Sono le 6:00 del mattino, è domenica, saliamo sull’autobus che ci porterà a scoprire le Meraviglie Walser in quel di
Ossola, un corno d’Italia in territorio svizzero tra la Val Bavona a destra e
la valle Antigorio a sinistra. La nostra escursione parte dal
fondovalle, in bassa Val Formazza. Superiamo una roccia montonata di circa 18
mila anni, arriviamo al lago di Antillone e saliamo al paesino omonimo. Poi
ancora l’Alpe Vova e su verso Salecchio Superiore e poi giù verso Salecchio
Inferiore e la località Premia con una caratteristica scuola Museo della cultura
Walser.
Tutto quello che vediamo qui è merito di una popolazione di
origine germanica proveniente dal Canton Vallese che tra il 900 e il 1300 ha
colonizzato gli impervi territori alpini che ci circondano. Un popolo
affascinante e molto amato da Giuseppe, la nostra guida, ed è lui che ci
racconta e insegna.
I Walser hanno accettato di essere eremiti di alta montagna
per essere liberi. Hanno vissuto isolati dal mondo, mantenendo intatta la loro
lingua, l’alto alemanno, e la loro cultura. Hanno plasmato la montagna con quanto la montagna offriva loro, senza
deturparla. Sono ancora visibili le testimonianze del loro duro lavoro: sentieri boschivi, abitazioni in pietra e legno, muretti a secco per delimitare terrazzamenti dedicati alle colture. In alcuni punti solo tracce che oggi stanno pian piano scomparendo perché la natura si sta riprendendo quel territorio che le era
stato sottratto dal duro lavoro di questi uomini di altri tempi.
Percorriamo a
piedi i loro sentieri, su per la montagna.
Poi succede l’imprevisto. Una brutta caduta, una ferita in fronte che spaventa, la solidarietà dei compagni di viaggio. Alcuni fermano l'escursione, altri prestano il primo soccorso, e c'è anche chi porta lo zaino fino alla meta (e due zaini in spalla mentre si sale in montagna sono impegnativi!). La solidarietà ruota intorno a quella caduta in alta quota. Chiamare i soccorsi? I Walser se li sono scelti bene i luoghi in cui isolarsi dal mondo! Solo un elicottero potrebbe raggiungerci in quel paradiso e poi non sembra così grave. E così continuiamo la nostra escursione senza più interiorizzare la natura che ci circonda, senza assaporare l’unicità di questi posti. Piano piano lo spavento per la caduta fa affiorare una nuova tensione ma ancora latente. “Non sono inciampato per distrazione, non sento la mano, non ho governato il bastone…”
A più di dodici ore dalla caduta, dopo essere tornato a valle
sulle sue gambe, dopo due ore di autobus per il rientro a Milano, una
rapidissima doccia e una breve attesa nel pronto soccorso del Niguarda, la neurologa ci conferma che la caduta è la conseguenza di altro. Oggi dopo dieci giorni
al Niguarda circondato dalla costante presenza e attenzione di medici,
infermieri e di tutto il personale della struttura, Antonio è tornato a casa e
sta bene.
Quella caduta in terra Walser ha evitato conseguenze peggiori!