve ho vissuto con mio figlio dentro un quadro raro e insieme abbiamo assaporato la magia di quei momenti. La professoressa P. con quel rimprovero aveva solo sospeso una parte di me, non era riuscita a cambiarla.

Due ore dopo era tutto finito: neve sporca, marciapiedi impraticabili, traffico caotico e rallentato. La città si era svegliata.

sabato 13 dicembre 2008

Amore fraterno

"Marco lascia stare l'albero!"
Sono quattro anni che Marco vede lo stesso albero di Natale e fino ad oggi non aveva mai cercato di utilizzarlo tutto o in parte per giocare. Questa sera ancora euforico per la visita di G. e S. ha pensato bene di lanciare per la stanza le palline più piccole, quelle rosse. Abbastanza normale a dire il vero per un bimbo di tre anni, normale era anche il mio tentativo di impedirglielo spiegando quello che già sapeva.
Quello che non mi aspettavo, era la reazione di Luca.
"Marco no! Lascia stare l'albero!"
Luca inizia a camminare verso Marco, deciso a raggiungere il fratello nonostante i tanti giochi sparsi a terra e il suo precario equilibrio. Eccolo, si inginocchia vicino a lui e mentre io rimprovero Marco, Luca mi guarda con aria di sfida e:"te te te te te te, knu knu knu...".

Piccolo rospino insolente, amore mio, che hai occhi solo per la tua mamma e "Mamma" è la sola parola che sai dire, unica eccezione al tuo linguaggio monosillabico, al tuo solito "knu". Mi hai illuso fino ad oggi ed io pensavo di essere l'eletta, degna di affetto, di considerazione; l'unica che avresti protetto e difeso contro tutto e tutti. Ecco questa sera mi hai tradito schierandoti dalla parte di tuo fratello.
Mi hai stupito ma mi sei piaciuto.
Caro Luca avrei voluto avere una telecamera accesa questa sera per poter mostrare a papà e a te, tra qualche anno, la tua reazione. Vedo la complicità crescere di giorno in giorno e mi convinco sempre più che tu e Marco vi vorrete bene, vi amerete e vi difenderete sempre. State scoprendo un affetto reciproco fatto di baruffe e spintoni ma anche di carezze, risate e complicità. State scoprendo di essere fratelli.

venerdì 12 dicembre 2008

Un bacio "in" bocca

Spesso Marco ci parla dei suo compagni della scuola d'infanzia.
Ci parla dei suoi amici, dei giochi che fanno insieme, di R. che gli dà gli schiaffi, di E. sempre premuroso con lui e con il quale fa tanti giochi, di V.M. che gli regala disegni ma non vuole i suoi perché dice che sono brutti.
Ogni giorno ascolto quello che mi racconta e cerco di consolarlo, incoraggiarlo, educarlo senza forzature, cerco di insegnargli a farsi rispettare senza essere violento.
A volte non è semplice, è un bambino intelligente, vuole capire e non accetta risposte approssimative e superficiali:
“Perché mamma tu mi dici che i miei disegni sono belli e V.M. mi dice che fanno schifo?”
“Io glielo dicio alla maestra ma lei non fa niente.”
“R. mi da i pugni, io gli dico che è monello ma lui continua e mi dice "bip bip"”.

Oggi era la volta di G..
G. è una bella bambina di quattro anni, una bambina spigliata e molto socievole.
"Lo sai mamma che G. bacia tutti in bocca?"
"Davvero e bacia anche te?"
"No mamma perchè non voglio. Mamma tu li vuoi i baci di G.?"
"Marco non la conosco e io non sono una bimba, lei bacia i bimbi perchè è affettuosa."
"Ma mamma si che la conosci te l'ho presentata io."
"Va bene, allora domani le do un bacio grande grande."
"Mamma mi dai un bacio in bocca?"
"Ma ti do sempre tanti baci sulla bocca, vieni qui!"
Marco mi si para davanti a bocca spalancata come se fosse di fronte ad un dentista.
"Marco chiudi la bocca che ti do un bacione!"
"Ma mamma G. bacia con la bocca aperta!"
Qualche minuto dopo Marco inizia a rincorrere Luca.
"Luca lo vuoi un bacio in bocca?"
"Knu" la solita risposta monosillabo di Luca.
Marco lo afferra e spalanca la bocca per baciare il fratello che prontamente allunga la lingua e gli lecca mezza faccia.
Mi aspettavo la solita reazione schifiltosa e invece Marco si diverte e Luca ancora di più forse stupito dalla insolita disponibilità del fratello e la scenetta si ripete più volte tra le risate di entrambi.

Caro Marco, ieri sera ti abbiamo ascoltato divertiti io e papà mentre ci raccontavi con estrema spontaneità dei vani tentativi di baciarti della tua amica G..
Papà rideva tra sè perchè aveva assistito alla simpatica scenetta e aveva osservato il tuo sprezzante rifiuto accompagnato da un altrettanto sprezzante"che schifo!". Anche io ero contenta perchè i baci sulla bocca li vuoi solo da me, perchè la tua mamma non ti fa schifo, non sempre almeno.
Tra qualche anno, spero molti, non reagirai più così di fronte ai tentativi di una amica di baciarti, capirai che il bacio "alla francese" della tua precoce amica G. non fa poi così schifo e ti accorgerai che con una “amica” si può avere una intimità ancora maggiore.
Mi auguro che quando succederà non avrai vergogna di raccontarlo alla tua mamma e ti confiderai ancora con me con la spontaneità di oggi. Non importa se non ascolterai i miei consigli, a me farà sempre piacere condividere le tue esperienze e la tua vita.

giovedì 11 dicembre 2008

Per colpa di una macchina pazza

Ieri mattina ero seduta sul tram con Marco. Eravamo al capolinea e aspettavamo che partisse.
Marco si lamentava, il viso bagnato dalla neve e dalle lacrime, aveva da poco fatto il prelievo del sangue e aveva sentito più male del solito. Effettivamente l’infermiera, arrivata con un ritardo di trentacinque minuti causa neve, era molto brusca nei modi, un po’ stile Rottermaier e Marco aveva iniziato a piangere ancora prima di realizzare pienamente che non dovevamo solo parlare.
Accanto a noi si è seduta una ragazzina. Sembrava molto giovane, una bambina d'aspetto e nelle espressioni; si è subito messa a parlare in modo spontaneo e simpatico.
Le abbiamo raccontato del prelievo e della infermiera monella che aveva fatto tanto male a Marco e della macchina pazza che ci aveva spruzzato le gambe di acqua sfrecciando davanti a noi ad alta velocità.
Lei con viso sereno ci ha raccontato che aveva perso due gemelli al settimo mese di gravidanza per colpa di un'auto che non l’aveva vista mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali. Ci ha raccontato che aveva sofferto di depressione per un intero anno e che per tutto quel periodo ogni volta che vedeva un bambino piccolo iniziava a star male e si comportava come una pazza. Da qualche mese stava meglio. Mi ha chiesto quanti anni pensavo avesse ed effettivamente quei dieci anni in più rispetto a quello che io credevo non li dimostrava proprio.
"Non ti scoraggiare, vedrai che quando ti sentirai pronta potrai affrontare un nuova gravidanza e andrà tutto bene!” le dico.
Non aveva finito il suo racconto: il padre dei bambini aveva pensato di lasciarla subito dopo l’incidente, proprio quando aveva più bisogno di lui.

Di solito un fatto è per me spunto di riflessione, di analisi, di commento. Oggi non so cosa dire.

mercoledì 10 dicembre 2008

Nome per un figlio

Tempo fa ho incontrato una signora in un negozio di articoli per l'infanzia e come mia abitudine ho iniziato a parlare con lei. Quando le ho chiesto il nome del suo bambino si è sentita a disagio e prima di rispondere, svelando quei due nomi mal assortiti e piuttosto lunghi, mi ha spiegato il perchè della "scelta". Non aveva potuto e voluto disonorare il marito e il suocero dicendo che a lei proprio quei nomi non piacevano.
Un anno più tardi in circostanze diverse ho incontrato la stessa signora ma non l'ho riconosciuta subito. Poi la crudele domanda: lo stesso imbarazzo, la stessa spiegazione, lo stesso nome: "Achille Salvatore".
Al di là della simpatia per la signora che sfogava la sua frustrazione raccontando l'origine del nome di suo figlio a perfetti estranei: assurdo era l'imbarazzo e assurdo il movente. Per non parlare del bambino che avrebbe iniziato ad avvertire ben presto il disagio della madre nei confronti del suo nome.

Quell'episodio, quel doppio episodio, mi ricordava qualcosa avvenuto anni prima.

Eravamo a pranzo dai miei futuri suoceri. Io e Antonio ci saremmo sposati di lì a poco, dopo un anno di convivenza e poco più di conoscenza. Fino ad allora avevo visto due o tre volte la sua famiglia e conoscevo poco il contesto in cui vivevano, le abitudini, le tradizioni locali.
Le voci si sovrapponevano e spesso il dialetto aveva il sopravvento: d
i sicuro io stavo parlando di matrimonio, qualcuno sembrava parlare del fatto che io fossi in attesa. Il perchè le due informazioni stessero procedendo parallelamente non mi era chiaro allora e mi risulta poco comprensibile e accettabile anche oggi. Ma è andata così.

"Allora arriva Pietro!"
"Chi è Pietro? Scusa ma stiamo aspettando qualcun altro?" chiedo.
"Puoi anche dirlo che sei in cinta, tanto prima o poi si vede?"
"Io veramente non sono in attesa ma anche se fosse, mio figlio non si chiamerebbe Pietro."
Tu pensi di avere detto una cosa come un'altra. Non sei in attesa, non hai mai pensato al nome da dare ad un eventuale figlio, ma sai che Pietro non è un nome che sceglieresti. A te piace Andrea, Davide, Stefano, Marco, non Pietro e lo dici.
Improvvisamente il gelo. Mia suocera se ne va in cucina e non apre più bocca e mio suocero rimane visibilmente amareggiato, ma da signore quale è, non commenta.
"Ma che ho detto? Scusa Antonio ma cosa ho detto di sbagliato?"
Interviene il mio futuro cognato che ama fare battute:"Perchè non vuoi chiamare Pietro tuo figlio? Offenderesti il nonno? Daresti un dolore così a tua suocera?"
Il tutto era così lontano dal mio modo di pensare e la situazione sembrava talmente ridicola che non capivo dove finiva lo scherzo e dove iniziava ad essere seria.
"Non voglio offendere nessuno, non sono in attesa di nessun bimbo ma di certo quando succederà non chiamerò mio figlio Pietro."

Se già la famiglia di tuo marito ha una opinione "bassa" di te, hai detto una delle poche cose che poteva contribuire ad azzerare il tuo punteggio.

Ad Altamura, il paese di mio marito, è tradizione che una coppia non decida il nome dei figli in base a gusti, preferenze o a qualsiasi motivo possa appartenere alla coppia in sè; ad Altamura i figli ereditano oltre che una parte del patrimonio genetico anche il nome dei nonni paterni prima e materni poi. Per accontentare tutti dovresti avere la fortuna di mia suocera: due figli maschi e due figlie femmine. Questa tradizione è talmente radicata che non puoi pensare di discutere su questo tema, nè con i "vecchi", nè con i giovani. Anche i nostri amici hanno rispettato questa usanza e nessuno penso l'abbia seguita contro voglia perchè quando nasci e cresci in un posto anche le tradizioni sono parte di te, del tuo vissuto e tutto diventa normale, scontato, ovvio direi.
Per me però non era normale, era "strano", una forzatura senza senso: il nome di mio figlio doveva prima di tutto piacermi.

Anni dopo, molto anni dopo per la verità, in attesa lo ero davvero e qualcuno ha sperato fino all'ultimo che scherzassi, che non osassi fare un simile oltraggio alla famiglia. Qualcuno ha persino detto a mio marito che con un nome diverso mio figlio non sarebbe stato uguale agli altri nipoti. Quel qualcuno non sapeva di essere in vivavoce.
Mio figlio, il mio primo figlio si chiama Marco perchè a me e a mio marito piaceva quel nome e perchè l'amore o il rispetto per le persone non si vede solo dal nome che porti.
Quindici mesi dopo ero di nuovo in attesa. Io e Antonio abbiamo proposto a Marco tre nomi e lui ha scelto Luca.

martedì 9 dicembre 2008

Sorelle

Lu ed io siamo sorelle.
Siamo piuttosto magre ma lei di più, siamo abbastanza alte ma io di più, abbiamo entrambe ereditato più geni paterni che materni tranne poche eccezioni.
Io ho i capelli di mamma: dritti, spinosi, sottili e mosci; lei i capelli di papà: mossi, morbidi, grossi e voluminosi. Vista la natura ribelle della mia testa da anni ho adottato un taglio corto, ho abbandonato colore, colpi di sole, tono su tono che su un capello corto si vedono poco e costano molto. Un taglio comodo da gestire e da portare, un taglio che mi piace.
Lu invece ha i capelli lunghi, potrebbe lavarli e lasciarli asciugare da soli e sarebbero perfetti, ma non abbastanza per lei. I capelli a volte vanno stirati, a volte è bello cambiare colore, in alcuni periodi la frangia sta bene, in altri periodi è meglio scalare. Inutile dire che a Lu non piacciono i miei tagli, inutile dire che non piacerebbero nemmeno a me se avessi capelli come i suoi.
Lu e io abbiamo gusti diversi. Lu detesta viaggiare con i mezzi pubblici e forse per questo non si è mai voluta allontanare troppo da casa: ha studiato e poi trovato un lavoro vicino e il suo ragazzo abita poco distante da lei.
Io viaggio comodamente su treni e metrò, a volte lamento la mancanza di pulizia ma sopporto: dal liceo in poi ho studiato lontano da casa, ho trovato un lavoro a sessanta km di distanza e un marito all’estremo opposto della diagonale che congiunge il nord con il sud dell’Italia.
Lu passa spesso i sabato pomeriggio per negozi alla ricerca di qualche abito carino, io facevo lo stesso poi le ho lasciato l’appalto: "Se trovi qualcosa che mi può piacere, compera!"
Lu non parla quasi mai di lei. E’ un libro chiuso, di sicuro lo è per me. Io...nooooo questa ve la risparmio!
Siamo sorelle sì ma siamo diverse.
Forse non avrei scelto Lu come amica e forse lei non avrebbe scelto me. Una sorella non la scegli, una sorella è un dono che qualcun'altro ti ha fatto e che non vuoi o puoi rifiutare. E allora non importa se ci vediamo poco, se al telefono non sappiamo quasi cosa raccontarci, se i nostri pensieri, i nostri desideri e le nostre stesse vite seguono strade diverse: so che lei c'è e c'è stata sempre.
Io non sono stata altrettanto presente, una volta Lu mi ha detto "Quando succedeva qualcosa tu non c'eri mai.". E' vero, me ne sono andata presto di casa e anche quando vivevamo insieme, ero spesso lontana. A volte vorrei recuperare il tempo, parlare, spiegare, capire ma non è semplice e forse non è nemmeno necessario perchè in fondo il legame che ci unisce rende superflue le parole. Siamo solo e sempre sorelle.

sabato 6 dicembre 2008

Intervista alla redazione_dicembre

"Ci rivediamo"
“E’ un piacere.”
"Come procede il blog?"
“Direi bene: qualche lettore affezionato, qualche nuovo arrivo, non molti per la verità ma direi bene.”
“Ho visto che sulla sua pagina di facebook pubblica quasi quotidianamente il link del post del giorno.”
“Beh sì, diciamo che sto cercando di superare la timidezza e di farmi un po’ di pubblicità usando i canali che conosco. Qualche amico poi mi sta aiutando con il "passa parola". E poi c'è sempre mio marito, pensi che aveva pensato di tappezzare Milano di cartelloni pubblicitari e preparare biglietti da visita del blog ma la mia riservatezza non mi consente ancora di arrivare a tanto. Aveva anche pensato ad uno spot tipo "Natale Sky".
“A Natale regala Pasquale?”
“Sì quello, e lo slogan: Renata per Natale un regalo che vale!"
“Carino!"
“Sì, se avessi deciso di mettermi in proprio sulla strada sotto casa poteva essere uno slogan accettabile, e poi il blog non si chiama Renata.”
“Beh insomma parla sempre di lei.”
“Sì è vero parlo di me: di me mamma, di me donna, di me e il lavoro, parlo del mio mondo e guarda caso molte altre persone vivono le stesse mie esperienze. Quello che fa la differenza sono le sfumature non i fatti ecco perché il blog lascia spazio ai commenti.”
“Quindi pensa di continuare a scrivere ancora?”
“Per ora mi diverto, mi rilasso e quindi direi di sì. E poi sa come è, ho pagato dieci dollari per registrare il dominio e sono pur sempre brianzola!
“In che senso?"
“Non mi dica che non conosce il detto su ebrei, genovesi e brianzoli? Insomma i brianzoli sono in cima alla classifica dei “braccini”!”
“Per usare le sue parole, non è brianzola sul tempo. Dove trova il tempo per scrivere con un lavoro anche se part time , due figli, un marito, le faccende domestiche?”
“A volte scrivo di notte mentre tutti dormono, a volte il mattino presto, a volte dove capita: se mi viene in mente qualcosa che poi posso sviluppare, mi segno due righe sulla carta. Ultimamente anche qualche commento mi ha offerto spunti per altri post. E poi avrà notato che non tutti gli articoli hanno lo stesso spessore per cui il tempo che dedico agli scritti non è sempre lo stesso.”
“C'è qualche articolo che si pente di avere scritto?”
“ Si uno e l'ho cancellato."
“ Perché?"
“Perché a volte quando sono arrabbiata non controllo le parole e non era giusto prendermela con altri per una insoddisfazione che era solo mia!”
“L’articolo che più la rappresenta, quello che le è piaciuto di più?”
“Io girerei la domanda ai lettori del blog, mi piacerebbe davvero saperlo così per curiosità. Da parte mia non ho dubbi: "la nascita di Marco e Luca" e non penso ci sia bisogno di aggiungere il perché.”
“Anche per oggi la lascio libera. Grazie e alla prossima.”
“Grazie a lei.”

venerdì 5 dicembre 2008

Cervello piatto

Piera da tempo non si sente bene e decide di andare dal medico.

“Signora nulla di grave lei ha solo il cervello piatto. Non reagisce, non da segni di vita.” diagnostica il medico.
“Va bene grazie”.
Piera lavora nella stessa azienda da trent’anni ed è prossima alla pensione. Piera ha un buon inquadramento contrattuale e da anni svolge diligentemente il suo monotono lavoro senza creare problemi a nessuno. In passato, un lontano passato per la verità, Piera aveva lottato cercando di opporsi alle ingiuste dequalifiche e ai tentativi più o meno velati di allontanarla dall’ufficio. Poi si è rassegnata e la rassegnazione ha iniziato a permeare la sua vita. Piera difronte alla diagnosi del medico risponde come si è abituata a rispondere da anni senza nemmeno ascoltare cosa le viene detto.
“Signora, signora ha capito? ” chiede il medico.
Qualcosa si risveglia dentro di lei, qualcuno le sta facendo una domanda, forse a quel qualcuno interessa davvero la sua risposta. La sua mente ritorna indietro nel tempo, ai tempi delle gratifiche e della considerazione per lei e per la sua opinione.
“Sì ho capito, ho un cervello piatto. Come sarebbe il suo cervello se negli ultimi vent’anni avesse fatto lavori inutili, senza senso, senza stimoli e se la sua presenza fosse stata solo utile a lei per ritirare un misero stipendio a fine mese?
Lei mi ha raccontato barzellette idiote per rubarmi un sorriso, ha cercato di insultarmi per saggiare la mia reazione, mi ha dato una diagnosi che io già conoscevo. Si ho capito.”

“Signora si goda la sua pensione lei è guarita”.

Mamma vuole arrivare serena alla pensione. Mamma non vuole diventare come Piera, le rimangono una serie di alternative alle quali sta pensando da un po’ e sulle quali probabilmente avrà modo di riflettere ancora per molto tempo:

  • Cercare di reciclarsi in un altro ufficio della stessa azienda sfruttando qualche vecchia conoscenza, all'esterno non conviene e poi un quadro part-time con due figli non lo vuole nessuno.
  • Vivere serenamente la situazione contingente esplorando tutte le opportunità del social networking.
  • Vincere all'enalotto (e iniziare a giocare per rendere la vincita quanto meno possibile).
  • Abbracciare la scrittura e pensare davvero che la sua passione possa diventare qualcosa di più.
  • Cercare il terzo figlio sperando che sia femmina.
  • ????
Ai pochi fedeli lettori di questo blog: cosa scegliereste?

giovedì 4 dicembre 2008

Sono un golosone

Dalla dottoressa S.
"Ciao Marco come stai?"
"Bene"
"Cosa ti piace mangiare?"
"Cavallo e vitello, io sono un golosone!"
"Marco ti fa ancora male il pancino quando devi fare la cacca?"
"No io metto la glicerina però quella con il tappo blu, perchè quella con il tappo bianco non funziona."
"Come si chiama il tuo fratellino?"
"mmmmmmmmm ciao Piccolino!"
"Controlliamo il pancino."
Vista la richiesta ho spogliato Marco che a parte un iniziale no, non ha opposto alcuna resistenza e si è fatto visitare tranquillamente.
"Ciao Marco"
"Ciao".

Chi conosce Marco, sa che è logorroico di natura, chissà da chi avrà preso! Se incontra una persona per la quale nutre simpatia inizia a parlare, a raccontare e a pretendere attenzione.
Chi conosce Marco sa che se una persona non gli piace si zittisce e rimane fermo nel suo silenzio quasi imbronciato.
Chi conosce Marco sa che con gli estranei, soprattutto gli estranei con il camice bianco, è un po' schivo, introverso e soffre di afasia fulminante.
Chi conosce Marco si starà domandando chi era il bambino che ho accompagnato dalla dottoressa S. ieri pomeriggio.
Se vi può consolare, me lo sto domandando anche io.

mercoledì 3 dicembre 2008

Caro Babbo Natale_(bozza)

Visto che il parco è out, il pomeriggio devo sempre cercare di inventare qualche gioco per conciliare le esigenze di un bimbo di tre anni e del fratellino di uno.
“Mamma giochiamo a tombola?”
"Con Luca non riusciamo, vuoi giocare a tombola da solo?"
“No mamma giochiamo con le lettere?”
“Io scrivo sul foglio e tu ricomponi le parole sulla lavagnetta, però giochi seduto al tavolo, ok?"
“No mamma io voglio giocare con te!”
“Allora: pongo? costruzioni? pennarelli?”
“Uffaaaa”

Nella camera di Marco e Luca non c’è più spazio per i vestiti: pavimento e armadi sono pieni di giocattoli più o meno disposti ordinatamente. Potrebbero scegliere quattro diversi giochi ogni giorno e arrivare al venerdì senza aver terminato la scorta. Credete che li utilizzino? Credete che un bellissimo gioco colorato, luminoso e con tanto di effetto sonoro sia preferibile rispetto alle padelle di mamma, alle scatole di mais da far rotolare per la sala?

Si avvicina il Natale e in questo periodo generalmente qualche idea in più la trovo.
"Perchè non prepariamo la lettera per Babbo Natale?"
.
Una lettera per Babbo Natale non è una lettera qualsiasi, occorre creare la giusta atmosfera raccontando qualche aneddoto sul simpatico vecchietto, cercare un foglio, tanti colori per i disegnini da mettere come sfondo, una penna nera e soprattutto preparasi con astuzia alla mediazione. Una mediazione tra un bambino che vorrebbe tutto e per il quale tu dovresti essere solo un’assistente, segretaria, scribacchina e Babbo Natale che tu non conosci e per il quale sei solo una misera analista finanziaria.

“Sfogliamo questo catalogo di giochi. Marco tu cosa vuoi?”
“Voglio, questo, questo e anche questo.”
“Non tutti Marco e poi lascia qualcosa a Luca.”
“Ma mamma a me mi piacciono tutti e poi Luca vuole solo un albero e una macchinina gialla, me lo ha detto lui.”
.
Luca non parla, dice solo “knu” ma con Marco, se e quando serve, ha una facondia da fare invidia a Cicerone.
.
"Allora Marco cosa scriviamo?"
“Caro Babbo Natale sono Marco. Per Natale voglio tutti i giochi che ci sono su questi fogli qui, voglio anche il tavolo da lavoro come quello che ho dalla Nonna Grazia, però lo voglio grigio e da tenere qua (a casa mia). Luca vuole un albero, però vero è, e una macchinina gialla e basta.”
"Marco, ci sono tanti bambini e Babbo Natale deve pensare a tutti, hai già tanti giocattoli, scegline solo uno o due!"
Marco ci pensa e tace. “Mamma ho deciso, non voglio più i giocattoli!”
Lo so di avere un figlio "troppo avanti" come direbbe zio Giò, ma: "Proprio nulla?"
"Mamma non voglio i giocattoli, voglio un cavallo ma vero, con la cresta marrone e le brille e poi lo tengo in camera mia."
“Marco il cavallo con la criniera marrone e le briglie è una bellissima idea ma nella tua cameretta non può stare. Pensa a qualche altro regalo.”
“No mamma voglio solo un cavallo con la cresta marrone e le brille nere!”

Inutile insistere con Marco, meglio provare con Babbo Natale.

“Caro Babbo Natale, ti ricordi di me? Non hai mai letto molto attentamente le mie lettere quando ero piccola, però ero contenta perché anche se confondevi il mio indirizzo con quello di qualche altro bambino, non ti sei mai dimenticato. Io non vorrei che tu illudessi mio figlio, perché crede in te.
Visto che mancano ancora un po’ di giorni al Natale considera questa lettera solo una bozza e aspetta la versione definitiva. Se però anche la bella copia dovesse rimanere tale, vedi di sbagliare indirizzo anche quest’anno, non dovrebbe essere difficile: trascorreremo il Natale dai nonni, nella stessa stanza di quando ero bambina, hai sbagliato strada tante volte, ricordi? Cerca di non impararla proprio quest’anno.
Grazie, tua affezionatissima Renata.”

martedì 2 dicembre 2008

Rinunciare ad un figlio

Ho una amica molto più grande di me, questa amica è già nonna. Durante la mia seconda maternità ci siamo viste spesso e un giorno davanti ad una tazza di tè mi ha raccontato un po' della sua vita.
La mia amica ha avuto dei figli e ad altri ha dovuto rinunciare più di quaranta anni fa.
"Perchè?" le ho chiesto.
"Perchè non ce la facevo, perchè avevo già due bimbi piccoli e non avevo aiuti. Ma ancora oggi io sogno quei bambini, ancora adesso mi sveglio di notte e vedo i loro occhi azzurri che mi cercano. Non si può dimenticare, mai."
"Caspita mi parli di fatti avvenuti più di quaranta anni fa, l'aborto non era nemmeno legale in Italia, immagino la tua sofferenza e la difficoltà di far accettare questa scelta?"
"Ricordo la depressione, i sensi di colpa e i due figli che avevo lì con me e che non potevano soffrire per causa mia. Ne avevo parlato solo in casa e a dire il vero sono stata giudicata soprattutto per l'essere rimasta in attesa più volte e non per come ho risolto il "problema".

Forse non posso capire fino in fondo cosa prova una donna che deve rinunciare ad un figlio per scelta sua o di altri, però so cosa si prova quando si scopre di avere una vita dentro.
Allora perchè una donna decide di abortire?
Perchè è costretta da qualcuno, perchè ha altri figli e uno in più è davvero troppo, perchè è sola e non sa come mantenere lei e suo figlio, perchè è troppo giovane, perchè quel preservativo rotto non ci voleva proprio, perchè non è il momento giusto, perchè il suo lavoro non lo permette...
Ogni donna conosce il suo perchè e quanto più è una sua scelta quanto più sa che sarà difficile superare quel dolore, perdonare se stessa, ritornare a ridere come prima, sarà difficile incontrare un'altra donna in attesa ed essere davvero felice per lei.
Una donna sa che non dimenticherà mai, sa che avrà bisogno di tanto amore per superare, per ritornare a vivere, ma sa anche che la maggior parte delle persone sarà solo pronta a giudicare: è più facile fingere di soffrire per una vita che non nasce che condividere il dolore di una vita ferita da quella mancata nascita.
Il poter scegliere è stata una grande conquista e la scelta dovrebbe rimanere intima, privata perchè frutto di una pluralità di situazioni, casistiche, sfumature. Ma non tutti la pensiamo allo stesso modo e il tema è molto caro a certe fazioni politico-religiose e allora si dibatte, si discute e ogni volta che si ripresenta il caso singolo ecco che la morale comune si erge a giudice e sputa sentenze senza pensare che a vivere tutto questo è un altro essere umano.
E allora, oggi, forse è davvero meglio il silenzio.

La mia amica ha settanta anni ha raggiunto l’età della saggezza e ormai le eventuali critiche sono lontane, il reato è caduto in prescrizione per la coscienza collettiva e diventa facile parlarne davanti ad una tazza di tè.
La mia amica ha settanta anni, avrebbe voluto parlare o forse urlare il suo dolore quaranta anni fa ma allora come oggi era meglio il silenzio.

lunedì 1 dicembre 2008

Parole

Mi piace parlare, scherzare, anche un po' "prendere in giro" a volte ma non amo criticare e mi guarderei bene dal farlo per iscritto magari sapendo che un pubblico potenziale di cinquanta o più persone, che non mi conoscono e non conosco, potrebbe leggere.
Eppure è successo: ho postato il mio commento in un blog , era un commento giusto per dire ti ho letto, mi è piaciuto e invece qualcuno ha proprio preso un abbaglio. Ho cercato di spiegare ammettendo un "mea culpa" dove in realtà la "culpa" non c'era nè nelle intenzioni, nè nelle parole usate ed è stato peggio.
Insomma è bastata una frase forse mal scritta o forse male interpretata per alzare barriere difensive, scritte con classe ed eleganza, ma scritte. Visto che non è mia abitudine cercare lo scontro, ho abbandonato la discussione.

Ammetto che in primo momento ci sono rimasta un po' male, poi mi ha fatto riflettere. Mi son detta se invece di lasciar perdere avessi risposto a tono, se invece di due signori quanto meno educati avessi avuto di fronte due cafoni agguerriti?
Certo che le parole hanno un potere enorme, certo che non c'è da stupirsi se la vita ci regala ogni giorno atti di violenza, razzismo, intolleranza.

Mi fermo qui, non vorrei addentrarmi in un'analisi sociologica "fai da me"; quindici anni fa decisi che Urbino era troppo lontana e con lei la facoltà di sociologia e non è il caso di fare la nostalgica ora.




sabato 29 novembre 2008

Lamp Dance

Vede l'oggetto del desiderio là in fondo alla sala, tra loro solo due metri, una distanza percorribile, la meta è sempre più vicina.
Afferra il palo orgoglioso, si guarda intorno e appena qualcuno lo osserva inizia la sua esibizione. Prima un sorriso, il suo solito sorriso a quattro denti, poi qualche smorfia rumorosa "ah ah ah" ed eccolo: un movimento di bacino e pannolone, una serie di giri, qualche flessione sulle ginocchia tenedosi forte con le mani e poi mentre ride spassosamente a voce alta, flette la testa in dietro e continua a ballare.

Barcolla in autonomia da qualche giorno e già si lancia divertito in esibizioni su due gambe: una simpatica lamp dance.

Se non fosse che il palo ha alla estremità superiore una lampada; se non fosse che la lampada è un ricordo affettivo importante, un regalo di nozze di amici che hanno attraversato in camper l'Italia pur di essere presenti quasi otto anni fa; se non fosse che al valore affettivo andrebbe sommato quello economico della lampada in sè e del lampadario che abbiamo scelto appositamente abbinato; se non fosse che è uno sport un tantino pericoloso; Luca potrebbe continuare la sua esibizione anche ogni sera.

venerdì 28 novembre 2008

Un invito a cena

Viveva in un bilocale a Milano, da solo.
Mi invita a cena e cucina lui.
Se vive da solo, l'appartamento non sarà proprio in perfetto ordine, pensavo tra me e me condizionata dalla mia situazione famigliare in cui mio padre non è capace di cucinarsi un piatto di pasta e mio fratello non ha ancora imparato a portare in bagno gli abiti smessi.
Suono il campanello, apro la porta.
Un intenso odore di olio fritto mi blocca sulla porta. Ma senza dire nulla riesco ad entrare.
“Ti posso aiutare? Non sono una grande cuoca ma se vuoi?”
“No guarda è tutto pronto, dai un’occhiata in giro se ti va.”
In un bilocale fai in fretta a guardarti in giro e in un bilocale fai anche in fretta ad accorgerti che in quella casa tu non ci potresti mai vivere. "Mai dire mai!"
Bagno lungo e stretto, sul vetro della doccia sono appesi tre sacchetti: uno pieno di indumenti intimi bianchi, uno con calze blu e uno con camice dai colori tenui. La luce fa strane ombre sul muro, alzo la testa e vedo uno stendibiancheria da interno da cui pendono panni bagnati.
La cucina è out, vado in camera.
Una grande camera con un balcone vista incrocio, una grande camera con quattro pareti: un letto, sfatto, appoggiato al muro e al lato opposto un armadio a tre ante; una parete che sembra un misto tra un’officina meccanica e una discarica per computer e su quella difronte un grande poster con centinaia di foto sue in compagnia di un bimbo di circa tre anni; nel mezzo della stanza, sparse, tante cose.
Nell’ordine: “Hai un figlio?” e Ci sono stati i ladri oggi?” mi veniva da chiedere.
“E’ pronto!”
Primo piatto: pasta con panna e noci. Un piatto impegnativo per lo stomaco ma direi superlativo per il palato.
Secondo piatto: una grande padella piena di funghi cardoncelli che navigano nel prezioso olio di mamma.
Il resto non lo ricordo, la vista di quell’olio mi aveva bloccato.

Io non uso molto l’olio e in quel periodo forse non lo usavo affatto. L’olio mi riportava indietro nel tempo, mi riportava al periodo dell’infanzia in cui io bimba scheletrica chiamata “biafra” venivo rimpinzata di olio di mandorle e di olio di fegato di merluzzo aromatizzato all’arancia, uno schifo che ancora oggi mi fa venire la nausea alla sola idea. Non amo l’olio e non mangio fritti, non che sia una salutista, semplicemente non mi piacciono.

Ora è la prima volta che un tipo che hai conosciuto sulla 50 ti invita a casa sua, ha cucinato e a qualcun altro sarebbe piaciuto anche molto e tu fai la schizzinosa? A rischio di vomitare tutto no! Mangio di gusto e apprezzo.
La serata procede, il tipo continuava ad essere interessante bastava chiudere gli occhi e il naso: senza il disordine e senza l’odore di fritto, la serata era davvero ok!
Ci salutiamo e ci risentiamo il giorno successivo: "Che ne dici di vederci per pranzo domenica?"
Io vivevo in famiglia e mica potevo portare a casa un quasi sconosciuto. “Ok, facciamo da te ma questa volta porto tutto io, non ti preoccupare di nulla. Anzi magari vengo un po’ prima così ti aiuto a sistemare un po’, che ne dici?”

NON FATELO MAI! Sono bastate tre frasi dette così per solidarietà, perché hai trovato un modo di fare volontariato, per un senso materno che ti porti dentro e ti ritrovi a pulire da nove anni sempre e solo tu!
E la cucina? Ho vinto l'appalto quasi in esclusiva!

Comunque dopo averlo riordinato in quel bilocale abbiamo vissuto felicemente insieme per quattro anni e ci eravamo così affezionati che avevamo anche provato a comperarlo: per fortuna nostra non lo hanno venduto!

giovedì 27 novembre 2008

Una serata trasgressiva

"Mamma perché ti fai bella? Non metti il pigiama?"
"Marco devo uscire questa sera?"
"Vengo anche io."
"Non puoi amore mio, devo andare con altre mamme ad avvisare Babbo Natale. Non vorrei che si dimenticasse di passare da te e Luca!"
.
L'altra sera per la prima volta dopo tanti anni mi sono presa una serata libera.
Ore venti cena con amiche.
Dopo aver “sfamato” i bimbi e averli preparati per la notte, in quindici minuti mi sono lavata, vestita, truccata e ho anche sistemato le unghie perché dovevo “farmi bella” per la mia serata trasgressiva. Non ho avuto il tempo di fare la ceretta ma per la trasgressione programmata, nessuno se ne sarebbe accorto.
Ero un po’ agitata devo ammetterlo e mi sentivo anche a disagio mentre camminavo verso l’ingresso del locale, mi continuavo a ripetere “Che ci faccio qui?” poi per fortuna vedo C. “Bene non sono la prima!”. Iniziamo a parlare e secondo voi di cosa parlano due mamme che si sentono in colpa per la loro trasgressione? Di tutto quello che può aiutarle a stare peggio, ovvio. La figlia di C. ha la stessa età di Marco, insieme hanno frequentato il vecchio asilo e ora sono alla scuola di infanzia: due scuole diverse ma la stessa antipatia per il nuovo ambiente. Ecco che arriva M. allegra e solare come sempre. Aspettiamo tutte insieme l’altra M. che chiameremo M2, perché è arrivata per seconda e perché è mamma di due bimbi.
B. non è potuta venire e nemmeno T.
Ci siamo tutte allora!
Abbiamo iniziato a chiacchierare. Una serata tranquilla, rilassante e tra un boccone di pizza e il successivo abbiamo parlato di figli, del Natale, del lavoro, dei locali “In” di Milano che ormai nessuna di noi riesce più a frequentare ma sui quali M2 è informatissima grazie ad amici single o senza prole, abbiamo parlato anche del mio blog e ovviamente per farmi pubblicità avevo portato carta e penna: cosa non si fa per la gloria!
Una serata in cui esistevi solo tu e le tue amiche.
Amiche per le quali devo ringraziare il nido del "Cane Fifone" che ci ha fatto incontrare.
Una serata da ripetere più spesso.
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Torno a casa, la chiave non entra, suono. Nessuno.
Dopo un po’ Antonio apre la porta assonnato. Si era appena svegliato. Luca dormiva nel suo letto. Marco era sdraiato sul divano con la faccia tutta rossa che faceva pan dan con le mani e ha aperto gli occhi: “Mamma sei tornata, mi hai detto che tornavi subito, ho sonno.” Un bicchiere di latte e cinque minuti di abbracci e già si era riaddormentato.
"Sono stati bravi?” chiedo.
“Insomma Marco ha passato tutta le serata a tormentarmi perché non c’eri, Luca lo vedi da te cosa ha fatto.”
La scusa di Babbo Natale non era servita. Però alle dieci e venticinque erano insolitamente già tutti addormentati o quasi. Non era stata così traumatica la mia assenza.
Proprio una serata da ripetere.
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PS: un grazie ad Antonio che dopo quasi otto anni di matrimonio è decisamente meno geloso e ha soprattutto capito che una serata tra amiche non è una trasgressione insana e almeno finchè la ceretta non diventa prioritaria, può stare tranquillo!

mercoledì 26 novembre 2008

Facebook

Ieri mattina ho letto un post su un blog che seguo e mi son detta: accidenti mi ha rubato l’idea!
A dire il vero non è una idea originale: tutti ne parlano, molti lo utilizzano e tanti si divertono pure.
Parlo di Facebook. Se mi state leggendo forse sapete di cosa parlo ma spendiamoci due parole.
Come sapete quando sono rientrata in ufficio dopo la maternità avevo poco da fare, ora va un po’ meglio nel senso che ho cercato di applicare il training autogeno imparato durante il corso preparto: allora non era servito a molto, ora un po’ di più.
Dicevo, quando sono rientrata in ufficio e avevo poco da fare mi sono iscritta su Facebook.
Ho aperto la mia paginetta e ho cercato di capire cosa offrisse questo nuovo strumento. Risultato: Facebook è una sintesi di tanti servizi più o meno utili e interessanti che coprono le esigenze di varie fasce d’età. Vi ho incuriosito? No? Allora vediamo un po’.

Ti iscrivi, inserisci i tuoi dati personali compreso il giorno del tuo compleanno e con stupore sei sempre aggiornato e non puoi più dire ai tuoi amici: non sapevo, non ricordavo. Ora c’è facebook che ti aiuta e supporta e ti propone una serie di regali che puoi inoltrare loro per aiutarli ad invecchiare meglio.
Procedi e inserisci le scuole che hai frequentato e con stupore riesci a ritrovare alcuni ex compagni di liceo che non vedevi da decenni. Wow c’è Bruno,Vale, Fede, Lavi, chi l’avrebbe mai detto! Ma non ci sono solo loro, ci sono anche i contatti che hanno fuori facebook e scopri cose che non avresti mai pensato potessero accadere: “Vale ha sposato la tua vecchia "cotta" del liceo! Come è successo? Dove si sono rivisti?” Insomma non è che si può dire tutto!
Poi passi alla sezione foto: puoi mettere tutte le tue foto, quelle dei tuoi bimbi e gli amici possono vederle e commentarle. E’ un po’ come avere dei piccoli album sul web da rivedere ovunque ci sia una rete disponibile.
Scopri anche che c’è una bacheca in cui momento per momento puoi scrivere quello che stai facendo e se sei su facebook la maggior parte delle volte stai “cazzeggiando” ma è bello sapere che non sei la sola, è bello vedere che altri condividono questa tua attività e allora commenti, ti confronti perché il cazzeggio ha tanti aspetti a seconda delle ore in cui lo pratichi, del dove sei.
Quando aumentano gli amici, ecco che aumentano anche le attività. Qualcuno ti manda quiz del tipo: “Che profumo sei? Quale cartone animato sei? Diventa fan di “Bisio”. Una serie di quiz che inizialmente ti sembrano un po’ stupidi e che rifiuti. Poi così per caso ci provi: ok saranno anche stupidi ma in fondo se stai cazzeggiando tutto fa brodo e alla fine ti diverti anche.
Insomma facebook sarà anche solo una moda e come tutte le mode viene accettata o esaltata da alcuni e criticata o demolita da altri, una moda può anche essere solo passeggera ma se un ragazzo di ventiquattro anni è diventato miliardario creando questo sistema un motivo ci sarà e se siete iscritti avete già trovato il vostro motivo.

martedì 25 novembre 2008

Zio Giò

Zio Giò è lo zio preferito di Marco.
Marco ha per lui una venerazione da sempre. Da quando poi abbiamo vissuto un intero mese nella stessa casa, la casa dei nonni, zio Giò è diventato un mito.

Lo zio fa il falegname e lavora nel capannone, alias bottega, sotto casa. Ovviamente la sua presenza durante il giorno era continua: forse questo, forse la capacità di zio di diventare bambino, di fatto si è instaurato un legame speciale tra i due. Sì perchè zio Giò non gioca con un bambino, quando è con Marco diventa un bambino: fa la lotta con i cuscini sul lettone dei nonni; lo fa volare mentre sta sdraiato sopra un guanciale trasformato in nuvola; gli fa fare tuffi sul divano lanciandolo da due metri di altezza; lo coinvolge nella sua passione per la pesca e per Sampei, storico manga della nostra infanzia; gioca con lui alla play station mangiando patatine; guarda le corse di Moto GP e gli insegna i nomi di tutti i corridori e i colori delle rispettive moto; lo porta con sè quando va a trovare Jessica, la fidanzata; una volta l'ha anche portato a prendere un aperitivo con sommo gaudio di Marco.
E poi zio Giò ha una grande moto verde e ogni tanto fa salire Marco a moto spenta, questo fatto da solo è sufficiente a promuovere lo zio quale unico parente degno di considerazione vera, ovviamente dopo mamma e papà.

Zio Giò ha una grande camera in mansarda e questa estate per stare un po' da solo e non essere costretto alla ossessiva presenza di Marco fingeva di uscire e si rifugiava in camera sua.
"Mamma dove è andato zio?"
"E' sceso a lavorare."
"Ma io sento dei rumori, no Mamma c'è! Ehi zio sei tornato, aspetta che vieno da te."
"Marco non puoi sempre importunare lo zio, adesso è al telefono con Jessica."
"No Mamma, zio ha detto che posso andare. Ehi zio, vero che posso venire!"

Non solo, lo zio è l'unica persona per la quale Marco non è MAI occupato a fare altro.
"Mamma mi ha chiamato zio oggi?"
"No Marco, non ancora."
"Allora io sono arrabbiato."
"Mamma posso telefonare a zio?"
"Pronto, si però la maestra non voleva e non mi ha dato i fogli." dice Marco con le lacrime agli occhi.
"Marco ti devi presentare." intervengo.
"Em, pronto zio, sono io Marco. Oggi sono andato all'asilo e ho disegnato, però la maestra non voleva e non mi dava più fogli e allora adesso ti faccio un disegno tutto per te. Per la zia Lu no, solo per te. Hai capito? Zio Giò ieri vengo a trovarti e te lo porto. Va bene? "

L'inizio delle telefonate non è mai chiaro, Marco parte a raccontare senza presentarsi e nel raccontare rivive le stesse emozioni di quando è successo il fatto: così rabbia, pianto, dolore, vengono trasmessi via cavo ancora prima di sapere se dall'altra parte del telefono c'è chi tu pensi ci sia e in tal caso se ha capito chi sei. Ma questa è un'altra storia.

Per concludere: zio Giò potresti evitare di insegnare a Marco rutti e schifezze varie; potresti smettere di ripetergli i jingle delle pubblicità più stupide: "Italiaaaaaaaaa Uno!"; potresti limitare l'euforia per il motociclismo vista la atavica paura di tua sorella per le due ruote; ma infondo zio Giò i miti non sono perfetti!

lunedì 24 novembre 2008

Una serata tranquilla

"Marco esci dal cassetto!"
"Marco si rompe, esci!"
"Luca dove vai! Lascia stare il tonno, non buttare a terra tutto!"
"Lucaaaa! Smettila, guarda che mi arrabbio!"
"Marco non ridere, esci di lì."
"Ok adesso basta!"
"Luca non ci provare sai! Luca guarda la mamma, no ho detto no!"
"Luca la terra deve rimanere nel vaso!"
"Marco fai pipì e poi esci. Lascia qui tuo fratello."
"Marco non hai visto le mani di Luca nel water?"
"Luca, perchè!? Luca guarda che schifo! Fuori di qui tutti e due!"

Cinque minuti di silenzio. Sarà superato il momento di gogliardica euforia?

"Luca non si mangia il didò, apri la bocca! Apri, fa vedere!"
"Marco ma cosa hai fatto? Ma quale granatina, qui è tutto verde!"
"Almeno smettila di urlare, sembri una scimmietta!"
"Se dovete correre, prima raccogliamo i giocattoli!"
"Marco non lo spingere! Cade! Attento!"

Ci sono sere in cui vedi ogni angolo di casa sottosopra, ci sono sere in cui ti domandi "chi te l'ha fatto fare", ci sono sere in cui speri soltanto che le batterie dei tuoi bimbi si scarichino il prima possibile.

Marco e Luca non assumo sostanze stupefacenti, non bevono caffè, the e nemmeno coca cola ad eccezione di qualche rara occasione e sempre senza caffeina, non mangiano cioccolato.
Quindi per chi ha un figlio solo e sta pensando ad un fratellino: sappia che questa è la norma non l'eccezione!
Per chi ha un figlio solo e pensa che questo sia troppo: sappia che non ne farei mai a meno!

sabato 22 novembre 2008

Primi passi

Marco non ha mai gattonato, a sei mesi circa ha iniziato a muoversi su due gambe: stringeva forte il dito della mia mano e si faceva portare dove voleva. Se nessuno lo aiutava se ne stava seduto a terra immobile e richiamava l'attenzione con versi più o meno comprensibili finchè qualcuno interveniva in suo aiuto. Verso i nove mesi i primi passi appoggiato ad oggetti.
I primi giorni al nido sono stati uno stimolo importante: nessuno si spezzava la schiena per accompagnarlo nel suo girovagare e ha iniziato a "darsi una mossa!" Ad una settimana esatta dal giorno del suo primo compleanno ha camminato da solo: ha abbandonato la sedia, ha guardato mamma e papà, ha allargato le braccia ed è venuto verso di noi barcollando e sfoggiando un sorriso orgoglioso. Dopo quel primo slancio sicuro è caduto pochissime volte.

Luca gattona da luglio. Il gattonare è stata una conquista graduale. E' passato da un movimento goffo e a scatti ad una progressiva padronanza dell'uso dei quattro arti. E' rapido e raggiunge sempre la meta che si prefigge. Se ha un appoggio si arrampica impegnandosi con tutto il corpo. Spesso cade, rotola: piange un po' e ci riprova. Nel gattonare è una vera saetta, ma se la cava bene anche nel camminare, non da solo ma appoggiato a mobili, poltrone, sedie. I suoi spostamenti non sono mai fine a se stessi: o deve prendere qualcosa che poi porta con sè stringendo forte o deve scappare ridendo dal fratello.
Poi improvvisamente si è lasciato andare: braccia in alto, un simpatico sorriso orgoglioso, andatura alla Charlie Chaplin e vai: dal mobile al divano, due metri in totale autonomia e ancora e ancora. E' bellissimo guardarlo mentre tutto compiaciuto cerca di raggiungere la meta, a volte perde l'equilibrio ma ha imparato a cadere e a riprendere con la sua andatura più nota, decisamente più sicura e veloce.
E' felice per questa grande conquista e sfoggia sorrisi a quattro denti.

I primi passi di un bimbo sono speciali perchè un po' goffi, buffi, simpatici e unici e perchè è tuo figlio e ti emozioni sempre.

venerdì 21 novembre 2008

Caffè, brioches e ...

Immagina di esserti svegliato molto presto, di esserti lavato, truccato, pettinato e vestito frettolosamente, di avere scambiato due parole con tuo marito in tutta tranquillità senza essere interrotto in continuazione da richieste di attenzioni da parte dei tuoi figli, di essere uscito di casa magari senza nemmeno bere il caffè.
Immagina di avere viaggiato ancora assonnato su tram e metro, di aver letto qualche pagina di un libro qualsiasi lungo il tragitto e di essere sceso dalla metro in orario. Trenta minuti di inizio giornata molto concentrati, tanto concentrati che ancora non sei sicuro di essere sveglio.
Sali la scale, in superficie ci sono tanti bar e ti aspetti di sentire odore di brioches e caffè, perchè sono le sette e trenta, è ora di colazione e hai bisogno di un caffè.
Qualcosa rompe l'equilibrio che ti aveva accompagnato fino a quel momento, non è l'aroma che immaginavi e non è nemmeno il vociare dei tanti studenti che ti scuote e ti riporta alla realtà: è un puzzo fastidioso che ti impregna le narici e che ti sveglia davvero.
Quell'idilliaco viaggio che ti costruisci ogni mattina per evitare di pensare che stai andando in ufficio lasciando a casa una parte di te, viene bruscamente interrotto dall'odore di Pizza.
Adoro la Pizza ma per colazione no!!!

giovedì 20 novembre 2008

Intervista stile iene: figli a confronto

"Parliamo di figli ora. Come si chiama suo figlio, il maggiore?"
"Marco."
"E il suo piccolo?"
"Luca."
"Quanti anni ha Marco?"
"Tre."
"Luca?"
"Uno."
"Di che colore sono gli occhi di Marco?"
"Verde grigio."
E quelli di Luca?"
"Marrone scuro."
"Di che colore sono i capelli di Marco?"
"Biondo scuro."
"Quelli di Luca?"
"Biondo chiaro."
"Quanto è alto Marco?"
"Ottantotto centimetri."
"Luca?"
"Settantadue."
"Cosa mangia più volentieri Marco?"
"Latte, solo latte e miele."
"Luca?"
"Tutto, troppo di tutto."
"Qual è il gioco preferito di Marco?"
"Il computer: la serie didattica di Gcompris."
"Il gioco di Luca?"
"Macchinine, palline e adora rincorrere il fratello."
"Grazie, alla prossima."

"Come?"
"Abbiamo finito per oggi. Perchè non è soddisfatta di questa intervista?"
"Non proprio."
"Nooooo, perché?"
"Perché ho descritto due bambini qualunque non i miei figli."
"Davvero?! Non è stata sincera?"
"Certo che ho risposto sinceramente, ma pensa che un'altra persona avrebbe risposto in modo diverso?"
"E va bene, la accontento. Allora come descriverebbe i suoi figli?"

"Marco ha due occhi grandi, profondi e molto espressivi. Due occhi color verde grigio che ti rapiscono e ti incantano. Due occhi che parlano da soli.
Marco ti seduce con lo sguardo e ti conquista con le parole.
Inizialmente ti osserva con sospetto e diffidenza, ti scruta senza dire nulla. Se non gli piaci con lui hai chiuso, se invadi troppo il suo spazio per te ci saranno solo tanti “NO”. Se non lo convinci diventa pensieroso e aspetta. Se lo conquisti i suoi occhi brillano e quell’aspetto di bimbo determinato e deciso lascia spazio a grandi sorrisi, a risate complici e a lunghe interminabili chiacchierate. Quel piccolo uomo ti lascia invadere la sua sfera di bambino e cerca la tua complicità: allora ti chiede di giocare, colorare, leggere storie, ti racconta e ti stupisce.
Se lo rimproveri ti contesta ma alla fine gli occhi gli si riempiono di lacrime e si nasconde.
E se gli chiedi se gli è piaciuta questa descrizione ti risponde:" Mamma, a me Marco sì!"".

Luca ha due occhi profondi e scuri, due occhi dolci e sorridenti, due occhi che ti avvolgono e ti accettano sempre. Luca ti guarda e ride. Il suo sorriso è una porta aperta verso il suo cuore. Luca ha fiducia di tutto e di tutti e cerca negli altri affetto e protezione. A volte ti guarda stupito e perplesso, non capisce ancora tutto e spesso di fronte ad un tono di voce che non riesce ad interpretare ti fissa "sospeso”, aspetta un tuo cenno e appena le nubi si dissolvono ti regala il suo buffo sorriso sdentato e un gorgheggio e tu ti sciogli in un abbraccio.
Luca ti cerca, ti si lancia contro, ti abbraccia e rimane lì sdraiato su di te, sereno e tranquillo, di tanto in tanto alza la testolina, ti fissa in viso, ride e ritorna ad abbracciarti. Poi si stanca si divincola e torna a giocare.
Se lo rimproveri ti guarda perplesso e ti ride in faccia con una smorfia e tu vorresti restare seria ma i tuoi occhi ti tradiscono ogni volta.

"Ok ok, basta così, questa non è una intervista, non interessa a nessuno."
"Forse non è una intervista stile iene, forse non interessa a nessuno ma questi sono i miei figli e questo è quello che vede chi li ama. Chi ama non si chiede perchè uno è così e l'altro l'opposto, non cerca l'uno nei pregi dell'altro e l'altro nei difetti dell'uno. Chi ama, ama e basta. ".

mercoledì 19 novembre 2008

C'è crisi dentro e fuori

Le borse perdono punti in continuazione, molte aziende chiudono improvvisamente, alcune parlano di mobilità, altre ricorrono alla cassa integrazione.

Se hai un lavoro cerchi di tenertelo stretto anche se non ti piace e non ti soddisfa, cerchi di vedere i lati positivi e alla fine ti accorgi che non è poi così nauseante come pensavi: ok SAP non ti piace, odi le tabelle, non è decisamente il lavoro della tua vita, ma hai incontrato persone nuove, il clima è disteso e inizi a mettere il tuo orgoglio da parte.
Hai fatto delle scelte, hai voluto il part time: non puoi prendertela con tutti. Forse qualcuno ha provato a trovarti un lavoro solo per farti decidere liberamente di andartene o forse è davvero un caso: non sarai pienamente soddisfatta ma alla fine è un problema tuo, dei tuoi desideri repressi, della tua nostalgia.

In un momento di crisi economica in cui senti in continuazione parlare di persone preparate che perdono lavoro, persone che non riescono ad arrivare a fine mese, persone che non sanno quando e se riusciranno a reciclarsi in altre realtà perchè di realtà che assumono ce ne sono poche o forse non ce ne sono proprio, in un momento così ti senti uno schifo.
Ti senti uno schifo per il tuo egoismo, per la tua superficialità, per la tua piccolezza.

martedì 18 novembre 2008

Il pisellino

A luglio Marco ha imparato a fare pipì in piedi.
Era contento e appena poteva dava sfoggio alla sua acquisita abilità.
Gita in montagna due giorni dopo la conquista.
In montagna si incontrano sempre famiglie con bambini che trascorrono la giornata a giocare nei prati. Marco è molto diffidente per carattere ma ci sono bambini/e con i quali avverte una affinità da subito. Di solito l'affinità è tanto più alta quanto più grande (di età) è il bambino/a che ha difronte e in questi casi si butta: parla, domanda, invita al gioco.
"Lo sai Camilla che io so fare la pipì da solo?"
"Tu sei capace di fare la pipì da sola?"
"Io so anche tenere il pisellino da solo!"
"Mamma mi scappa la pipì, posso fare vedere a Camilla come sono bravo?"
Camilla deve avere un'età compresa tra i sette e i nove anni ed è molto gentile e accondiscendente. Si diverte difronte all'ingenuità di Marco.
Non faccio in tempo a rispondere che è già lì a braghe calate davanti a Camilla che sorride.
"Hai visto Camilla come sono bravo? Tu ce l'hai il pisellino?"
Marco, orgoglio di papà e delusione di mamma, va bene che la prima cosa che hai pensato davanti a Camilla è stata calare le braghe ma il pisellino!
L'argomento interessava a Marco ed è naturale: stava scoprendo una parte del suo corpo.
"Papà mi scappa la pipì, mi aiuti?"
Papà perchè il mio pisellino è piccolo. Io lo voglio come il tuo!"
"Marco sei piccolo quando cresci, crescerà anche il pisellino, non ti preoccupare." risponde il papà.
"Quando sono gande voglio un pisellino grande grandissimo come il tuo."
Antonio sorride e mi guarda orgoglioso.
Se non ci fossero i figli a incrementare l'ego paterno!

lunedì 17 novembre 2008

Ricerca graduale di un bebè

E' un ricordo che mi indigna, perchè sono certa che come noi molte altre coppie stanno vivendo e vivranno quello che abbiamo vissuto. Il problema non è il non essere rimasta in attesa grazie all'intervento di un medico specialista, questo nessuno lo può garantire: mi indigna il metodo, la superficialità di un approccio graduale adottato senza avere tutti gli elementi per decidere. Procediamo con ordine. Antonio ed io ci siamo sposati nel 2001. Per alcuni mesi abbiamo lasciato la ricerca di un figlio al caso. Poi abbiamo iniziato ad informarci un po'. La prima ginecologa mi prescrive i classici esami ormonali. Esami per il partner non sono previsti. Nessun problema fisico e quindi si tratta solo di provare nel periodo giusto. Nulla. Il secondo ginecologo ci consiglia il metodo della temperatura basale e la corretta posizione durante i rapporti, il tutto accompagnato da una poco felice battuta:"Ma non le ha insegnato nulla sua madre?". Dopo sei mesi abbiamo detto basta. Decidiamo di affidarci ad un centro sterilità abbastanza noto e di andarci con la classica ricetta del medico condotto. Il marito viene liquidato abbastanza in fretta. "Allora il problema sono io!" Iniziamo una serie di accertamenti che chiamerei per approssimazione successiva. In sintesi mensilmente venivano prescritti alcuni esami e sulla base dell'esito dei primi si procedeva ad indagini più approfondite. Arriviamo all'ultimo esame: anche la isterosalpingografia è ok. "E ora?" domandiamo al medico. "Faremo altre analisi" risponde. Il medico non ci piaceva, non avevamo fiducia in lui e abbiamo deciso di cambiare. Forse pagando avremmo ottenuto qualcosa: ok vada per il settore privato. Un settore sì, un business costruito sulle speranze delle persone, sui loro sogni e sulle loro fragilità. Ci siamo. Wow altro che il centro sterilità dell'ospedale! Una segretaria premurosa, servizievole e preparata compila la nostra scheda e ci fa accomodare nella sala d'aspetto. Una sala rilassante, una perfetta armonia di musica, colori e profumi. Tutto ispirava fiducia. Incontriamo il ginecologo e ovviamente ci prescrive una serie di esami. "Guardi che noi già li abbiamo!" "Ho visto ma preferisco appoggiarmi ad un centro che conosco." "Dobbiamo rifare gli esami perchè l'esito dipende dal laboratorio analisi e non da come stiamo noi???" Arriva l'esito: marito sano, moglie quasi sana. E' solo un problema di cicli lunghi e quindi di difficoltà nello stabilire il momento esatto della ovulazione: iniziamo con quattro cicli di monitoraggio semplici, alias senza stimolazione ormonale. Un ciclo di monitoraggio consiste nel tenere controllato lo sviluppo dell'ovulo nel corso del mese e quindi più o meno in prossimità del periodo ovulatorio dovevo andare nello studio del medico che con una ecografia interna stabiliva quando, con che frequenza e in quale posizione dovevo fare sesso con mio marito. Sì sesso, perchè non sono capace di fare l'amore a comando. Quello che dovrebbe essere un piacere quando si ama una persona stava diventando un peso, un impegno da segnare in agenda con tanto di appunti sul prima e sul dopo. All'ultimo monitoraggio il medico consiglia una cura di progesterone. Non so se fosse stata la cura o meno ma io ho iniziato ad avere dei dirturbi e cosa saggia fu quella di chiamare il medico. Trecento euro a seduta per sentirmi dire:"Chiami il suo ginecologo di fiducia, quello di cui mi parla non può essere una reazione al farmaco!" "Il mio ginecologo? Ma sta scherzando, io la pago da più di quattro mesi per sentirmi dire solo quando devo fare sesso e lei mi liquida così!" questo quello che avrei voluto dirgli. "Il mio ginecologo? Va bene grazie." questo quello che gli ho detto. Sì perchè dopo quattro mesi, venti ecografie interne e sedici scopate a comando non mi andava più di rispondergli. Con me aveva chiuso. Quello stesso giorno chiamo lo studio di un illustre professore dalla fama internazionale, che ci era stato consigliato già da diverso tempo e sul quale avevamo sempre temporeggiato perchè non esercitava a Milano. Il professore non parla, ascolta per trenta minuti il riassunto di tre anni di inutile ricerca. Ci prescrive altri esami oltre a tutti quelli che già avevamo e che dovevano essere rifatti. Alla seconda visita portiamo l'esito: "Siamo franchi, tra i problemi suoi e i problemi di suo marito di figli concepiti in modo naturale non ne avrete mai. Certo si può aspettare ma più passano gli anni più la situazione peggiora!" Ci sono voluti quasi tre anni ma uno che parla chiaro l'abbiamo finalmente trovato. Eravamo soddisfatti perchè ci aspettavamo che individuata la causa si potesse anche trovare la cura. Ci parla di fecondazione intrauterina preceduta da stimolazione ormonale. Ogni tentativo cinquecento euro. Il processo è abbastanza semplice. La donna e quindi io, fa una iniezione di ormoni per i quattordici/quindici giorni che precedono l'ovulazione e quando il controllo ecografico rileva la presenza di ovuli maturi, viene fatta un'ultima iniezione bomba che fa scoppiare l'ovulo. Il mattino seguente il marito preleva il liquido seminale che viene eccitato in laboratorio e iniettato nell'utero. Dopo 14 giorni il risultato. Tutto chiaro no? Vi spiego meglio. Per quattordici giorni ti fai una iniezione a sera, i tuoi ormoni impazziscono, ti senti dopata, in piscina passi dal corso principianti al delfino con estremo stupore dei compagni di corso che ammirano le tue prestazioni e la tua gamba livida per le iniezioni intramuscolo. Ovvio:"ti fai!". In ufficio i colleghi si accorgono di tutto perchè non stai zitta e perchè ti ritrovi con due airbag sul davanti senza esserti assentata dal lavoro per qualche ritocchino chirurgico. Il mattino del giorno "X" tu e tuo marito vi mettete in fila nello studio medico, davanti a voi altre dieci/quindici coppie con lo stesso barattolo in mano, quando è il vostro turno vi rinchiudete in uno stanzino per fare "attività manuale" e magari qualcuno da fuori bussa per entrare. "Se nasce con gli occhi azzurri hanno scambiato il barattolo con il tipo davanti a noi e ci può stare, ma quello dietro è alto e nero! Chi lo spiega poi?" L'unica cosa che puoi fare in certi momenti è sdrammatizzare. Quattro tentativi, duemilacinquecento euro, otto mesi perchè la cura ormonale deve essere fatta a cicli alternati e niente. Passo successivo la fecondazione in vitro, nota come FIVET. Non so se lo sapete ma per accedere alla Fivet esiste un rigido protocollo ministeriale che altro non è se non una serie di esami e accertamenti piuttosto costosi e tra questi la mappa cromosomica sia dell'uomo che della donna. C'è qualcosa che non va. L'illustre professore ci consiglia di sentire un genetista. I tentativi fatti nei precedenti quattro anni erano stati del tutto inutili a causa di un piccolo cromosoma anticonformista e anche una eventuale Fivet aveva poco senso se non associata ad una analisi preimpianto. Peccato che in Italia nel frattempo qualcuno aveva pensato di fare una bella legge che impediva tale accertamento e che qualcun altro di lì a poco avrebbe fatto di tutto per far apparire come un attentato alla morale il testo del referendum abrogativo, referendum che ovviamente non ha avuto il risultato che noi speravamo. Quattro anni per sentirci dire: "Voi in Italia oggi non potete fare nulla! Quattro anni fa sì, oggi no." In Italia puoi fare la villocentesi a sette settimane di gravidanza e l'amniocentesi a sedici, ma non puoi verificare se il tuo ovulo, fecondato in laboratorio, è sano. In Italia ti devi accorgere di portare in grembo un bimbo gravemente deformato e poi puoi decidere di abortire con un parto vero e proprio. Ma torniamo a noi: quattro anni, 72 ecografie interne, sesso a comando e a pagamento, ormoni a mille e ogni mese una delusione. E sì perchè alla fine ci speri sempre, alla fine non riesci a non illuderti e ogni mese la delusione è peggiore del mese precedente perchè non vedi più la meta. "Basta io non faccio più niente, sono stanca, si vede che non è destino." Ero davvero stanca e mi sentivo stupida, beffata dal metodo e delusa dal risultato: "perchè non fare tutti gli accertamenti subito?". Mi ero rassegnata all'idea di non avere un figlio, Antonio no. Si informava su tutti i centri esteri, su quale offrisse un servizio che meglio rispondesse ai nostri problemi: la Svizzera non andava bene, forse la Spagna. Aveva persino iniziato una cura a base di Aloe Vera perchè pare abbia benefici effetti sugli spermatozoi, forse non sarebbe servita a nulla ma male non faceva. Io invece non volevo più sentir parlare di cure, volevo riprendere la mia vita, ritrovare un'intimità con mio marito, volevo tornare a fare l'amore con lui. A febbraio, cinque mesi dopo l'ultima cura, stavo meglio: "Vogliamo informarci sulla Spagna?" Appuntamento privato la domenica pomeriggio. Quella stessa mattina mi viene un sospetto, mi sembra passato parecchio tempo dall'ultimo ciclo: faccio un test di gravidanza, è positivo. Io e Antonio siamo rimasti a guardare quello stick inebetiti e increduli per non so quanto. Dal medico ci facciamo spiegare tutto sulla Spagna e poi gli parliamo del risultato del test. L'ecografia non rileva ancora nulla, ma i test difficilmente sbagliano. Il mattino dopo l'esame del sangue. La sera mi chiama il medico:"Signora è in attesa, in Spagna ci andrete in vacanza!". PS: per informazioni www.cercounbimbo.net