giovedì 30 aprile 2009

Pronto chi è?

Nel mio cellulare ci sono tanti numeri di telefono accumulati negli anni, molti sono di colleghi e di consulenti conosciuti sul lavoro, di molti è rimasto solo il nome associato ad un volto incerto.
Il mio cellulare è anche un oggetto molto ambito dai bambini, quando riescono ad impossessarsene schiacciano i tasti a caso.
A volte disattivano la sveglia, scattano fotografie o memorizzano numeri che appartengono a strani nomi molto consonantici "dddtrrr".
Altre volte parte la telefonata a qualche collega.
L'altra sera Luca ha chiamato Antonio, un caro collega di Roma che non sentivo da quasi due anni: è stata un'ottima scusa per scambiare due parole con lui.
Marco ieri ha chiamato una tale Michela G., che non ha risposto e nemmeno richiamato.
Ma chi è Michela G.?
Urge pulizia della rubrica: finchè non ricordo chi è Michela poco male ma se il duo chiama Michele e dico di non conoscerlo, potrei ritrovarmi con qualche investigatore alle costole!
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PS: Antonio (marito) tranquillo, è solo che ieri sera son riuscita a vedere qualche scena di "Shall we dance?" su Rai Uno.

mercoledì 29 aprile 2009

In vacanza da Stoner

L’estate si avvicina e per quanto detesti andare in ferie ad Agosto anche quest’anno è l'unica soluzione compatibile con le chiusure di nido e scuola d'infanzia.
Escluso il tour in qualche nazione europea, sono rimasti mare o monti. Antonio non ama la montagna e anche a me piace molto il mare soprattutto se la meta permette di conciliare la vita di spiaggia con qualche escursione.
I bambini però detestano sabbia e acqua: a mio parere trascorrerebbero volentieri l'estate dai nonni ad Erba o Altamura. A Erba possono andare a vedere cavalli, asini e tutti gli altri animali della fattoria lì vicino; ad Altamura ci sono i cuginetti e si divertono tantissimo.
Ieri ho comunque chiesto il loro parere: inutile aspettarsi una risposta comprensibile da Luca, speranza vana non riceverla da Marco.
“Mamma andiamo da Stoner, in Australia! Viene anche Papu!”
Spiegare che l’Australia è molto lontana, molto più delle Mauritius e che Stoner probabilmente sarà impegnato in qualche gara o in ferie in altro luogo, non è servito a nulla.
Quest’anno "Australia" a casa di Stoner che ovviamente ci accoglierà a braccia aperte, anzi ci sta già aspettando.
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Vedere un bambino di tre anni e mezzo alzarsi la domenica mattina per guardare il moto GP, sentirlo urlare con trasporto ad ogni curva "Vai, vai,vai!", alzare la voce per dire al padre che sta cambiando il pannolino del fratellino che sul più bello ha fatto la cacca: "Papà-papà, l'ha superato, l'ha superato: Valentino ha superato Pedrosa", esultare per l’ex equo di Stoner e Lorenzo perché nella sua testa Stoner vince sempre e comunque, viaggiare in auto con un costante “Brum, brum, brum” nelle orecchie, è ancora accettabile ma andare a casa di Stoner in vacanza non mi sembra una buona idea.
E poi Stoner avrà posto per tutti? Papu, lo storico amico immaginario, ha una famiglia tanto numerosa quanto indefinita nel genere e nel numero.

PS: per chi ancora non lo sapesse dopo l'iniziale passione per Valentino di cui vestiva i panni cedendo il ruolo di Stoner al fratellino, da diversi mesi Marco si riconosce in Stoner e il fratello non ha più una sua ben definità identità: a volte è Valentino, altre Pedrosa o Vermeulen, spesso torna in auge il mitico Mickey Mouse.

martedì 28 aprile 2009

Discriminazione "pianeta donna"

Stamane nella mia rassegna blog quotidiana, mi sono imbattuta su questo post che rimanda ad un articolo di Silvia Ventura: “Donne in politica: il “velinismo” non serve.”
La Ventura ha tradotto e documentato un sentimento comune o quanto meno mio, un fastidio forte quando vedo in televisione la Carfagna, la Gelmini per non parlare della Santanchè.

L’articolo parte con la discriminazione delle donne in politica. Discriminazioni che dipendono in parte "dalla cultura del paese, la struttura famigliare e sociale e sono tanto più efficaci quanto meno il sistema del welfare va in aiuto alla donna rispetto all’esercizio dei suoi compiti più “tradizionali”" e in parte da una opposizione politica "riconducibile alle –resistenze- degli insider".
In Italia poi c’è una forte propensione ad "attribuire alle donne ministro ministeri di scarsa rilevanza, solitamente senza portafoglio, oppure ministeri tradizionalmente “femminili”, come l’istruzione", e per le cariche prescelte si cercano "signore, talvolta giovanissime, di indubbia avvenenza ma con un background che difficilmente può giustificare la loro presenza in un’assemblea elettiva" perché le dirigenze dei partiti "fanno uso dei bei volti e dei bei corpi di persone che con la politica non hanno molto a che fare, allo scopo di proiettare una (falsa) immagine di freschezza e rinnovamento."
Spero di non aver snaturato l'articolo con i miei taglia e incolla, ma vi consiglio di leggerlo. L’articolo si conclude con una frase tanto ovvio quanto spesso dimenticata:"...le donne sono, banalmente, persone."

La scelta della destra italiana è forse una delle poche cose azzeccate di questo governo: cotante donne attirano l'attenzione di molti, meglio se il volume della televisione è basso basso però.
Molte grandi società chiedono di allegare al curriculum una fotografia; in molte aziende le poltrone più alte sono occupate da persone belle e affascinanti (spesso uomini e fortunatamente preparati). Che la bellezza sia una marcia in più non è negabile a mio parere, che diventi l’unica marcia fa riflettere; se poi dietro non c'è niente, peggio ancora. E a me pare proprio....

Ma non è tutto, l’articolo si apre con un accenno alla discriminazione nei confronti delle donne a causa della cultura del paese, al sistema di welfare "mancante"…tutto vero, tutto ovvio, tutto talmente abituale da non fare notizia.
Però le parole del premio Nobel Rita Levi Montalcini dette domenica nella intervista rilasciata da Fazio, mi hanno dato un po' fastidio. Pare che all’età di tre anni a seguito di un rimprovero di suo padre -non di sua madre- la Montalcini abbia pensato che lei non si sarebbe mai sposata, non avrebbe mai avuto figli perché aveva cose più importanti da fare.
Che lo dica una signora di cento anni, per quanto premio Nobel, è ancor accettabile, che rappresenti ancor oggi la realtà “o figli o carriera” è molto triste.

lunedì 27 aprile 2009

Un carillon bianco con fragole rosse...

Oggi non è giornata di scrittura, ma quando sono entrata in ufficio ho trovato la mail di mia cugina Carla.
Carla è una delle poche, forse la sola, cugina che legge il mio blog. Non ci vediamo da anni, però ultimamente l’ho scoperta più vicino a me. Sarà la maternità: Carla ha tre figli, tutti maschi; sarà che crescendo si apprezza l’importanza di alcuni affetti di cui non ci curiamo quando sono quotidiani; sarà la potenza di Internet.

Ogni volta che vado a trovare i miei e gli porto i tuoi saluti: “Mi ha scritto la Carla, sta bene e vi saluta tutti…” mio padre parte con il suo solito incipit: “Ah Carletu! L’è nasùda che me andavi a suldà. L’ho vista cress, l’era spess in Canterana, l’era la prima e l’era sempar cumpiacenta cun tutt” che tradotto: “Sì Carletu! E’ nata quando io partivo per il servizio di leva. L’ho vista crescere, era spesso in Canterana (la casa in cui è cresciuto mio padre), era la prima nipotina ed era sempre sorridente con tutti”.
La tua telefonata di Natale l’ha riempito di gioia, non lasciava più il telefono e aveva anche qualche lacrima agli occhi, per il fumo ha detto lui, e a fine telefonata ha raccontato a tutti i presenti: “Lè la tusa del me por Giuan, l’è semper stada cumpiacenta, la abita giò là adess, insema ai maruchet.” in altro idioma:“E’ la figlia di mio fratello Giovanni, che non c’è più, è sempre stata molto cordiale, adesso abita laggiù in Siria”.
E poi si ferma perché il papà è un po' allergico alla lontananza, avrebbe voluto tutta la sua famiglia vicino; per aiutarmi a lasciare Milano di tanto in tanto mi propone qualche affare immobiliare in zona e tornando a te, spera sempre di vederti tornare: “Ma la ga che la cà, la po' turnà quand la vor” che tradotto: “Ha qui la casa può tornare quando vuole!”

Cara Carla ricordi quando il pomeriggio passavi a trovare la mamma e ti fermavi a bere il caffè? Eri sempre sorridente e allegra e la mamma era contenta quando ti vedeva arrivare. Mi ricordo di un giorno d’estate, in un bicchiere era caduta casualmente una zanzara e si era conservata praticamente intatta e tu, arrivata in quel mentre, eri felicissima perché ti serviva un insetto per una ricerca di scienze.
Ricordo che un pomeriggio, qualche giorno dopo la mia prima comunione, eri venuta a portarmi un porta gioie/carillon di legno bianco con sopra disegnate tante fragole rosse. Quando lo apro si alza una ballerina dal tutù rosa che danza sulle note di “Per Elisa”. Esiste ancora sai? Recentemente ho dovuto sottrarlo dalle grinfie di Marco che l’ha adocchiato e che avrebbe cercato di sezionarlo.
Mi ricordo di Nisar che veniva sempre a trovarci al Capannone con il nonno che cercava di insegnargli il dialetto e lo chiamava "Nisaren". Mi ricordo quando è nato Omar: avevo accompagnato mia mamma al Sant'Anna ma ero rimasta ad aspettare sulla mia Centoventisette Special perchè non c'era parcheggio. La mamma scendendo mi disse che stavi bene, che era stato un parto difficile, l'ultimo -si pensa sempre in quei momenti- e invece pochi anni dopo è nato Karim.
E poi sono arrivati i miei figli: la prima volta che ho portato Marco a casa dei nonni, ti ho trovata in giardino ad aspettarmi con tutti i tuoi bimbi che non volevano saperne di salire in macchina.

Sono contenta di questa nostra vicinanza via Web. Io e Antonio ne parliamo spesso, non subito forse ma una vacanza dalle tue parti ci scappa quanto prima.

sabato 25 aprile 2009

Perchè?

Finisci il turno in ospedale, guidi per 20 km su strade di montagna, fermi l'auto sulla rampa di fronte al garage, scendi per aprire. Ti accorgi che l'auto sta scivolando, che la ruota di scorta ti sta guardando ed è sempre più vicina, porti le braccia in avanti per difenderti o per cercare di fermare l'auto.
Morire così a 33 anni è stupido, assurdo, inaccettabile.

Mai come in questo momento mi sto ripetendo che deve esistere una vita oltre questa, non può finire così in un attimo, non è giusto.
Ti ho visto l'ultima volta al funerale dello zio Luigi, mi aveva colpito la compostezza del tuo dolore, sembrava tu riuscissi a domarlo prima di farlo sfogare. Mi avevano colpito i tuoi occhi mentre incrociavano quelli di tua sorella. Cosa farà lei ora? Insieme avete detto addio alla mamma dopo anni di malattia, insieme avete salutato il papà dopo lo stesso calvario. Tu eri la grande, tu la donna. E ora?
Non so se sto piangendo per te o per lei che a 23 anni sta dicendo un'altra volta addio.


venerdì 24 aprile 2009

Il mio centro estetico

Il signor Marco è il mio parrucchiere di fiducia.
Fisso quasi sempre appuntamento nel tardo pomeriggio e generalmente nella stessa giornata riceve la mia amica Carla che ha i capelli lunghi e ricci; la mia amica Piera che cambia spesso acconciatura e altre amiche di cui non ricordo il nome ma che assomigliano tutte a me. Il signor Marco lava i capelli mentre me ne sto comodamente sdraiata sul divano, poi taglia, asciuga mentre pettina i capelli con la sua spazzola arancione; a volte decide che è ora di cambiare colore e si diletta in tinte color pastello. Cerca anche di darmi del Lei, parte con signora Renata e finisce con mamma.
Da qualche tempo ha un nuovo aiutante: il signor Luca che si occupa principalmente del trucco anche se a volte fa esperimenti sui capelli con la sua spazzola azzurra. Il rossetto è il Suo punto di forza: dà luce al volto e a quello che fa da contorno, utilizza una tinta color mattone che ben si intona con la mia carnagione e con il divano di cui sopra.
Nel centro estetico c'è anche il reparto massaggi. La tecnica è piuttosto innovativa: con una spazzola rossa, molto simile a quella che io utilizzo per spazzolare gli abiti, cercano di tonificare le gambe. A me più che una seduta di massaggi sembra di stare seduta a fare la ceretta ma pare che i benefici non siano immediati. Staremo a vedere.
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Con la febbre... ritornare ai giochi invernali non è esattamente un piacere!

giovedì 23 aprile 2009

Del tetra pak, della plastica e del sig. P.

Dopo una serie di multe prese per una non corretta raccolta differenziata il sig. P, il vicino del secondo piano, si è giustamente arrabbiato.
Ha appeso un bel cartello sulla bacheca delle comunicazioni condominiali, aggiunta da poco accanto alla mensola del book sharing, minacciando che avrebbe costretto i trasgressori a pagare l’intera multa del condominio se avesse ricevuto un'altra notifica da parte del Comune.
Il sig. P. che non è solo uomo di parole e ha parecchio tempo libero, si apposta spesso ad osservare i bidoni dell’immondizia e richiama all’ordine quanti buttano nel bidone della carta il sacchetto di plastica dove la carta da eliminare viene raccolta, rimprovera chi non toglie il tappo di latta dalle bottiglie di vetro e quello in plastica dai cartoni in tetra pak.
Il sig. P. ha ragione, un po’ pignolo, un po’ eccessivo ma ha ragione.
Però la raccolta del tetra pak insieme alla carta non mi convinceva, così ho fatto qualche ricerca in internet: a Milano la scelta di gettare i contenitori in tetra pak, lavati e puliti, insieme alla carta, è corretta.
Se vi interessa questo è il risultato della ricerca.

Il tetra pak è formato da strati di polietilene (20%) alternati da un foglio di carta (75%) e uno di alluminio (5%). Il tutto interamente reciclabile in nuova carta e nuovo materiale plastico grazie ad un accordo con il Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli imballaggi a base Cellulosica). Una volta raccolti, i cartoni sono portati in cartiera dove grazie alla azione centrifuga di una sorta di frullatore, la parte cellulosica viene separata da alluminio e polietilene. Le due componenti derivate vengono lavate e filtrate: la prima entra nel processo di produzione della carta reciclata, la seconda (alluminio/polietilene) viene inviata all’impianto di rigenerazione della plastica.


Rincuorata e speranzosa di contribuire un poco alla corretta e consapevole raccolta differenziata; felice di non cadere sotto i rimproveri del sig. P. che già una volta trovò un vasetto di omogeneizzato con tappo in latta nel contenitore del vetro; orgogliosa della mia accresciuta cultura: ho continuato a leggere e informarmi.
Ho scoperto che piatti, bicchieri e altri oggetti in plastica, non vanno nel bidone della plastica; mentre bottiglie e flaconi, sì. Certo più semplice ricordare questo che separare la parte in sola plastica di alcuni contenitori in tetra pak.

Però quasi quasi ora mi apposto io. Dite che il sig. P. sa dove buttare i bicchieri di plastica?

PS: vi aggiungo questo sito e questo che ho messo nei commenti.

mercoledì 22 aprile 2009

Quanto conta la passione

C'era una volta una giornalista che decise di aprire un blog.
Ogni articolo si presenta in tre parti distinte, amalgamate e di pari importanza: uno scatto fotografico, una premessa scritta da professionista della penna che in certo modo introduce anche alla ricetta e la ricetta.
Per quanto io non abbia un grande amore per la cucina, il mix nel quale mi viene presentata la ricetta mi ha portato a leggere e a sperimentare: una sera ho provato "lo studel delle pulizie", davvero ottimo.
Poi un giorno non ho più trovato articoli pubblicati, il blog era in pausa perchè la giornalista e altre amiche stavano lavorando ad un progetto e così sono rimasta in attesa di questo parto.
Ieri ho scoperto la nuova creazione.
Sono entrata nel sito: semplice da navigare, rilassante nei colori, foto d'autore i primi piani dei piatti, semplici le ricette.
Ieri sera a casa mia: "spaghetti capperi e cavolfiore".

Sono contenta che qualcuno abbia finalmente pensato che si può cucinare bene senza spendere troppo e poi mi fa davvero piacere vedere che una donna, una professionista sia riuscita a trovare una nuova dimensione che le consente di vivere al meglio la sua maternità senza rinunciare alle sue passioni, anzi un lavoro che parte dalle sue passioni: il giornalismo e la cucina. E poi il sito è stato creato da un gruppo di donne e amiche, un caso di imprenditoria al femminile: parte tecnica, grafica, foto, ricette.... tutte donne. Vi lascio alla presentazione del sito che merita una lettura.

Babuska un bel progetto davvero, un grosso in bocca al lupo a tutte e non smettere con il blog, è davvero piacevole leggere i tuoi post.

martedì 21 aprile 2009

Ma se tu e papà andate in cielo?

"Mamma ma se tu e papà andate in cielo chi mi viene a prendere a scuola?"
Ieri all'uscita dalla scuola d'infanzia Marco era particolarmente turbato. Continuava ad insistere con la domanda, cercavo di consolarlo e di rassicurarlo sulla nostra costante presenza ma nulla. La morte della gallina prima e di Leo, un cane ucciso da un fulmine anni fa la cui storia è riemersa venerdì sera durante un violento temporale, hanno ripresentato in modo drammatico il tema della morte.
Se fino a poco fa le domande erano dettate dalla curiosità di questo cielo misterioso nel quale non vede mai camminare nessuno e dal quale nessuno di quelli che presumibilmente ci sono arrivati, scende; ieri c'era dell'altro: aveva paura di restare solo.
A nulla è servito il tentativo di procrastinare la nostra morte in una età in cui lui sarebbe stato adulto e noi molto anziani e non aveva torto: la morte non ha età anche se mi fa paura dirlo e solo pensarlo.
E' stato lui stesso a trovare una soluzione: "Mamma se tu e papà andate in cielo, viene lo zio Giò a prendermi. Va bene, me lo prometti?"
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Caro Marco, te lo prometto e lo urlo a me stessa e a quel Dio che sta lassù.
Ti prometto che io e papà saremo sempre con te e con Luca. Vi staremo accanto fino a che sarete adulti, vi seguiremo e assilleremo di consigli, vi annoieremo con la nostra presenza e ricorderemo di quanto siamo stati indispensabili durante i primi anni della vostra vita. Allora ci direte: "Non rompete, non capite nulla, che palle!" Perchè lo direte, lo sappiamo, ma avremo i nostri ricordi: gli abbracci, la spontanietà e le gioie che ci state regalando e i capricci che non sempre riusciamo a gestire al meglio e che a volte sono insopportabili: i primi forse ci faranno venire le lacrime agli occhi e i secondi sorridere.
Ci saremo, deve essere così, spero.

lunedì 20 aprile 2009

Anche senza Ornitogallo

Premessa numero 1.
Quando nacque Luca, Marco e Antonio mi regalarono una bellissima orchidea viola screziata di bianco-giallo. La piantina era in un vaso di vetro dalla forma circolare e sopra la coibentazione c'era della rafia giallognola: una bella composizione.
Tempo due giorni di quella bella composizione era rimasto solo il vaso in vetro, quattro foglie e due lunghi steli spogli. Nel terriccio si era nascosto un piccolo bruco verde che notte tempo si è pappato tutti i fiori e che al mattino se ne stava sdraiato su una foglia, satollo.
Di lì a qualche mese di "la fu bella composizione" rimase solo il vaso in vetro.
Premessa numero 2.
Sabato undici aprile, siamo andati insieme ad alcuni amici in un vivaio in quel di Altamura. C'erano vasi da interno molto belli e tanti tipi di piante da esterno. Mi sono piaciute molto delle paintine di Ornitogallo e ne ho comperate alcune da regalare in loco. Mi ero ripromessa di andare nel solito vivaio il sabato successivo per acquistarne anche per me.
Ebbene Sabato non sono riuscita a trovare alcuna pianta di Ornitogallo. Pare che nei vivai della zona si preferisca vendere i bulbi o il fiore reciso. Domenica ho riprovato con un vivaio più grande ma anche lì nessun Ornitogallo.
Conseguenza.
Di vivaio in vivaio qualcosa ho comperato. Ieri pomeriggio ho ridato vita ai balconi con composizioni di gerani rampicanti, rossi; ma soprattutto ho visto rifiorire il vaso di vetro, quello della orchidea. Tre piantine di Beaucarnea, un Ficus Repens Sonny formato bonsai e una piantina a fiorellini rossi di cui non conosco il nome: un bellissimo centro tavola. Finalmente anche casa è arrivata la primavera, peccato che fuori piova.

sabato 18 aprile 2009

Flash Back

Ieri ho partecipato ad una riunione nella mia vecchia sede.
L'incontro era alle 9:30. Alle 8:00 ero in sala riunione in attesa di capire il mio ruolo: ormai in quanto mamma che lavora non mi aspetto più nulla e sono serena.

Ho chiamato Moreno per un saluto e un caffè. E' stato uno dei primi colleghi che conobbi. Spesso siamo andati in trasferta a Roma insieme: il boss e la matricola; a Napoli abbiamo convinto il tassista a fare un giro panoramico della città prima di raggiungere l'aereoporto, tutto compreso nella tariffa massima rimborsata dalla azienda; in altra circostanza il metal detector continuava a suonare, togli questo, togli quest'altro, lui e Tiziano hanno intonato un "Nuda, Nuda!" che ancora ricordo; poi la gita a Venezia insieme ad altri cinque colleghi: la riunione era finita in anticipo e Venezia era vicina.

E' iniziata la riunione: nella sala c'erano piu di dieci persone e in call conference sei o sette. Accanto a me Maurizio, il mio ex capo, quello che mi ha assunto più di otto anni fa, l'amico di oggi (se non fosse per lui e Donatella sarebbero molto più tristi le giornate in ufficio): come sempre era il più preparato, il mondo del gas non ha segreti per lui.
Al telefono anche Mauro, un collega del territorio che conobbi quando ancora Milano era la sede amministrativa principale, lui era uno dei responsabili territoriali e io l'assistente del capo contabile. Mauro ha riconosciuto la mia voce: "ciao Renata".

E' stato come vivere in un flash back: sono ritornata indietro di otto anni, al periodo in cui avevo conosciuto tanti colleghi che erano amici. Erano anni in cui si lavorava tanto e bene. Non è corretto sputare nel piatto in cui si mangia, ma quando mi guardo intorno ora, quando incontro e parlo con i colleghi, quelli che c'erano anche i primi tempi, provo tanta nostalgia per l'azienda di allora, il modo di lavorare, la complicità e la professionalità.

venerdì 17 aprile 2009

Al parco

Ritornare al parco in questi giorni mi ha ridato energia.
I bambini si divertono moltissimo.
Marco si sta dimostrando meno egoista dello scorso anno e sta nascendo una certa complicità con il fratellino: loro due da un lato e gli altri dall’altro; senza esagerare ovviamente!
Ha portato la sua bicicletta rossa e, stanco di pedalare, l’ha affidata al fratello: "Luca me la curi?". Luca non sembrava interessato e così Marco ha ceduto alle insistenze di un altro bambino: "Te l'ha presto. Ok. Però quando torno me la ridai! Va bene?".
Il tono è sempre lo stesso: categorico, imperativo, plateale. Ma almeno non ha detto:"Nooooooo!"
La sua voce si sente per tutto il giardino, le sue grida anche. Meno egoista con gli altri , un po’ più prepotente e insistente con me. Le sue richieste non sono domande, sono ordini urlati, sbraitati.
Ha anche imparato a scendere dallo scivolo: a tre anni e mezzo era ora!
E con lui Luca, decisamente più impavido: non vede il pericolo, si diverte, ride, corre e a volte cade. Ama camminare tra una giostra e l’altra, si guarda intorno senza infastidire nessuno, senza importunare eccessivamente con gesti, tantomeno con la voce.
Ad entrambi piace l’altalena. Li spingo uno a destra e uno a sinistra. Marco ride di gusto ma se la spinta è troppo forte, urla: "Basta!!!!!!!". Luca invece vuole solo ondeggiare piano, se acquista velocità mi guarda terrorizzato: parla con gli occhi.
Io ho ritrovato alcune amiche, alcune mamme e nonne conosciute lo scorso anno e altre nuove. Molte donne sono in attesa. Non è semplicissimo fermarsi a parlare mentre corro dietro all’uno o all’altro ma si può, non potrei farne a meno.

Poi.
Stavo spingendo Marco sulla altalena e avevo Luca in braccio. A lato c’era un'altra bambina. Alternavo le spinte tra Marco e la bimba. Vedevo la madre seduta a chiacchierare da tempo con altre donne che non conoscevo e confesso di avere pensato: "Potrebbe anche alzare il fondoschiena!"
Poi la madre è arrivata mentre la piccola, 4 anni, litigava con il fratellino su chi dovesse stare sulla altalena. Pensavo: "Decideranno chi deve salire per primo e poi li spingerà!".
Invece la madre li ha rimproverati entrambi e ha aggiunto: "Chi si sa spingere da solo sale, dovete imparare!".

Non mi ha guardato, non ce n'era bisogno.

giovedì 16 aprile 2009

"Malamore"anche in biblioteca

In Feltrinelli ho visto un libro tra le "Novità", ho letto il nome dall'autrice e alcune righe sulla copertina interna.
"Le donne hanno più confidenza con il dolore. E' un compagno di vita, è un nemico tanto famigliare da essere quasi amico. Ci si vive, è normale. Strillare disperde le energie, lamentarsi non serve. Trasformarlo, invece: ecco cosa serve. Trasformare il dolore in forza."
"Le storie che ho raccontato sono scie luminose...: cosa ci induce a non respingere, anzi a convivere con la violenza? Perchè sopporta chi sopporta, e come fa?"
L'ho comprato.
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Il giorno dopo un collega mi ha parlato di una nuova biblioteca aperta a Milano e del sito on line della stessa.
In biblioteca non metto piede da anni: alle scuole medie e superiori andavo spesso a cercare libri, a fare ricerche o semplicemente a leggere. Poi ho perso l'abitudine.
Però mi sono collegata al sito e ho cercato il titolo del libro acquistato da poco. C'è.
A Milano le biblioteche sono molto più fornite e aggiornate di quelle del mio paese, o di come era quella del mio paese anni fa. Mi sono riproposta di andare a prendere qualche libro non solo per una questione economica ma anche di spazio: abito in un appartamento di settantacinque metri quadri non in un attico di duecento.

Ho letto il libro e se l'avessi preso in prestito, sarei andata ad acquistarlo dopo il primo capitolo. Ci andrò in biblioteca comunque, ma ci sono libri che meritano di restare sullo scaffale di casa.
Vite di donne, dei loro aguzzini o carnefici. Vite reali, tremendamente tristi e dolorose. Vite su cui riflettere, in cui ritrovare frammenti della propria storia. Ti invadono, si imprimono nella mente e sei costretto a dire "io no, fortunatamente" o ancora "io anche, purtroppo".

Malamore
-Esercizi di resistenza al dolore - di Concita De Gregorio_16 euro.

mercoledì 15 aprile 2009

Nel momento del bisogno

Pochi giorni fa in Italia c’è stato il terremoto.
Molti ne hanno parlato: TV, giornali, blog. Non ho saputo aggiungere nulla al tanto, troppo già detto da altri e nulla voglio dire ora. Ieri però al rientro in ufficio ho trovato la mail di un collega, che iniziava così:
“Ciao a tutti. Sono giunto a l'Aquila …" "…Qui c'è davvero bisogno di tanto ragazzi. Mancano scarpe, vestiti, pannolini, assorbenti, biancheria intima, ecc. Al momento vi chiedo di acquistare e procurare dell’intimo... Rientrerò a Milano martedì e con quello che avrò recuperato, ripartirò per consegnarlo."
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Se c’è un aspetto che non manca nel posto in cui lavoro è la solidarietà nel momento del bisogno.
Non parlo della solidarietà da parte della azienda, dei vertici insomma che si muovono per altri canali, forse meno spinti da spirito di fratellanza e più dalla pubblicità che ne deriva, ma un aiuto è un aiuto e va sempre bene.
Parlo della solidarietà tra colleghi che non si conoscono ma che con una mail raggiungono tutta l'Italia.

Ricordo due anni fa il caso di un collega e amico che ha avuto un grave problema famigliare: doveva stare lontano dal lavoro per parecchio tempo e per giunta lontano da casa, aveva bisogno di un supporto economico immediato. E’ bastata una mail e in pochi giorni siamo riusciti a raccogliere migliaia di euro.
Tanti sono i motivi che in questo periodo mi hanno portato a criticare l’azienda, ma le persone che ho conosciuto e le testimonianze da parte di chi non ho mai visto in viso, sono davvero speciali.

martedì 14 aprile 2009

Valigie da Nord a Sud

Prima di partire per le vacanze faccio una lista del necessario, dispongo tutto sul letto o accanto allo stesso e poi tutto in valigia.
Generalmente due valigie ben chiuse e ordinate e una piccola borsa a mano con l’occorrente per il viaggio: cambio per i bambini, libricino di fiabe da leggere, un pacchetto di biscotti e dell’acqua. Se la meta è da raggiungere in auto, dispongo il tutto nel baule, lasciando il minimo indispensabile nell’abitacolo.
Al rientro presto meno attenzione all’ordine in valigia: tanto è tutto da lavare. Generalmente torniamo con le stesse cose con cui siamo partiti, solo qualche prodotto locale che ci ha particolarmente colpito può fare eccezione.
Insomma avrete capito che la gestione è mia dalla A alla Z, per necessità e scelta.

Se però la meta sono i nonni in Puglia, tutto cambia.
Io penso di preparare le valigie, ma quando tutto è pronto spuntano sacchetti e pacchi che non avevo considerato.
Frasi come: “Ma mica possiamo viaggiare come barboni per portare tutta sta roba a Milano!” erano solo la premessa di un fastidio profondo e di una crescente incazzatura. Non vi dico poi quando si è rovesciata in auto l’acqua dei bocconcini o quando ho confuso la bottiglia in cui era stato messo l’olio per una bottiglia d’acqua. Ma sono ricordi vecchi ormai.
Due gli aspetti che non sopportavo: l’invadenza e la perdita di autonomia nella gestione delle valigie oltre al dover viaggiare come “barboni” appunto.
Onde evitare questioni e litigi prima della partenza ieri ho lasciato carta bianca, non ho detto quasi nulla, ad eccezione di quando ho scoperto che le mozzarelle e i formaggi freschi erano stati schiacciati nella stessa borsa dei vestiti. Tanto non esce nulla!
Le tre lavatrici fatte prima di cena sono state la testimonianza del tanto non esce nulla, lì devo dire che i buoni propositi erano già svaniti e l’incazzatura alle stelle.

lunedì 13 aprile 2009

Pasqua con i tuoi

"Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi!" recita un proverbio.
Dopo novecento chilometri per raggiungere i parenti, diventa doveroso modificare l'adagio.
Ieri in 17 a tavola: suoceri, cognati, nipoti e ovviamente noi. La cuoca è sempre la nonna, ad eccezione della carne arrosto, cucinata sul balcone come vuole la tradizione, che spetta al nonno.

Per anni ho vissuto questi ritrovi in occasione del Natale o della Pasqua con ansia e insofferenza: il susseguirsi di portate, le ore trascorse a tavola, la scarsa famigliarità con gli altri commensali e il rapporto molto conflittuale con mia suocera, rendevano la giornata difficilmente sostenibile.
Ieri è stato un poco diverso.
Complici i bambini che si sono divertiti tantissimo con i cuginetti, la giornata piovosa che non avrebbe permesso altro e la maggiore sintonia con i parenti.
Non posso dire che il rapporto sia diventato idilliaco: abitudini, tradizioni, carattere ci dividono e la lontananza non aiuta certo nei rapporti, però questa volta è andata molto meglio e ne sono felice. Ma è proprio necessario cucinare tanto per un pranzo!

sabato 11 aprile 2009

Una famiglia allargata in gita

Lo Zoosafari di Fasano, per quanto discutibili alcune scelte di gestione, ci ha regalato una bella giornata in compagnia dei cuginetti.
I visitatori, quelli che non facevano domande, ci guardavano con ammirazione forse per il numero di figli, forse per le possibilità economiche che ci attribuivano. C'erano con noi tre cuginetti di nove, dieci e quasi tredici anni: diciotto euro a testa (sopra i tre anni) non ci è sembrata una cifra da poco e sicuramente proibitiva per molte famiglie con cinque figli reali.

Lo zoo è diviso in aree.
Il "safari" offre una grande varietà di animali e per ogni specie si incontrano diversi esemplari. Si possono osservare orsi che lottano tra di loro; zebre che non si risparmiano calci; elefanti che bevono portandosi l'acqua in bocca dopo averla aspirata con la proboscide; leoni sdraiati sotto il sole; struzzi che bussano al finestrino con il becco; giraffe che si avvicinano per farsi imboccare.
I bambini si sono divertiti moltissimo e continuavano a fare domande entusiasti: Luca voleva stare con la testa fuori dal finistrino ed erano pianti ogni volta che incontravamo cartelli di divieto perchè in presenza di animali pericolosi.
Qui tutti gli animali hanno molto spazio in cui muoversi ed è tutto molto curato. L'unica pecca è l'accesso in auto; nei giorni festivi la coda è costante da mattina a sera: un bel trenino elettrico non sarebbe una brutta idea!

Quello che proprio non mi è piaciuto sono la sala tropicale e la mostra ornitologica. Nella prima sono entrata per necessità e mi sono stupita di me stessa. Generalmente non riesco a guardare i rettili e non vado pazza per i pesci, ma con le debite ditanze e non senza qualche brivido ho fatto un rapido giro e quegli animali in gabbia mi hanno fatto una gran pena. Se rettili e pesci sono costretti a vivere in piccole gabbie di vetro, gli uccelli non stanno meglio. Animali bellissimi per colori e forme ma tristi nelle loro gabbie strette e solitarie. Se ci fosse stato un questionario da compilare su come migliorare lo zoo, avremmo almeno potuto manifestare il nostro dissenso per gli spazi loro dedicati.

Ottimo invece il lago dei grandi mammiferi e il villaggio delle scimmie, come tutti i restanti raparti faunistici.

Comunque l'esperienza a cinque figli è stata davvero piacevole e il giorno successivo abbiamo incrementato la famiglia.
Per la nostra abituale escursione al Pulo, si è aggiunta la cuginetta più piccola: sei anni.
Non abbiamo intenzione di allargare la famiglia così tanto, ma i cuginetti sono davvero dei ragazzi splendidi: educati e molto collaborativi. Ci hanno regalato due bellissime giornate.

venerdì 10 aprile 2009

Una botta e via e non solo

Rudi, prima liceo, fa l’amore per la prima volta con una ragazza. Per entrambi l’essere ancora vergine, alias lo sfigato del gruppo, è un neo da togliere. Lui si innamora di lei: lei voleva solo fare l’amore (un po’ di confusione tra sesso e amore, succede). Rudi soffre e lascia la scuola. Giulio, il padre di Rudi, cerca di capir cosa è successo al figlio. Casualmente incontra la ragazzina che gli dice: “E’ colpa mia abbiamo fatto l’amore, per me è finita lì, lui si è innamorato”. Giulio cerca il figlio, lo abbraccia, gli chiede scusa per non essersi accorto di quanto sia cresciuto, lo rassicura.
“I Cesaroni” puntata di venerdì 3 aprile.

Mi ha fatto riflettere.

Quindici anni, vergine, la sfigata del gruppo. Mi sono messa nei panni di quella ragazza e ancor più in quelli di sua madre: “Ho una figlia innamorata di un ragazzo, forse domani lo sarà di un altro, ho cercato di insegnarle il rispetto per sé stessa e per gli altri, l’importanza di essere libera, abbiamo parlato del pericolo malattie, siamo andate dal ginecologo insieme, è informata. Fare l’amore è parte della vita, se poi me ne parlasse sarei ancora più felice.”
Però quello del film non è amore, non è nemmeno una cotta, questo è “una botta e via, la prima botta e via” per non sentirsi sfigata, per essere accettata dal gruppo delle amiche, per non essere diversa.
“Certo ha sbagliato ad “usare” un’altra persona, forse è colpa mia che non ho lavorato abbastanza sulla stima di sé, ma ha quindici anni, ha fatto sesso non si è bucata. L’ha fatto per farlo, perché tutto urla sesso intorno. E' poi così sbagliato?” e ancora "Se la scena fosse stata recitata da un ragazzo, ne avrei parlato?"

E poi il ruolo del padre che si accorge del disagio del figlio, cerca di capire, indaga e poi abbraccia, accoglie, consola il figlio maschio.

Ho apprezzato la scelta del ruolo maschile e femminile: lei una botta e via, lui innamorato. E ancora di più il padre.

L'ho apprezzato ancora di più sapendo che è una fiction molto seguita da ragazzi e famiglie e questa sera il seguito.

giovedì 9 aprile 2009

Ad Altamura

Eccoci ad Altamura.
Qualche giorno per ritrovare parenti e amici. Qualche giorno per farci rapire ancora una volta dalla bellezza della campagna con i suoi colori e gli odori che la primavera offre; la murgia arida, pietrosa dove la vegetazione pur presente sembra avere paura di mostrarsi; i resti delle mure megalitiche e poi il centro storico: i claustri, le vie lastricate con pietre (i chianchi), il corso che da Porta Bari sale fino a Porta Matera regalando a metà percorso la cattedrale: magnifica, imponente, penalizzata forse dalla piccola piazza e dalle tante case costruite tutte intorno, pur sempre bellissima.
Eccoci tra poco iniziano le nostre passeggiate, i nostri incontri perché anche se non ci sei nato, anche se ci sei per pochi giorni all’anno trovi sempre qualcuno camminando per strada che si ricorda di te o che ti chiama da lontano “Renata, ciao. Come state? Quando siete arrivati? Quando ripartite?” Ecco: le persone.

mercoledì 8 aprile 2009

Scuola di Vita

"Sto per diventare mamma, sono felicissima. Devo informarmi di questo esserino che ho dentro, di lui non so nulla. Solitudine, io? Neanche per sogno."

Poi i miei figli sono nati: il parto naturale “che sguscerà via in una sensazione liquida e piacevole che si imprimerà nella memoria per sempre”; il senso di vuoto e di strappo per quel cesareo improvviso; la stanchezza; il bisogno di non farsi assorbire totalmente dai figli e il riuscire a dire: “spesso gioco con i miei bambini e li coccolo mentre leggo un libro".
E Marilde tutto questo lo racconta traducendo in un linguaggio semplice e fluido sentimenti, dubbi, paure che ho vissuto e che pensavo fossero solo mie. La solitudine del silenzio, del non detto, del credere particolare ciò che dovrebbe urlare la sua universalità.
Grazie alle sue parole sta aumentando dentro me la consapevolezza di ciò che non voglio essere.
Parla di madri, di donne, di uomini e di padri , del loro ruolo: "... e dimenticare un rapporto paritario con i propri figli, perché non è affatto sano per un figlio avere un padre per amico.”
Ma il libro va oltre, introduce in un mondo affascinante e a me sconosciuto: i laboratori di arteterapia e l'esperienza delle donne che ne hanno preso parte.

Mi sono chiesta perchè non consigliano il libro al corso preparto (o forse ora lo fanno): la parola "solitudine" mi avrebbe fatto desistere dalla lettura durante la gravidanza ma avrei sentito il bisogno di leggerlo subito dopo.

"La solitudine delle Madri” di Marilde Trinchero. L'ho trovato al reparto maternità in Feltrinelli, l’avrei messo in un’altra sezione: “vita”.

PS: Grazie Marilde!

martedì 7 aprile 2009

Studio Illegale e/o Zelig?

Si è conclusa da poco una piacevolissima serata. Non vi voglio parlare del regalo di Giovanna e Andrea che tanto ho apprezzato e ai quali dico ancora una volta "Grazie"; nè delle parole di Antonio: "Stai benissimo vestita così, vai che fai tardi!".

Poche ore fa la mia amica Isa ed io pensavamo di andare alla presentazione del libro di Federico Bàccomo, alias Duchesne.
Lui, un giovane avvocato milanese, ha ricevuto molte mail di ragazze con annesse foto osè quando ancora era Duchesne, riceve solo messaggi con scritto "sei simpatico" da quando è diventato Federico.
E Federico è davvero simpatico, estroverso, esilerante; la battuta sempre pronta e raccontata con arte. Si insomma lui è quello del blog.
"Ho detto ai miei genitori che avevo scritto un libro il giorno che è uscito in libreria, non è stato facile spiegare a mio padre perchè il capo (quello stronzo, Giuseppe) porta il suo nome" e ancora e ancora e ancora...
E poi il libro di cui ho già parlato qui: divertente sì, ma crudelmente reale. Le due ore di dibattito di ieri hanno offerto anche interessanti spunti di riflessione: cosa consigliare alle nuove leve; dire basta, mollo tutto, solo quando ci si rende conto che non è la nostra strada, che non abbiamo ambizioni in un certo campo o quando la vita urla per essere vissuta; la capacità di ascoltare di Andrea Campi che io per prima dovrei imparare e ancora il richiamo a Fantozzi e ...

Dicevo, poche ore fa la mia amica Isa ed io pensavamo di andare alla presentazione del libro di Federico Bàccomo, alias Duchesne; siamo uscite convinte di essere state a Zelig.
Federico forse scriverà ancora, forse lo ritroveremo sulla copertina di qualche CD ma sono certa che presto o tardi approderà a Zelig.

lunedì 6 aprile 2009

Gallina decapitata, con pigiama, forse va in cielo

Marco ieri è andato in pollaio con il nonno.
C'era una gallina che stava per deporre l'uovo ma era grosso, troppo, e la massa grassa dell'animale ostruiva la fuoriuscita, come ha svelato l'autopsia. La gallina soffriva e le altre amiche del pollaio hanno iniziato a beccarla proprio sul deretano.
L'intervento del nonno non è servito: deposto l'uovo, sono uscite anche le interiora. Occorreva sopprimere il pennuto.
Nel frattempo Marco era stato raggiunto da Antonio. Non ha visto il nonno mentre sgozzava la gallina, ma l'ha vista balzare in piedi e scuotersi come una invasata, senza testa.
Si è spaventato, ha iniziato a piangere e a fare domande.
Così quando il nonno ha spennato la gallina (e ancora non so se abbiamo fatto bene) io e Antonio siamo rimasti in giardino con Marco, osservavamo in disparte tra un gioco e l'altro. Il vederla inerme l'ha rassicurato.
Questa la parte drammatica della storia e anche quella che mi ha fatto riflettere non poco su quello che vivono i bambini in guerra quando vedono persone, non galline, perdere la vita.


Non so se avete mai visto una grassa gallina senza penne: è un pollo dalla pelle giallognola e flaccida. "Mamma perchè il nonno ha messo il pigiama alla gallina?" ha chiesto Marco.
Questa è la parte che mi ha fatto ridere.

Poco fa ero in camera con Luca. Marco stava ancora parlando della gallina.
"Ecco papà ho capito che se una gallina ha un uovo grosso e esce il sangue allora il nonno la uccide. Vero? Però se non ha un uovo grosso e non esce il sangue allora non la uccide. Poi però vero che va in cielo?"
"Marco io non lo so se va in cielo." dice Antonio.
"E neanche io lo so, però mamma lo dice. Ma poi in cielo ci sono Fifino e Fifone e dove la mettono la gallina? Eeeehhh non ci sta. Vero?"
Chi conosce Marco associ alle parole: i suoi grandi occhi sbarrati, il gesticolare del suo corpo; si concentri sulle sue braccia aperte e sul tono imperioso della voce.

sabato 4 aprile 2009

Ascolta il mio cuore

Ieri mi ha chiamato la mia amica Isa: "Lunedì sono a Milano. Ti faccio una proposta. Vieni con me in Feltrinelli, ore 19:00, alla presentazione del libro “Studio Illegale”?"
" Lunedì...Luca dovrebbe tornare al nido e noi respirare un po’ di più; la scuola d’infanzia di Marco è ancora chiusa per sciopero ma se avviso S. dovrei riuscire a lasciarlo al nido con il fratellino; è il mio compleanno e sono 35... Ok. Isa ci sto!"

Chiamo il marito: ”Lunedì sera compio gli anni, ti avevo detto che non volevo nulla per il compleanno, avrei preparato una torta per noi e avremmo invitato qualche vicino di casa. Se ti chiedessi invece di fare il babysitter? Vorrei uscire con Isa, c’è la presentazione del libro di Duchesne, l'avvocato, ma tornerei presto e poi mangiamo la torta io e te.”
“Lunedì sera, bip…bip…bip…”
“Non ti chiedo mai nulla, ok è il mio compleanno ma per una volta potresti rispondere gentilmente?”
Cinque minuti dopo.
“Dai scusa. Sei ancora arrabbiata!”
“No, sto scrivendo un post”
“No ti prego…”
Due ore dopo.
"Dai vengo da te per pranzo per farmi perdonare."
"Allora non ci siamo capiti....
... ti amo e lo sai ma mi soffochi.
Tu, i nostri figli e il mio schifosissimo lavoro siete tutta la mia vita, sono felice ma è una vita che spesso stringe troppo.
Ogni volta che vorrei prendermi due ore solo per me, ogni volta che ipotizzo un'uscita con un'amica mi trovo davanti ad un plotone di esecuzione: il tuo possesso, la tua paura di perdermi, il tuo egoismo, non è amore questo!
Non mi consola sentirmi dire “tu sei migliore di me” quelle poche volte in cui me meschina ricordo le riunioni serali per l'associazione dell’open source, il master preso mentre mi spupazzavo da sola due bimbi quasi neonati per lasciarti il tempo di studiare, le partite di calcetto e mi fermo qui. E anche se ora lo scrivo rinfacciandoti tutto, ero contenta dei tuoi spazi e lo sono ancora, perchè è naturale avere interessi che possono essere diversi dai miei e amare significa rispettare, sostenere e gioire nel regalare gioia.
Ecco io sono stanca di dover fare tutto e solo insieme a te, sono stanca di sentirmi in colpa se voglio prendermi uno spazio mio di tanto in tanto, sono stanca di doverti anche solo chiedere di poterlo fare e non te lo chiederò più.
Amore mio, non regalarmi mazzi di rose rosse quando pensi che possa essere stanca: ascolta
i miei sentimenti, i miei desideri; guarda dentro di me, guardaci bene."

venerdì 3 aprile 2009

Un primo stop alla Legge 40/04

Avete letto il giornale? Legge 40, stop della Consulta "No a limite di tre embrioni", citava l’articolo riportato su Repubblica.
Per chi contro la legge 40/04 ha inveito, per chi ha esultato speranzosa nel referendum del giugno 2005 per poi piangere in silenzio (ero in attesa da poco, ma molte altre donne no), ieri è stata una giornata di sole nonostante fuori piovesse. La mia storia in parte la conoscete e se non la conoscete la potete leggere qui. Oggi però voglio aggiungere qualcosa.
Quando la legge 40/04 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, avevo da poco scoperto che tutte le cure fatte negli anni precedenti erano quasi inutili perché gli esami prescritti dal protocollo FIVET avevano rivelato una traslocazione robertsoniana simmetrica tra il 14 e il 15 cromosoma, che tradotto: c’era un minuscolo cromosoma ribelle che invece di stare al suo posto si era seduto nel banco del vicino. Questa presenza indisciplinata poteva non creare alcun danno o crearne molti: poteva far vivere un ovulo fecondato per sole poche ore, poteva impedire che lo stesso sopravvivesse oltre il terzo mese o portare ad un bambino con notevoli ritardi mentali, ci disse la genetista. Viste le premesse era consigliabile effettuare un'analisi preimpianto, ma la legge incriminata lo vietava. Capo VI, Art 13. comma 3.b: Sono, comunque, vietati ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo” e il comma 2: “La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.” Non cercavo un figlio alto, bello, biondo con gli occhi azzurri, avrei voluto solo saper se un particolare embrione crescendo avrebbe avuto o meno problemi gravi, avrei voluto poter fare quello che durante le mie successive gravidanze è stato fatto grazie ad esami specifici sul liquido amniotico. Ma proprio qui stava il punto: avrei potuto ricorrere a "metodologie alternative", verificare se quell’embrione era sano anche dopo l'impianto ed eventualmente sopprimerlo, dopo averlo partorito, nel rispetto della legge. Ma c’era un altro aspetto della legge che proprio non digerivo: il non poter conservare gli embrioni per un successivo impianto. Capo VI, Art 14. comma 2: “ Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell'evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall'articolo 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”.
Visto che di cure ormonali ne avevo già fatte molte, visto che sapevo come reagiva il mio corpo e la mia testa, non è che fossi così felice all’idea di dover provare ogni volta con un ciclo di stimolazione ovarica, scegliere tre ovuli arrivare a tre embrioni e impiantarli tutti subito. E se nessuno fosse sopravvissuto? Se la Fivet non avesse portato ai risultati sperati? Avrei dovuto rifare tutto dall’inizio quando sarebbe stato tecnicamente possibile tornare in laboratorio, recuperare i miei ovuli fecondati e provare di nuovo. Il referendum voleva restituire alle persone il diritto di scegliere. I punti su cui eravamo chiamati ad esprime il consenso o meno, recitavano più o meno così: consentire la produzione di embrioni in eccedenza rispetto a quelli necessari per un unico e contemporaneo impianto; consentire la crioconservazione degli embrioni eccedenti; consentire interventi sull'embrione con finalità diagnostiche e terapeutiche generali; ampliare i diritti della donna nella procreazione assistita; permettere la fecondazione eterologa; utilizzare gli embrioni per la cura di nuove malattie, permettere quindi alla ricerca di utilizzare cellule staminali embrionali. Ero di parte ma non mi pareva che il referendum fosse contro la vita come è stato pubblicizzato da molti politici e altrettanti prelati, ma il referendum è stato inutile per mancato raggiungimento del quorum elettorale. Ieri la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del citato Art.14 comma 2: non più un unico e contemporaneo impianto e con un massimo di tre embrioni; e dell’Art 14 comma 3: non più il trasferimento degli embrioni appena possibile senza prestare troppa attenzione alla salute della donna. E ancora la Corte ha dichiarato inammissibili l’ Art. 14 comma 1 e 4 e quindi sì alla crioconservazione degli embrioni come alla possibilità di riduzione embrionaria di gravidanze plurime; e l’Art.6, che impediva di revocare il consenso all’impianto dopo la fecondazione dell'ovulo. Un primo passo avanti, un passo verso il rispetto per le persone, un aiuto per tutte le coppie che stanno ancora cercando un figlio e che non hanno un conto in banca tale da permettere di varcare i confini italici e provare altrove. PS: Sono madre oggi. Ho provato una gioia indescrivibile quando la mia 73° ecografia interna ha rilevato la presenza di un battito cardiaco: in quel momento non avevo davanti agli occhi una cavia da laboratorio ma quello che speravo diventasse mio figlio. Ho pianto e inconsciamente camminato per quasi due chilometri senza accorgermene mentre ripetevo in continuazione ad Antonio che c'era, questa volta qualcosa c'era davvero. Oggi più di ieri non trovo giusto che una legge mal scritta impedisca ad un uomo e una donna di diventare un padre o una madre. Ed è ancora più ingiusto che ci siano voluti cinque anni prima che qualcosa cambiasse.

giovedì 2 aprile 2009

Pediatri a Milano

C'è un medico che dovresti incontrare spesso nei primi mesi di vita di un bambino, un medico che per il lavoro stesso che svolge immagini come una persona gentile, giocherellona, uno a cui piacciono i bambini, che sa parlare con loro e con te che sei la mamma. Ma ognuno ha il suo carattere, non può sempre essere così e allora ti accontenteresti di un medico che sia un consigliere prezioso, perchè non capisci proprio nulla di quell'urlatore folle che è uscito da te, un medico che ti informi su come si attacca un bimbo al seno, come tranquillizzarlo quando piange e soprattutto perchè piange, e ancora come svezzarlo o come si prepara il brodo vegetale; insomma vorresti un amico da poter chiamare ad ogni ora del giorno e della notte perchè tuo figlio non sta bene o forse sta bene ma tu non ne sei sicura.
Ma il pediatra, quello della mutua, segue molti bimbi come i tuoi e non può essere disponibile 24 ore al giorno, 12 nemmeno, forse 6... ok è disponibile dalle 7:30 alle 8:00 e dalle 14:00 alle 14:30 dal lunedì al venerdì. E tu ti illudi che tuo figlio concentrerà i suoi malanni in quelle due mezz'ore al giorno per poi accorgerti un attimo dopo che se anche hai un figlio diligente e puntuale, il pediatra ti elargirà consigli preziosi su come curarlo, senza visitarlo, perchè le mamme si allarmano inutilmente, perchè le mamme sono ansiose e irrazionali.
E allora quando chiamerai di nuovo perchè sei una mamma anche insistente, ti accorgerai che il pediatra non c'è: è un giorno prefestivo e il servizio è sospeso. Ma abiti a Milano e ci sono due alternative: il servizio di continuità assistenziale presso il consultorio pediatrico o il prontosoccorso. (Il primo servizio è attivo nei giorni festivi e prefestivi e si accede solo a seguito di telefonata di prenotazione. Il secondo è attivo sempre, preferibilmente negli orari non coperti dal servizio del consultorio.)
Io non sono una mamma particolarmente apprensiva e non ricorro al pediatra molto spesso, anzi forse meno di quello che dovrei. Ma quando chiami il pediatra che ti liquida quasi insultandoti per la tua precoce diagnosi eccessivamente allarmistica, quando telefoni al prontosoccorso e ti dicono che è attivo il servizio di continuità assistenziale ma quest'ultimo non ti riceve se non previa telefonata e nelle due ore in cui tu stai attacca al telefono il numero è occupato o suona a vuoto... allora alla preoccupazione si aggiunge l'incazzatura!
Ti incazzi, vai al prontosoccorso, insisti e quando finalmente un medico gentile e premuroso visita tuo figlio, gli dà la cura che tu avevi ipotizzato giorni prima e ti consiglia di denunciare la pediatra perchè non è uscita a visitare il bambino, gli rispondi rassegnata: "Dovrei denunciare tutti i pediatri di Milano allora, nessuno esce a visitare i bambini. Ne ho già cambiati due e quella attuale è il meno peggio che mi potesse capitare."

Per concludere se abitate a Milano e dovete scegliere un pediatra per vostro figlio, cercatene uno che abbia possibilità di parcheggio sotto lo studio: portare sul tram un bambino con la febbre non è consigliabile; ma se vostro figlio sta male andate direttamente al prontosoccorso, sempre che non vi affidiate ad un pediatra privato.

PS n.1: mi è capitato di portare Marco dal pediatra di mio nipote ad Altamura, in Puglia. Il pediatra mi ha ricevuto senza appuntamento in quello che viene definito "orario di ricevimento pazienti", ha visitato mio figlio, gli ha prescritto la cura fornendomi i campioni gratuiti dei medicinali che aveva in studio e non ha voluto un euro.

PS n.2: mi auguro di sentire voci di dissenso!

mercoledì 1 aprile 2009

Domenica vista da Nord e da Sud

Una classica domenica al Nord, almeno dalle mie parti, prevede l'alzarsi presto e prima di mezzogiorno assolvere a tutti gli obblighi della giornata: andare a messa, riordinare casa o giardino, uscire per negozi se aperti, seminare le piantine dell'orto o pedalare in bicicletta se la stagione lo consente; ma alle 12:00 tutti rigorosamente seduti a tavola. In un'ora, massimo un'ora e mezza, mangi e pulisci la cucina per poi uscire con amici o parenti per una gita in montagna, al lago, una mostra o qualsiasi altro luogo. Se la meta è la montagna, a volte la gita inizia la domenica mattina presto e per pranzo un pic nic all'aperto a base di panini imbottiti e qualche barretta di cioccolata, il tutto consumato comodamente seduti su una coperta nell'erba. Le coppie di ragazzi e fidanzati poi preferiscono uscire da soli, difficilmente coinvolgono gruppi numerosi di amici.

Provate a proporre un simile programma ad un compagno meridionale e penserà che lo state prendendo in giro.
Primo gli amici non si vedono dopo pranzo ma si invitano per pranzo e forse dopo si esce insieme.
Secondo se si decide per una scampagnata in montagna, si sceglie una trattoria o un rifugio e se proprio ci si deve adeguare ad un pic nic occorre avere tutto l'occorrente: tavolo con sedie smontabili, barbecue per costine e salamini, magari una bella focaccia farcita preparata la sera prima o della pasta fredda, frigo per tenere al fresco le bevande.
Ma la domenica tipo ruota attorno ad un buon pranzo che si protrae per due ore con conseguente pennichella.
Qualsiasi cosa tu decida di fare insomma la giornata ha un unico imperativo categorico: la panza.

Potete ben immaginare quanto sia stato difficile raggiungere l'equilibrio domenicale. A me veniva l'orticaria al solo pensare di stare rinchiusa tutta la domenica mattina a cucinare o alla idea di passare il sabato pomeriggio a preparare il pranzo per il pic nic del giorno seguente. Sì agli amici per pranzo insomma purchè il pranzo fosse in trattoria.
Sono passati nove anni e quello è rimasto l'unico punto insindacabile e apprezzato da tutti, gli altri elementi ruotano con combinazioni casuali.