sabato 31 gennaio 2009

Intervista alla redazione_gennaio

"Buongiorno."
"Buongiorno a lei."
"Questo mese pensavo di non fare in tempo, ma eccoci qui. Iniziamo con la domanda di rito. Come va il blog?"
"Potrebbe andare meglio."
"Non leggono?"
"Bhe ci sono sempre i miei fedelissimi, per lo più lettori silenti, ma non è questo il problema."
"E allora?"
"E' che avrei bisogno di nuovi stimoli per scrivere."
"Come?"
"Noi siamo stati influenzati e non potevamo uscire. Alla televisione parlano in continuazione di violenze, stupri da un lato e di stupidaggini dall'altro."
"Perchè stupidaggini?"
"Ha mai guardato una trasmissione di quelle pomeridiane? Alcune fanno cascare le braccia. L'altro giorno parlavano del principe Vittorio Emanuele che è andato in TV a ballare. E' giusto o meno?"
"Lei che ne pensa?"
"Ma cosa vuole che ne pensi: non me ne frega niente di cosa vuole fare quel ragazzo il sabato sera, se vuole ballare che balli. Però non scriverei un articolo su Vittorio Emanuele che balla e la televisione non mi dà molti altri spunti."
"Ma le piacerà qualcosa?"
"Sì qualcosa sì, mi piacciono alcuni film ma da tempo non riesco a vederne uno dall'inizio alla fine, uno che non sia "La gabbianella e il gatto". E poi qualche trasmissione serale o notturna e le serie tv. Tra poco riprendono "I Cesaroni" e poi di recente è anche iniziato "Il commissario Manara" quel belloccio a cui cascano tutte ai piedi o nel letto. Sa che così parlando mi ha fatto venire in mente qualche idea carina?"
"Bene, allora leggeremo. Non ci anticipa altro?"
"Che cosa vi dovrei anticipare?"
"Gennaio è tempo di bilanci e di previsioni."
"In tema di bilanci direi che è stato un anno che si è chiuso con un utile maggiore del previsto. In tema di previsioni ho un progetto a breve termine che per il momento è ancora un progetto ma spero di potervi dire di più diciamo nell'arco di due o tre mesi al massimo."
"Ma riguarda il blog?"
"Diciamo che avrò molti spunti in più per il blog e non solo."
"Un aiutino?"
"Si ricorda l'Aloe Vera?"
"Non proprio."
"E allora non legge il blog!?"
"Nessun aiutino immagino. Allora grazie e alla prossima."
"Grazie a lei."

venerdì 30 gennaio 2009

Una madre lo sa

Qualche giorno fa Erica mi ha suggerito un libro: "Una madre lo sa" di Concita De Gregorio. Un libricino di poco più di 100 pagine che costa 8,40 euro e che si legge in meno di cinque ore.
E' una raccolta di ventidue testimonianze. Non è un libro per donne o madri è un libro per tutti perchè tutti siamo figli di qualcuno e parla di fatti, di sentimenti, di storia, parla di figli, madri e anche di padri.

Una storia mi ha colpito, ha lo stesso titolo del libro e ne riporto alcune frasi:" Suicida, perchè uccidere un figlio è come uccidersi senza morire, è peggio che uccidersi: è come restare vive da morte, sopravvivere alla morte che almeno è una fine, rimorire ogni giorno..... Non succede a tutte le madri: succede a pochissime. Ma tutte, se cercano bene, sanno di cosa si tratta."

Forse questo è l'unico racconto che capisci fino in fondo solo se sei madre. Avevo accennato qualche giorno fa alla depressione post partum che colpisce molte donne soprattutto al primo figlio. E' una reazione naturale ad un cambiamento radicale nella vita, una reazione che può durare qualche giorno, mese, anno, ne puoi uscire o puoi restare schiava di quella malattia.

E adesso torniamo indietro di qualche anno.
Ho frequentato il corso pre-parto all'Ospedale Niguarda. Ogni mese per un'anno dalla nascita di mio figlio veniva fissato un incontro collettivo e gratuito con una psicologa e un pediatra. Ogni mese avevo modo di confrontarmi con altre mamme.
Molte durante gli incontri parlavamo delle nostre esperienze, delle gioie o delle paure; una mamma se ne stava sempre zitta. Poi un giorno forse al terzo o quarto incontro:" Io non riesco a parlare con mia figlia, lei non ha mai sentito la mia voce. La accudisco giorno e notte, sempre in silenzio." La psicologa le ha solo detto di non preoccuparsi, la bambina la riconosceva anche dall'odore, sapeva che lei era la sua mamma e non era assillandola di parole che avrebbe comunicato maggiore o minore amore.
Io parlavo con mio figlio tutto il giorno e quella testimonianza mi aveva un po' lasciato perplessa. "Come è possibile?" mi ripetevo.
Ero migliore di lei? Ero più certa che non avrei mai fatto del male a mio figlio? No. Io parlavo tutto il giorno con Marco per sentirmi meno sola, perchè trascorrere giorno e notte con un bambino di pochi giorni è stancante. Quando iniziava a piangere per ore e non capivo cosa avesse e non trovavo la posizione giusta per farlo tranquillizzare avrei voluto piangere insieme a lui, a volte lo facevo, perchè soffri nel vedere soffrire tuo figlio e perchè sei stanca e vorresti riposare e non puoi.
E io Marco l'ho cercato, l'ho desiderato e l'ho avuto che ero già grandicella. Mai avrei rinunciato a quel figlio, ma mai lo dici quando stai bene, quando sei distrutta ma hai ancora la forza di abbracciarlo. Quando non hai superato il confine che separa l'amore dalla disperazione.

giovedì 29 gennaio 2009

Che fai tieni un cinque te interrogo o non te interrogo?

Ieri una compagna di liceo ritrovata per caso su Facebook mi ha riportato indietro negli anni.
C'era un professore che proprio non mi sopportava e che guarda un po' non sopportavo nemmeno io. E' stato mio prof. di italiano per un anno, in prima liceo.
Ogni volta che entrava in aula mi guardava e diceva: " Ah Renà che fai tieni un cinque, te interrogo o non te interrogo?" Ora che fossi preparata o meno sempre cinque mi dava. L'unica cosa in cui riuscivo ad avere la meglio erano gli scritti. Non che sapessi scrivere o che lui lo pensasse ma avevo trovato un espediente per aggirare l'ostacolo.
Era consuetudine assegnare temi interdisciplinari e così un tema era di storia o filosofia, uno di letteratura greca o latina, uno di storia dell'arte e uno di italiano. Visto che il quattro in italiano scritto era destinato solo a me e ad un altro compagno che ho scoperto essere diventato professore di lettere, ho pensato bene di buttarmi sui restanti titoli e di salvare in qualche modo la pagella.

Vi domanderete e quindi? E quindi basta. Questo è quello che ho ricordato ma se proprio volete posso anche continuare.
Al liceo c'erano effettivamente materie per le quali ero negata: il greco e il latino. Il massimo per una che ha fatto il Classico! A dire il vero in letteratura andavo benino ma mi fregavano sempre le traduzioni e solo i nove in matematica mi permettevano di sopravvivere. Non è che compensassero i voti, è che avevamo creato una bella squadra. I due pupilli del prof. di greco e latino, la matematica non la capivano proprio e così si era creata una collaborazione "quasi" massonica, quasi perchè il prof. sapeva ma per i suoi pupilli questo e altro.
Il meccanismo era semplice: tanti calci sotto la sedia, quanti la posizione della riga da tradurre; tre calci equivaleva a "terza riga". Il problema è che una versione deve essere un tutto armonico e una riga tradotta bene in un contesto fumoso spesso non era sufficiente. Per fortuna che da piccola non ho perso una puntata di "Pollon", la bimba che viveva nell'Olimpo e aspirava a diventare una dea e che ad ogni puntata raccontava aneddoti tratti dalla mitologia classica. La buona Pollon mi ha salvato più volte dai quattro ed era una buona alleata dei due compagni secchioni.

La smetto di tediarvi con i ricordi per oggi e vi lascio con un consiglio.
Il liceo classico "Alessandro Volta" in quel di Como è stata una bella palestra, dura ma buona base di partenza. Quindi ottima scuola per i vostri figli a patto di trovare i compagni giusti!

mercoledì 28 gennaio 2009

Milano

Ho visto una bella villetta in mezzo al verde e me ne sono innamorata. Ho inziato a pensare ai fiori, all'angolo per i giochi dei bambini e tutto il resto. Ci sono entrata e dalla finestrella in mansarda si vede anche il lago. Sarebbe bello.
Poi ho alzato gli occhi e davanti a me il solito grigiume, il solito incrocio trafficato, la solita Milano.
Fino a qualche anno fa vivere a Milano aveva un senso: qui si lavora ed è effettivamente comodo non dover pendolare quotidianamente su treni più o meno puliti, puntuali, esistenti.
E poi ci sono i teatri, i cinema, le mostre. Le scuole e le università sono a portata di tram.
Ora con due figli, gli unici luoghi che riesco a frequentare sono i parchi d'estate e i centri commerciali d'inverno e Milano mi piace sempre meno.
Ogni volta mi ripeto che passerà, che imparerò ad amare questa città e mi adatto ma non mi abituo.
Perchè appena ti distrai un attimo Milano diventa stretta, almeno per me.
Ma cosa stringe?
A me mancano gli affetti: i parenti che sono parte di me nel bene e nel male; il contatto quotidiano con chi sta fuori dalle mie quattro mura. Ci sono gli amici ma tranne qualche rara eccezione ci si vede poco perchè Milano è molto anonima e riuscire a organizzare qualcosa è impresa titanica.
Mi manca qualcuno da chiamare quando sono stanca a cui dire: "Mi sostituisci un attimo? Ho voglia di uscire a comprarmi un paio di scarpe, un maglione, una giacca."
Mi mancano le passeggiate e la sicurezza di uscire a piedi anche da sola.
E mi manca il mio verde, le montagne, il lago, mi mancano i tramonti dietro il campanile della chiesetta di Carcano. Il grigio è anonimo e va bene per i completi da mettere in ufficio.

Forse un giorno anche Antonio si accorgerà che quella villetta è una ottima soluzione, sempre che nessuno l'acquisti prima di noi.

martedì 27 gennaio 2009

Primi momenti con un figlio

Durante le gravidanze e i primi giorni insieme ai miei piccoli ho scritto impressioni e sentimenti in articoli memorizzati su una pen drive che pensavo fosse andata persa. Ieri è uscita per caso da un cassetto.
Il primo novembre 2005, Marco aveva dieci giorni.

"E' iniziata questa nuova e semplicemente unica esperienza. Sei bellissimo Marco e mamma e papà sono rapiti dai tuoi disarmanti sorrisetti, dalle tue inconsapevoli smorfie, dai tuoi pianti a volte incomprensibili, dalla tua presenza. Stai colmando le nostre giornate non per le necessarie cure di cui hai bisogno ma per l’amore che abbiamo bisogno di donarti. Il tuo primo respiro affannoso dell’altra sera mi ha disarmato: non sapevo che fare, il solo pensiero che potesse succederti qualcosa... Avevo le lacrime agli occhi. Una strana sensazione di impotenza e la consapevolezza crescente che sei mio figlio e che ti amo tanto."

Quando è nato Marco io non avevo la benchè minima idea di cosa volesse dire avere un figlio. Sembra banale ma non lo è. Ricordo che la preoccupazione di tutte le future mamme al corso pre-parto non era il parto in sè, ma cosa fare dopo. E non è vero che tutto è così naturale come cercano di dirti per tranquillizzarti ma non è nemmeno così tragico come pensavo. Naturale lo era una volta, forse, quando si viveva in famiglie allargate, quando c'era sempre qualche bambino piccolo nel vicinato e qualche mamma che lo accudiva e tu assistevi e in qualche modo imparavi.
Oggi la maggior parte delle donne vede un bimbo quando nasce il proprio e a quel punto non basta vederlo.
Purtroppo poi i primi giorni si viene spesso assaliti da amici e parenti che vogliono vedere il piccolo e dispensano consigli non richiesti e non graditi e a me questo dava un gran fastidio: avevo bisogno di stare da sola con lui, di iniziare a conoscerlo, a capire il suo linguaggio, il suo pianto.

Con Luca è stato diverso, in un certo senso ero "esperta" ma vedevo nelle paure e sentivo nelle domande che mi rivolgevano le altre neo mamme in ospedale, le apprensioni che mi avevano assalito due anni prima.
"Hai capito come devo lavarlo? Come si attacca al seno? Questo cordone ombelicale mi fa un po' schifo, come va pulito? Perchè piange sempre?"
Il problema non era il bagnetto, il latte, il cordone ombelicale, che sì un po' fa schifo, quelle mamme volevano solo essere tranquillizzate per poter iniziare a vivere il più serenamente possibile una nuova dimensione.
Tante donne soffrono di depressione post partum che entro certi limiti è una sana reazione ad un cambiamento radicale nella vita di una donna ma che in altri diventa patologia. Senza avanzare alcuna pretesa da analista, quando vedevo mamme o suocere troppo invadenti nell'impartire consigli e direttive o nell'avocare diritti sul nascituro mi ripetevo che la depressione era l'unica reazione sana possibile.

I primi giorni con un figlio sono momenti unici, in cui mamma e bambino hanno bisogno di tante attenzioni e io preferisco viverli nella serena intimità della coppia. Non so voi.

lunedì 26 gennaio 2009

Tre Palle

Ieri avrei dovuto essere con tutta la famiglia in un agriturismo Piacentino in compagnia di vecchi colleghi, sarebbe dovuta essere una domenica di ricordi e divertimento e oggi vi avrei parlato di loro e invece ieri siamo stati a casa.
I virus influenzali non ci abbandonano e ci adattiamo.
Pensavamo che Antonio fosse uscito incolume da questa invasione virale e invece ieri mattina ha iniziato a manifestare i primi sintomi per poi esplodere in tutta la sua potenza nel pomeriggio.

Ha iniziato ad armeggiare con sale, riso, sacchetti di plastica, palloncini colorati per buona parte della mattina.
"Stai bene? Cosa fai con tutto quel riso?"
"Sto lavorando."
"Forse non sta male, è solo impegnato su qualche modello macroeconomico, non fa altro che parlare della crisi mondiale da giorni" pensavo tra me.
Qualche ora più tardi si sono materializzate tre palline arancioni.
"Belle, a cosa servono? La rappresentazione di qualcosa? Una nuova visione dei tre mondi che convergono verso un'unica identità a causa della crisi?"

Non era un modello macroeconomico erano proprio palline da prestigiatore e per la restante parte della giornata si è allenato a lanciare le tre palle in aria migliorando notevolmente la sua abilità.

Non so bene che tipo di virus sia ma secondo me bene non sta.

venerdì 23 gennaio 2009

Convivenze

Questa settimana la nonna è stata qui a casa con noi. Venuta armata di buoni propositi da crocerossina già il secondo giorno si è unita alla schiera degli infetti.
Solo ieri poco prima della partenza la nonna si sentiva già in forma e ha iniziato a sciorinare i suoi consigli a me ancora febbricitante e in preda ad attacchi di tosse che tutto avrei sopportato tranne i buoni vecchi sermoni apprensivi.
"Devi mangiare di più!"
"Mamma per piacere."
"Non ti passa la tosse se mangi così poco."
"Non mi sembra che tu stia meglio."
"Ma queste lenzuola sono buone per fare stracci, ne ho di più belle da darti."
Già si accingeva a dividere in due un paio di lenzuola made by Zucchi usate si e no tre volte.
"Vanno bene così lascia stare e mettile in lavatrice."

"Hai ancora quel vecchio asse da stiro, come si fa a stirare con un baldracchino così."

Insomma una settimana da dimenticare sul fronte della salute ma tutto sommato di convivenza riuscita.

Sant'Antoni del purcell

Sant'Antonio Abate è il patrono di una piccola frazione del mio paese natale. Il Santo è anche noto come Sant'Antoni del Purcell in memoria di quelle allegorie che vedevano nel maiale l'incarnazione del diavolo e il Santo era colui che sconfiggeva il maligno.
Visto che sacro e profano molto spesso vanno a braccetto, della festività del buon Antonio è rimasto solo il maiale.
Tradizione vuole che per celebrare la sua ricorrenza venga preparata una grossa catasta di legna sopra la quale viene posto un maiale di cartapesta dalla intelaiatura in ferro. La sera della festività viene dato fuoco alla pira e si attende la caduta del "purcell" o di quello che ne rimane. E poi si aprono le interpretazioni: "L'è burlà giò de co o de cu (è caduto di testa o di culo)?"
Pare infatti che la caduta della bestia determini un anno di fortuna o disgrazia, anche se non tutti concordano su quale sia l'angolazione della fortuna e quale quella della disgrazia.

Per farla breve noi siamo andati ad assistere a questa simpatica tradizione, il maiale è caduto "de cu".
Sarà stato il lato sbagliato; sarà che Sant'Antonio è un po' arrabbiato perchè Antonio, mio marito, predilige il santo di Padova a lui, per quanto un agnostico possa prediligere un santo; sarà che quella sera il Santo aveva un diavolo per capello ma noi siamo a letto da una settimana con l'influenza, non è che sia stato proprio ben augurante come inizio.

Caro Sant'Antonio non si fa così. Tu dovresti essere superiore alle credenze popolari, alla ignoranza pagana, alle blasfeme ricorrenze legate al tuo nome e invece come ti sei comportato? Strage di virus per tutta la famiglia e hai salvato proprio quello che porta il tuo nome.
Caro Sant'Antonio non si fa così.

mercoledì 21 gennaio 2009

Vicini di casa

Per vent’anni ho vissuto in una bellissima “casa nella prateria”: l’ultima casa del paese e tutti intorno i prati. Quello che non mancava era il silenzio soprattutto di notte: i nostri unici vicini di casa erano molto silenziosi benché purtroppo numerosi, pace all’anima loro.
Poi ho abbandonato il silenzio non senza rimpianti iniziali e non senza una certa difficoltà di adattamento: mi sono trasferita a Milano.
Qui la maggior parte delle persone abita in condominio dove saggezza popolare dice che i litigi abbondano ma bisogna provare per credere!

Nel primo palazzo dove ho abitato avevamo un grazioso bilocale al primo piano. Accanto a noi, una famiglia normale o quasi con la quale non c’era praticamente rapporto.
La prima cosa che ho pensato è “qui ognuno si fa i c… propri” e questa cosa mi piaceva proprio tanto. Ad essere sincera la nostra vicina ogni tanto ci provava a farsi i c… nostri e suonava sempre il campanello quando eravamo a tavola con amici o parenti ma aveva sempre un valido motivo: o le mancava il sale, o un limone, o il suo bancomat non funzionava, una volta per sbaglio aveva anche accoltellato il marito ma era una famiglia simpatica e apprezzava la nostra discrezione come noi la sua.
Non ho avuto modo di conoscere tutti anche perchè eravamo in affitto e non avevamo accesso alle riunioni condominiali, luoghi di incontro o di scontro per eccellenza, si dice.

Poi abbiamo acquistato un appartamento in un piccolo condominio: tredici famiglie in tutto.
Durante i primi anni lo usavamo come appartamento dormitorio: di giorno al lavoro, il week end fuori, contatti con i vicini scarsi, cordiali ma scarsi. Qualche anno più tardi ho pensato bene di fare due figli a distanza ravvicinata e di seguirli notte e giorno nel primo anno di vita e così ho conosciuto tutti, bhe tutti quelli che volevano farsi conoscere.
Al primo piano ci sono i signori F. e A.
Al secondo piano ci sono i signori P. e il signor C.
Al terzo piano i signori G. e F2.
Al quarto piano noi e F3.
Al quinto piano una coppia di estranei e Tony
All’ultimo, solo P. e consorte.
Dimenticavo al piano rialzato abita la mamma di F2 e il dentista.

I signori F. sono una simpatica coppia di pensionati e visto che la vita molto spesso non è generosa e che i santi in paradiso ti aiutano sì ma non quanto vorresti, trascorrono molto tempo in casa e così conoscono tutti ma proprio tutti dentro il palazzo. Noi meschini condomini approfittatori spesso abusiamo del buon cuore della signora F. e la costringiamo ad un lavoro supplementare e gratuito quello della portinaia che svolge egregiamente, mica una portinaia da luogo comune, l’avete letto “L’eleganza del riccio”? Bhe una tipa così. Se poi rincasate all’ora di cena e pensate tra voi che in frigo c’è ancora della mozzarella e qualche pomodorino, ecco toppatevi il naso bene prima di salire le scale perchè i vostri succhi gastrici sono già pronti ad accogliere ben altro!

I signori P. sono il pezzo forte del palazzo. Lui ciclista pensionato ultra settantenne si spupazza ottanta e più chilometri giornalieri in bicicletta durante i periodi estivi e si diletta in attività di pari sforzo in quelli invernali. Si prodiga come giardiniere del palazzo e quando proprio è ai ferri corti con il non far nulla cerca di insegnare un po’ meglio il mestiere al signore delle pulizie che, sì, è bravo ma i prodotti della signora P. sono i migliori!
Lei mamma e nonna adorabile, pittrice e cuoca da far concorrenza a quella Anna Moroni de “La prova del cuoco”, iscritta al circolo ricreativo anziani quartiere, ecco lei è lei.
Hanno un solo piccolo difetto: amano sollazzarsi al caldo sole della Liguria nei mesi primaverili e autunnali e ci lasciano così tra la nostalgia e l’invidia; ma recuperano abbondantemente punti durante le serate organizzate a casa loro: feste di Natale, riunioni di condominio, tutto a base di salame nostrano, torte fatte in casa e un buon bicchiere di vino.

Poi c’è Tony il vicino che abita sopra di noi e che fa concorrenza allo zio Giò nel cuore di Marco e Luca. Tony ha una bella fidanzata, una storia complicata di quelle moderne che potrebbero essere raccontate in Tv ma che lasciamo al suo privato. E poi Tony è di origini calabresi e sua madre, come ogni buona madre del Sud, pensa alla salute del figlio e salute uguale a panza e quindi ogni tanto arriva “il pacco”. Ora visto che il colesterolo è meglio condividerlo, è diventato il nostro fornitore ufficiale di formaggio e per non farci mancare proprio nulla anche di olio. La sua generosità non si limita alla nostra pinguedine che gratuitamente avanza, colpisce soprattutto i piccoli che come conseguenza attendono il suo ritorno serale dal lavoro, seduti sul suo pianerottolo. Concorrenza spietata al loro papà insomma.

F3 è una bella ragazza che vive proprio nell'appartamento accanto. E' una donna in carriera spesso costretta fuori casa dal lavoro. E per fortuna! La sua camera confina proprio con quella di Marco e Luca e già sopporta troppo spesso i loro frequenti risvegli notturni e la loro euforia serale. Bhe F3 io ci provo a farli star buoni ma anche tu, se ti trattenessi dal regalare pistole spaziali lancia colori musicali e sapientini ululanti!

Al piano terra c'è un dentista a detta di alcuni molto bravo e molto caro, io confermo certamente il molto caro. E' un ragazzo di trentacinque anni cordiale e gentile, un ragazzo che piace. Tempo fa ha notato che nel condominio si stava diffondendo un'abitudine simile al book sharing, in pratica ciascuno mette a disposizione degli altri condomini le riviste lette prima di buttarle nel sacco della carta. Lui professionista brillante ha pensato di partecipare e ha bellamente trasferito lo scaffale delle vecchie riviste odontoiatriche sulla mensola del book sharing: ma a chi c... interessa leggere le ultime novità in fatto di resine acriliche semplici o composte, cura canalare e cementi per impacchi parodontali? Proprio un professionista serio.

Vi risparmio gli altri condomini per oggi. Forse siamo stati solo fortunati ma dei vicini non mi posso proprio lamentare.

martedì 20 gennaio 2009

Febbre

Prima i brividi, poi un indolenzimento generale in tutto il corpo, poi la febbre alta, sempre più alta. Potevamo saltare l'influenza quest'anno? Poteva colpire un solo componente della famiglia?

lunedì 19 gennaio 2009

Tre uomini e una gamba... in più

Me ne sto seduta in un angolino di un bar con un collega. E' l'ora meglio nota come "pausa pranzo".
Entrano tre uomini distinti e la cameriera li fa accomodare accanto a due ragazze delle quali vedo solo le spalle.
Uno in particolare mi colpisce, mi pare di conoscerlo e inizio ad osservarlo: si toglie giaccone e berretto. Ma certo è proprio lui! Un bell'uomo, educato, persona discreta e distinta, mai una parola fuori posto, sempre gentile. Si avvicina alle due ragazze, il suo viso è un po' rosso, ricordavo che era un po' timido o forse è solo colpa del caldo: "Ciao!" dice alle due ragazze "mia figlia vi guarda sempre in televisione, siete le sue artiste preferite!".
Gli altri due restano lì senza dire nulla ma il loro sguardo sembra dire:"Coglione! Davanti a due così l'unica cosa che ti viene in mente è il richiamo all'istinto materno, ma le hai viste bene?!"
Riprendo a mangiare. Le due tipe si alzano e si dirigono verso la cassa.
I tre rimangono lì con il viso sognante, gli occhi lucidi e la bava alla bocca. Entra una loro collega e li raggiunge al tavolo.
"Avete già ordinato?"
I tre la guardano con sorriso ebete.
"Oh sono io, avete visto le due ballerine di canale cinque che sono uscite ora?"
"Si" dice l'unico rinsavito "ci abbiamo anche parlato, simpatiche ma due bambine, peccato per l'accento, avrebbero bisogno di un corso di dizione."

Cari i miei distinti colleghi, guardate che lo sappiamo, fa parte della natura dell'uomo, vi bastano due belle tette sotto il naso e iniziate a ragionare con...

PS: non me ne volere caro collega ma non sono riuscita a trattenermi.

sabato 17 gennaio 2009

Addio

Ieri sera è squillato il telefono: è morto il papà di D. una mia amica.
Io il papà di D. non lo conoscevo se non attraverso i racconti e gli occhi di una figlia innamorata che l'ha aiutato e accudito in questi ultimi due anni, dall'inizio della malattia al passaggio finale.
La morte di un padre anziano fa parte della vita, non sconvolge più di tanto l'opinione comune, se poi la persona sta soffrendo da tanto tempo si è preparati a quel distacco e si arriva a pensare che è meglio così, ha finito di soffrire. E poi chi crede nell'aldilà ritiene questo momento solo un passaggio obbligato dopo il quale i nostri spiriti si ritroveranno.
Sarà anche così ma vallo a dire a D. e alla sua famiglia ora.

D. non so proprio cosa dirti oggi, hai fatto tutto quello che potevi per tuo padre, lui lo sapeva.

venerdì 16 gennaio 2009

Le mie ultime sole 24 ore

Ore 7:00.
Marco e Luca piangono e singhiozzano.
"Ragazzi (termine adattissimo ad un bimbo di tre anni e al fratellino di uno) devo proprio andare al lavoro ma esco presto e vi vengo a prendere, non fate così. All'asilo vi divertite e avete tanti amici."
"Ma io non ci voglio andare e poi oggi è chiuso, ha detto la maestra che c'è sciopero!"
"A me non ha detto nulla ma facciamo che se oggi la scuola è chiusa, vai all'asilo con Luca, va bene?"
"Sì però io voglio che stai a casaaaaaaa." ripete piangendo e singhiozzando.
"Marco amore mio, anche io sono un po' triste senza di voi e starei a casa tutto il giorno ma non posso, devo anche lavorare, però ti prometto che vengo a prendervi prestissimo."
Luca incurante dei nostri discorsi sta già salendo le scale seguito a distanza da Antonio. Marco si calma e ci salutiamo.

Ore 17:00
"Mamma ma adesso che hai visto i tuoi bambini sei più contenta?"
"Amore mio sono sempre contenta quando sono con voi."
"E quando non ci siamo?"
"Ma io so che voi siete felici all'asilo e allora sono felice."
"Si mamma ma io sono più felice quando sto con te. Mamma sei bellissima."
Ecco il mio piccolo Edipo che torna.

Ore 20:00
E' pronto in tavola.
"Antonio come è andata oggi?"
"Bla, bla, bla...E a te?
"Il solito, bla, bla, bla..."
"E a me? Nessuno mi chiede cosa ho fatto oggi?"
"Hai ragione Marco, scusa. Come è andata oggi?"
"Emm, oggi all'asilo c'era E., V.M., e anche I. che è tornato dalle vacanze."
"A già è stato due mesi dai nonni in Sud America se ben ricordo. E cosa avete fatto?"
"E abbiamo giocato e poi c'erano anche L., M. e..."
Brusio di sottofondo.
"Luca siediti per favore, è pericoloso (stare in piedi a saltellare nel seggiolino da tavolo), Luca!"
"E ma a me non mi ascolta nessuno?"
"Hai ragione Marco, cosa avete fatto oggi?"
"Mamma sei sorda? Te lo devo ripetere due volte?"

In tre minuti e forse meno ripasso mentalmente tutti i saggi di psicologia per bambini acquistati, letti e in parte dimenticati ma non mi sono d'aiuto. E che cavolo ha ragione: il mattino lo tratto come un adulto e quasi gli vomito addosso i miei sensi di colpa per doverlo abbandonare lì piangente sulla porta insieme al fratello e la sera dovrei pretendere un tono diverso mentre violo chiaramente il suo diritto a raccontare e ad essere ascoltato!

"Marco amore mio scusa. Hai ragione, mi sono distratta un attimo ma non alzare la voce, io non sono sorda sai. Dai racconta."
Nell'angolo opposto Luca continua i suoi esperimenti con il bicchiere, a volte indovina il verso giusto a volte no e si bagna, ma continua incurante di quello che gli altri fanno o dicono.
"Luca e tu cosa hai fatto oggi?"
"Kn, Knu."

Ore 22:00
"Ragazzi abbiamo letto tutte le trenta filastrocche, adesso silenzio!"
Dormono.

Ecco per oggi basta così: buona notte!

giovedì 15 gennaio 2009

I peperoni non li digerisco

Ecco sono qui seduta in questa piccola aula senza finestre, calda come non ricordavo e di conseguenza troppo vestita: la compagnia è piacevole, discreta e silenziosa quanto basta; la pausa caffè da circolo letterario in cui miserrima fagocitatrice di libri poco impegnati mi inserisco; il lavoro aleggia su di noi ma nessuno ne parla perché ognuno è super esperto del suo modulo e ognuno fa per sé. L’unica di cui è certa l’ignoranza qui dentro sono io.
Ecco mi domando cosa ci sto a fare io qui questa mattina. Perché ho risposto al telefono ieri e ho accettato? Non lo so, ma inizio a stupirmi di me stessa e della maturata capacità di non alzare la voce. Ho imparato, meglio tardi che mai, che non ne vale la pena ed è molto più elegante mandare a quel paese "quasi in silenzio”. Ho imparato ma la pacatezza non corrisponde esattamente alla voce che ruggisce dentro di me e che si esprimerebbe con parole e toni diversi. No, per una volta non voglio cedere.

Per una volta non ho ceduto, non del tutto diciamo, in compenso ho avuto un forte mal di testa nel pomeriggio perchè a me i peperoni non piacciono e se sono affogati in qualche salsina agrodolce proprio non li digerisco!

mercoledì 14 gennaio 2009

Te la ricordi la mia mamma?

Paola vive tra un presente che con capisce, che male interpreta, che fraintende spesso e da cui si allontana per rifugiarsi in un mondo di fantasmi, di sospetti, di fissazioni, di illusioni tristi.
Un tempo Paola era allegra, solare, sempre disposta a farsi coinvolgere. Da quando la conosco non ha mai proposto nulla, ha sempre accettato con entusiasmo ogni cosa e forse per questo qualcuno ha un po’ abusato della sua mitezza e disponibilità.
Perché Paola soffriva in silenzio quando la generosità del suo cuore veniva derisa, soffriva quando si accorgeva di non avere il posto che le spettava nei sentimenti di suo marito e dei suoi affetti ma il suo modo di opporsi era troppo debole o aveva nemici troppo forti e alla fine ha interiorizzato la sua ribellione ammalandosi di un male che viene chiamato spesso depressione.
Io non so se è depressione, vedo solo una Paola assente, triste, incomprensibile a volte nelle sue convinzioni bizzarre e nelle sue reazioni improvvise; vedo una Paola eccessivamente allegra e loquace quando qualche incastro della sua mente sembra far ritornare la vecchia amica e allora in quei pochi momenti credo di poterle parlare come un tempo, di poterle raccontare, ma le parole la annoiano e la sequenza delle frasi si fissa nella sua mente in ordine sparso e si allontana presto, di nuovo più scontrosa e assente di prima.
Ho osservato Paola per anni e il legame che ci unisce forse mi ha fatto capire l’origine del suo problema, ma come aiutarla?
Io non sono una psicologa e lei da un medico non andrebbe mai perché “sta bene”. Provare a parlare con quello che forse è la causa prima della sua malattia è stato inutile perché per quanto amore suo marito provi per lei non capisce che forse è proprio lui a sbagliare o ad avere sbagliato, non ascolta o forse sono io che non capisco e c’è altro che non vedo o non voglio vedere.
Un giorno il figlio di Paola mi ha detto:
“Ma tu te la ricordi la mia mamma quando era "normale"?”
“Sì me la ricordo, me la ricordo bene e mi manca tanto la normalità della tua mamma più di quanto tu creda.”
“Ma cosa faceva? Com’era?”
“La tua mamma era gentile con tutti; organizzava pic nic all’aperto; giocava con te; ti aiutava ad imparare le sigle dei cartoni animati; ti raccontava sempre una fiaba per farti addormentare sereno, sempre la stessa fiaba che aveva inventato lei e che era anche un po’ macabra ma a te piaceva; ti portava dal suo parrucchiere supplicandolo ogni volta di guardare “Olly e Benji” perché tu volevi i capelli come i loro. Tu eri un bambino un po’ teppista e a volte ti arrivava anche qualche ciabatta ma non ha mai centrato il bersaglio.
E poi sai la tua mamma è andata contro tutti, forse unica volta in vita sua, quando hai avuto bisogno di un intervento delicato che l’ignoranza dei parenti non voleva che tu affrontassi e ti è sta accanto giorno e notte quando eri in ospedale. E poi veniva a scuola con te: se ne stava seduta per ore in fondo all’aula per imparare il metodo di una maestra a dir poco insolita e poco adatta al ruolo che ricopriva, ma per te lo faceva volentieri."

Forse sbaglio a considerare Paola inguaribile o ad accontentarmi del suo apparente star bene, ma a volte anche se ami tanto una persona non sai proprio come aiutarla e il tuo amore da solo non basta e allora ti appoggi ai ricordi come accade con un persona che non c'è più.

martedì 13 gennaio 2009

Manzoni e cioccolata

"Ma lei seguitava a guardar fuori; e benchè il luogo selvaggio e sconosciuto"; "Intanto l'innominato, ritto sulla porta del castello, guardava giù; e vedeva la bussola venir passo passo" I Promessi Sposi, cap. XXI
"Intanto s'andava avanti per un sentiero sassoso, lungo il torrente: al di là quel prospetto di balze aspre, scure, disabitate; al di qua quella popolazione da far parere desiderabile ogni deserto" I Promessi Sposi, cap. XXIII

Domenica abbiamo raggiunto a piedi il castello dell’Innominato, quello che ne rimane. Abbiamo camminato per un’oretta con passo lento perché in braccio avevamo i bimbi; con passo lento perché tutto intorno c’era la neve; con passo lento perchè nella mente affiorava il ricordo di un sentiero battuto spesso quando ero bambina e di un romanzo letto più volte. Chi se la dimentica la tormentata salita di Lucia rapita e la paura di Don Abbondio costretto a percorrere lo stesso sentiero!
Abbandonata la strada lastricata, il percorso ci ha condotto lungo un sentiero di montagna irto e ghiacciato: tutto intorno una vista indescrivibile sulle case del paese, sul lago di Lecco e sui monti innevati in un orizzonte non troppo lontano.
Come accennavo, del castello rimane ben poco: una cinta muraria che delimita il perimetro di quella che doveva essere una fortezza e una cappella votiva a San Girolamo che oggi richiama più fedeli del vecchio burbero senza nome.
Anche lì come ovunque, ai piedi della rocca c’è un accogliente bar trattoria con un bel caminetto acceso e quella cioccolata calda andava giù che è un piacere!

lunedì 12 gennaio 2009

Posso decidere io?

Ero in attesa di Marco. L'ecografia aveva mostrato un piccolo fagiolino: ero felice e spaventata perchè nessuno mi poteva assicurare che quel figlio l'avrei davvero stretto a me, mai nessuno lo può garantire, e avevo paura che se l'avessi perso forse non si sarebbe presentata un'altra occasione. E poi c'era sempre quel dubbio su cui indagare, era necessario il consulto di un genetista al più presto.
"Signori è necessaria una amniocentesi subito."
"Ma ho fatto il tritest."
"Si ma vostro figlio potrebbe avere altri problemi."
"Che tipo di problemi?"
"Diciamo molto molto seri."

Abbiamo cercato un figlio per anni e iniziavamo ad illuderci che quel figlio sarebbe arrivato davvero.
Antonio era felice come non lo vedevo da tempo, noi come coppia ci stavamo ritrovando, quel figlio stava riunendo due vite che forse col tempo avrebbero preso strade diverse perchè sì io un figlio lo volevo ma non era tutto, comunque avevo un lavoro che mi piaceva e che avrebbe avuto un peso ancora maggiore nella mia vita; lui non si era rassegnato e la carriera la voleva per lui più che per me e la mia professione iniziava ad essere la causa dei nostri figli mancati. Così non si poteva andare avanti, non per molto.
Eppure quando la genetista ci ha fatto tremare sulla sedia con le sue parole, l'abbiamo ringraziata per la sua professionalità: crudele ma obiettiva. Lei ci aveva informato su tutto, noi dovevamo decidere. Quel figlio era tutto quello che desideravamo da anni ma a che condizioni? Il risultato della amniocentesi non avrebbe reso semplice confermare una decisione già presa.

In questi giorni due amici devono scegliere perchè l'amniocentesi ha rilevato problemi. Un uomo e una donna si trovano ad un bivio e solo loro hanno il diritto di esprimersi ma per esercitare questo diritto devono sapere. Trovo ingiusto e inaccettabile che lo stesso risultato presentato a quattro medici differenti venga letto in modo diverso in base al credo, alla religione, alle idee o all'aggiornamento recente delle statistiche.
Forse davvero interpretare un risultato è più complesso di quanto la mia ignoranza in materia mi porta a pensare o forse ancora oggi ci sono medici che dovrebbero limitarsi ad essere solo medici.

sabato 10 gennaio 2009

Scarpe, scarponi e carmelitani scalzi

Non sono una grande osservatrice ma da quando ho aperto il blog presto molta più attenzione a quello che mi circonda perchè tutto può offrire uno spunto utile ed essere trasformato in un articoletto.

Da tre giorni camminare per le strade di Milano è un vero incubo a causa della abbondante nevicata che la Befana ha portato con sè. A dire il vero quest'anno è successo spesso e l'ultima volta sono arrivata in ufficio con i piedi che galleggiavano dentro le scarpe.
Così qualche giorno fa ho ricercato nel box un paio di stivali in gomma nera acquistati anni fa per gli eventi eccezionali e mai usati.
Cosa centra tutto questo con l'osservare?
Ecco, ci arrivo: da tre giorni esco di casa con calzari poco femminili anche se indossati con classe ed eleganza e per curiosità mi sono soffermata ad osservare i piedi delle persone attorno a me.

C'era di tutto:

  • scarpe delle passate stagioni alle quali dire per sempre addio
  • stivali in pelle nera o marrone ritrovati in qualche armadio e che probabilmente nell’armadio non rientreranno mai più
  • stivali in gomma come i miei, più o meno discreti per forma e colore: il top era indossato da una ragazzina sui quindici anni, un modello color panna con tanti fiori e foglie stampati sopra
  • moon boot, che chiamo da sempre mammut, classici e nella versione pelosa tipo barboncino biondo a pelo lungo che se poco poco ti appisoli e ti svegli memore della tua paura nei confronti dei quattro zampe rischi una contrattura per irrigidimento ma puoi sempre dare la colpa al freddo
  • scarpe da trekking che in mancanza di altro potevano anche andare bene
  • scarponi e qui distingui subito i dilettanti dagli amanti della montagna, quelli che spendono centinaia di euro per scarponi Scarpa, Asolo, magari in goretex e che finalmente possono sfoggiarli orgogliosi in piena città perché loro, uomini temprati dalle rigide temperature delle alte cime, non si lasciano intimorire da quei cinquanta centimetri di neve cittadina e camminano sicuri e spediti con il cellulare all’orecchio.

C’era di tutto, anche un frate carmelitano scalzo forse in pellegrinaggio a Milano e che probabilmente avrebbe voluto contravvenire alla rigida regola per gestire meglio la giornata già rigida in sè.

Ecco insomma se non avessi aperto il blog probabilmente non mi sarei soffermata ad osservare gli altrui piedi e non vi avrei tediato per cinque minuti con le mie osservazioni.


venerdì 9 gennaio 2009

Intervista: scuola privata o pubblica?

Luca frequenta un nido privato, lo stesso che aveva frequentato Marco.
Marco è alla scuola d'infanzia comunale.

"Perché ha scelto il nido privato per Luca?"
"L’avevo scelto per Marco dopo essere stata a lungo combattuta tra una tata o un nido e mi è piaciuto. Perché pagando, pensavo di offrire a mio figlio un servizio migliore e perché avrei avuto una serie di servizi che al nido comunale mancano."
"Quali?"
"Orari flessibili, chiusure praticamente inesistenti, babysitter a casa se il bimbo di ammala. Sono un aiuto importante se non hai appoggi e devi gestire un figlio da sola. Sì c’è il marito ma anche lui lavora."
"E’ contenta della scelta?"
"Moltissimo e se avessero aperto anche la scuola d’infanzia nella stessa struttura, avrei iscritto Marco."
"Con le insegnanti?"
"Marco aveva una insegnante fantastica, una persona che stimo e ammiro per la dedizione e l'amore con cui ha seguito mio figlio. Mary ha accudito Marco da quando aveva dieci mesi, lo ha coccolato quando era triste, gli ha insegnato a giocare, a cantare, a crescere e Marco ha appreso molto da lei, anche un marcato accento sardo. Luca ha la stessa insegnate, ora dice solo “ te te, kn knu” ma aspetto presto un bel "capito mi hai"."
"Perché per la scuola d’infanzia ha scelto una struttura pubblica?"
"Perché nella scuola privata non c’era posto, avrei dovuto iscrivere mio figlio quasi prima di concepirlo e perché quasi tutte le strutture vicino a casa erano gestite da suore."
"Non voleva una scuola cattolica?"
"Io ho frequentato asilo ed elementari dalle suore e non ricordo con piacere quegli anni: la "discriminazione" che avvertivo in quanto figlia di un falegname e non di un avvocato, la sottomissione che mi hanno insegnato in nome di una qualche virtù. E' vero non si può generalizzare e forse io avrei anche accettato ma mio marito mai."
“Quindi più che una scelta è stata obbligata?"
"Diciamo che non ero pienamente convinta e inizialmente anche un po' scettica: gli orari rigidi, gli scioperi, le tante festività e il dubbio che mio figlio non fosse seguito come avrei voluto. Quindi mi son detta: proviamo e poi valuteremo."
"Ora cosa ne pensa?"
"Marco ha due brave insegnanti, è a contatto con bambini di razze e culture diverse e spero che questo gli insegni più di tante belle parole. Quando vedeva un uomo o una donna con la pelle scura diceva “Mamma che brutto/a " certo era il suo modo per indicare una evidente diversità ma volevo che la diversità diventasse normalità."
"Quindi soddisfatta?"
"Contenta non soddisfatta. La scuola d'infanzia comunale è adatta a chi ha tate e nonni a supporto. Gli orari come dicevo sono rigidi, ci sono gli scioperi, le vacanze natalizie sono lunghissime e se non avessi l’appoggio del nido privato avrei seri problemi di gestione. E poi i bambini hanno pochi giochi ma infondo ai bambini piace stare insieme e si sanno divertire con poco."
"Non ho capito se è a favore della scuola privata o di quella pubblica?"
"Le rispondo trascurando una variabile fondamentale, quella economica: fingiamo per un attimo che non esista. I miei figli sono piccoli e quello di cui hanno bisogno ora è amore. Sono a favore di una scuola che sia una seconda casa per loro, che li accolga e li aiuti a crescere. Una scuola dove il rispetto per la persona sia fondamentale, dove i bambini vengano aiutati a sviluppare la loro personalità e non ridotti a soldatini. Una scuola dove il dialogo sia alla base di tutto. E la scuola è fatta di persone. Puoi trovare persone valide nella scuola privata come nella pubblica, a volte è solo fortuna."

giovedì 8 gennaio 2009

Chiedimi se sono felice!

"Sei felice?"
"Penso di sì."
"Come penso: o lo sei o non lo sei!"
"Sì sono felice."
"Allora elencami dieci ragioni per cui dici di essere felice."
"Vediamo:
1. ho due figli fantastici che adoro e riempiono le mie giornate
2. ho un marito che mi ama

3. ho un lavoro che mi permette di conciliare casa e ufficio

4. l'atmosfera natalizia mi ha contagiato lasciandomi di buon umore
5. ho mangiato per dieci giorni abbuffandomi di torrone e panettone e non sono aumentata di un grammo

6. ha nevicato e ho giocato nella neve con i miei bimbi

7. oggi la mia amica Isa compie gli anni

8. a marzo andremo in vacanza

9. in questo momento dormono tutti e sono qui seduta a rilassarmi

10. godo di ottima salute"

"Caspita dieci motivi invidiabili, quasi inconfutabili!"
"Come quasi?"
"Vediamo:
1. hai due figli che ti costringono a giocare al wresling sul lettone, che non fanno che rincorrersi e spingersi a vicenda per tutto il pomeriggio, Marco poi ti prende in giro dicendo che sei bellissima per farti fare quello che vuole e a volte aggiunge anche che sei un po' vecchierella per tirati sul il morale
2. hai un marito che forse ti ama, per il quale molte volte sei poco più di una domestica tutto fare e che spesso non usa mezzi termini e ti manda a quel paese
3. hai un lavoro che non ti piace anzi ti fa proprio schifo e solo lo stipendio a fine mese ti impedisce di inoltrare la lettera di dimissioni che hai già pronta da mesi
4. hai trascorso il Natale ripulendo i tuoi figli da vomito e diarrea, hai dormito pochissimo e hai sottratto altre ore al sonno per terminare un libro di Ken Follet
5. le tue abbuffate di torrone e panettone sono pari a quelle di carne e formaggio di un vegano
6. ha nevicato: i tram non passavano e ti sei fatta due km nella neve con Marco in braccio e il computer a tracolla
7. tu credi che la tua amica Isa sia felice di compiere gli anni, una volta forse tanti tanti anni fa
8. da tre anni ripeti che a marzo andrete in vacanza e poi succede sempre qualche imprevisto: ci credi ancora?
9. si questo potrebbe essere un buon motivo, ma Luca ti ha vomitato addosso prima di addormentarsi: sei proprio sicura che dormirà tutta la notte?
10. hai speso qualcosa come ottomilacinquecento euro di dentista lo scorso anno, hai accumulato tanta tensione nelle spalle che ormai il fisioterapista lo paghi tramite RID e con questo freddo ti sono ritornati i geloni!"
"Grazie per la comprensione, non ti hanno insegnato che esiste una parolina che si chiama tatto?"
"Scusa ma è il mio ruolo, se tacessi anche io ti adageresti e non reagiresti come sei capace, come dovresti, come devi!"
"Ok lo farò, ti prometto che lo farò!"
"Cosa?"
"Lo vedrai, dammi tempo e lo vedrai!

mercoledì 7 gennaio 2009

Sei Gennaio

Il sei gennaio di ogni anno ci alziamo presto apriamo le calze che la Befana ci ha portato durante la notte e poi partiamo per andare dai nonni dove ci aspettano altre calze e, se arriviamo per tempo, anche una improvvisata Befana che si cala dal campanile della parrocchia di quando ero bambina.

Il sei gennaio di quest'anno ci siamo alzati più tardi del solito, c'erano le calze sotto l'albero e quando abbiamo alzato le tapparelle: la neve!

"Con questo tempo non possiamo partire! Cosa facciamo?"
Iniziamo con le attività necessarie: la Befana è arrivata e le calze sono state aperte; Gaspare, Melchiorre e Baldassarre sono davanti alla grotta; Zuzzurro, il pastore preferito di Marco, è retrocesso per lasciare il posto ai tre nuovi arrivati e...
"Ok ragazzi, scendo in cantina prendo gli scatoloni e "disfiamo" tutto!"
"Allora possiamo lanciare tutte le palline rosse!"
"Marco ho usato il verbo sbagliato, dobbiamo togliere tutti gli addobbi e posizionarli con cura nelle scatole per il prossimo anno."
Evidentemente detta così l'attività non era più allettante e così abbiamo "disfato" l'albero e il presepe con cura.
"E adesso?"
"Adesso scendiamo a fare qualche foto sulla neve! Che ne dite?!"

A Milano sta nevicando anche mentre scrivo e in tarda mattinata la neve su muretti e alberi aveva già superato i quindici centimetri. La giornata ideale per qualche bellissima foto che ritraesse il giardino, lo stupore dei bambini e non solo: la neve era soffice ma farinosa, adatta per un bel pupazzo di neve!

Non ricordo a quando risalisse il precedente pupazzo ma l'entusiasmo di Marco e l'aria incredula di Luca l'hanno reso speciale. Un pupazzo "double face" per la gioia dei condomini e di chi camminava lungo la via: una anzi due carote al posto del naso, gli occhi blu, una sciarpa di lana pesante e un berretto con il paraorecchie per proteggersi dal freddo!

lunedì 5 gennaio 2009

Tu sei la BEFANA!

Qualche anno fa è stata abolita la festa della epifania e così per pochi anni il sei gennaio si è lavorato.
Quell’anno decisi di impersonare i panni della buona vecchina, per l’occasione avevo portato in ufficio tutto l’occorrente per il trucco: cuscini per gonfiare un po’ il “di dietro” e il “davanti”, gonnellone, grembiulino, scialle, foularino da campagnola, scopa di saggina, un bel rossetto rosso per le guance, un neo nero da mettere sul mento e il naso… no per quello ha provveduto madre natura!
Con l’aiuto di una collega mi sono addobbata per la festa: mentre tutti brindavano davanti ad una fetta di panettone è arrivata la Befana dispensando auguri, brindisi e concedendo una toccatina del rigoglioso fondo schiena perchè qualcuno diceva essere ben augurante.
In quel periodo lavoravo in un open space a vista sul corridoio e quindi chi passava anche per caso si fermava divertito e approfittava di una fetta di panettone e di un bicchiere di vino.

Qualche giorno più tardi ho partecipato ad una riunione “importante”, conoscevo solo alcuni dei presenti. Un collega in particolare mi fissava incuriosito e all'improvviso nel silenzio generale:
“Ma tu sei la Befana!”.
Ecco sì io ero la befana, quella vestita da befana qualche giorno fa e che vestita da befana si sentiva anche a proprio agio ma che adesso è qui in mezzo a voi in completo grigio. Adesso io dovrei essere seria e sostituire il mio capo ma vorrei solo sprofondare e nascondermi mentre mi state puntando tutti gli occhi addosso. Ma tu chi cavolo sei che non eri nemmeno stato invitato alla festa?
“Sì, bella festa vero?”
“Non ti ho riconosciuta subito, eri proprio una bella Befana!”
Bello stronzo, non ti ho mai visto prima, mi hai dato della befana e ora mi dici anche che “ero” bella!?
“Grazie. Cosa non si fa per un po’ di notorietà!”

CONSIGLIO: Se vi volete vestire da Befana questa notte camuffatevi bene o preparatevi una serie di risposte meno improvvisate e imbarazzate delle mie nel caso qualcuno vi riconosca!

sabato 3 gennaio 2009

Ombelico

"Luca vuoi vedere il mio ombelico? Guarda Luca!"
"Marco copriti che prendi freddo."
"Ma mamma lo fanno anche loro in televisione!
"Loro chi?"
"Quelle ballerine!"
La televisione è stranamente accesa su Rai Tre, il volume abbassato. Sono le otto e non ci dovrebbero essere programmi non adatti ai bambini. C'è "Blob" e di tanto in tanto escono spassose ballerine in costume da bagno che ancheggiano mostrando ombelico e non solo.
"Vedi mamma che anche loro mostrano l'ombelico, però il loro è più grosso!"
Antonio esce dal bagno: "Ma Rena cosa sta guardando Marco?"
"L'ombelico delle ballerine!"

Ecco fino a quando delle spassose ballerine noterà solo l'ombelico "grosso" sarò in grado di rispondere alle domande con disinvoltura, avrò pochi problemi di gestione e solo qualche raffreddore in più, causa emulazione.

venerdì 2 gennaio 2009

Camminate silenziose

Spalle indietro e pancia avanti: Luca ormai cammina sicuro con le sue antiscivolo ai piedi e la sua inconfondibile andatura alla Charlie Chaplin.
Cammina soddisfatto per questa conquista: passi piccoli ma veloci che hanno sostituito completamente i suoi movimenti a "quattro zampe", piccoli passi che diventano quasi una corsa spassosa quando è rincorso dal fratello; se poi c'è musica segue il ritmo molleggiando sulle ginocchia e roteando su se stesso in divertite giravolte.
Cammina per la stanza, sempre in silenzio, un silenzio interrotto da qualche monosillabo "ia ia ia, te te te, kn knu." o da qualche vocale allungata e pronunciata a gran voce in segno di protesta se incontra ostacoli troppo pesanti o quando la sua marcia viene interrotta.
Cammina quasi sempre reggendo qualcosa tra le mani: un sacchetto di taralli, una bottiglia di acqua semivuota o i suoi insostituibili straccetti con gli orsetti blu, ritagli della stoffa usata per rivestire la culla in cui ha dormito da piccolo.
Cammina e se il suo sguardo incontra il tuo, sorride orgoglioso senza fermarsi ma a volte distratto dagli occhi che lo osservano, dimentica di guardare avanti verso la meta e così incespica e cade; se poi ti vede con le braccia allargate e un sorriso invitante ti si lancia contro in cerca di affetto e protezione.

A volte lo guardo di nascosto cercando di non distrarlo. Tutto ha un senso per lui: le camminate, i sorrisi, le risate sonore, la ricerca del fratello e la fuga da lui, un senso che ancora non riesce a comunicarci a parole e nel quale non riesco a penetrare completamente. E allora aspetto con pazienza e osservo orgogliosa e rapita le sue camminate silenziose.