venerdì 24 ottobre 2008

La nascita di Marco e Luca

In questi giorni abbiamo festeggiato il compleanno di Marco e Luca.
In questi giorni non ho potuto fare a meno di ripensare al giorno della loro nascita.
Due momenti importanti, diversi tra loro, unici.
Marco è nato con un parto naturale rispettando abbastanza fedelmente gli appunti presi al corso pre-parto. Ha iniziato a farsi sentire un venerdì sera verso le ventuno mentre stavamo cenando con amici. Avevamo scelto quella data per incontrarci perché ormai si avvicinava il termine e non avremmo potuto rimandare oltre e invece Marco non era più disposto ad aspettare. Prima una fitta alla schiena, poi altre più forti e quando alle ventitrè abbiamo congedato gli ospiti non avevo più dubbi. L’ostetrica l’aveva detto : "Quando arrivano i dolori li riconoscete, non potete sbagliare.". Era vero.
Ma ero stanca, molto stanca: avevo lavorato quasi tutto il giorno e in cucina c’erano ancora tutti i piatti da sistemare e non ce la facevo proprio a pensare che avrei dovuto impegnarmi come mai in quei nove mesi.
"Andare in ospedale?" Gli appunti del corso dicevano di aspettare, le fitte erano ancora troppo distanziate e bisognava aspettare i sette minuti tra una contrazione e la seguente e allora "Seguiamo le istruzioni no?"
Prima i piatti e poi a letto. "Ma chi riesce a dormire?"A pagina tre degli appunti c’era scritto di immergersi nella vasca con l’acqua calda, ma Antonio era crollato dal sonno, io faticavo a muovermi da sola e poi continuavo a ripensare al lavoro che stavo ultimando qualche ora prima. Ora mi sembra così assurdo ma di fatto Marco stava per nascere e io ancora non mi rendevo conto che il lavoro d'ufficio non avrebbe potuto più occupare un posto tanto importante nella mia vita.
Accendo il pc, mando la mail, spengo, mi immergo nella vasca, l’acqua inizia a raffreddarsi e non ce la faccio proprio ad uscire. Finalmente Antonio mi sente.
"Massaggiami la schiena, mi sto spezzando in due!". Dopo l’indispensabile aiuto di mio marito che per due ore ha sopportato e supportato le mie richieste di massaggio e di sostegno continuo, è ora di andare in ospedale.
"Signora è già a buon punto non ci vorrà molto" dice il medico alle sette e qualche minuto e aggiunge: "Vedo che qui c’è tutta la documentazione, vuole fare la partoanalgesia?" "Ma io veramente non penso, i dolori aumenteranno di molto?" "Aumenterà un poco la frequenza e l’intensità."
Ora sembra un dialogo tra persone lucide e rilassate in realtà da un lato c’era un medico che terminava il turno alle sette ed era in ritardo già di qualche minuto e dall’altra una donna la cui voce veniva soffocata da fitte che sarebbero rimaste più o meno tali per frequenza e intensità. Marco è nato alle 10:25 e devo dire grazie a mio marito che mi ha assistito in modo splendido e ad una ostetrica di nome Ilaria la cui dolcezza disarmante, stonava in quei momenti dove la frequenza e la intensità delle contrazioni non erano esattamente uguali a tre ore prima.
Marco è nato e io non l’ho voluto vedere subito: lo immaginavo sporco, quasi trasfigurato dopo tutta quella fatica per uscire. Ricordo solo di aver detto a mio marito: "E' bello? Vai con loro, io sto bene!"
Qualche minuto più tardi era lì nelle mie braccia. Era bellissimo, tutto raggomitolato in quel telo di carta verde da cui uscivano due manine con le unghiette lunghe e noi non potevamo non piangere dopo tutti quegli anni di attesa, dopo aver pensato a lungo che quel giorno non sarebbe mai arrivato, dopo nove mesi in cui continuavo a ripetere a me stessa di non affezionarmi troppo a quella creatura perché nessuno mi poteva garantire che l’avremmo davvero stretta a noi. Era bellissimo ed era lì.

Due anni più tardi ero andata alla ricerca dei mitici appunti. Il vissuto di due anni prima era ancora molto vivo nella mia mente ma c’erano aspetti che non avevo vissuto in prima persona e quindi un ripassino poteva essere d’aiuto. Ad esempio "le acque" erano state rotte dall’ostetrica in pieno travaglio: "Cosa avrei dovuto fare se fosse successo così per caso?"
Luca è nato il 20 ottobre dello scorso anno, sempre di sabato mattina a due anni meno due giorni dalla nascita di Marco.
Luca non aveva ascoltato gli appunti che rileggevo da giorni: è arrivato mentre ancora io e Antonio dovevamo capire cosa stesse succedendo.
Erano le ventidue e venti circa di un venerdì sera e stavo guardando Zelig in TV. Antonio dormiva sul divano accanto a me e Marco stava bevendo l’ultimo bicchiere di latte della giornata. Non ero stata molto bene quel giorno, ma tutta la gravidanza di Luca è stata problematica per cui davo poco peso a qualsiasi sintomo e poi aspettavo il mal di schiena per dire: "E' ora!".
Avevo cucinato i pizzoccheri accompagnati eccezionalmente da un bicchiere di vino e poco dopo aver cenato ho iniziato a sentirmi strana. Le fitte alla pancia erano normali: un piatto pesante, la digestione lunga ma invece di passare peggiorava.
La sensazione che Luca non avrebbe aspettato fino a domenica era forte ma ripetevo a me stessa che era più il desiderio di doppiare il compleanno di Marco e la voglia di tenere tra le braccia il piccolo che da quasi nove mesi avevo dentro me ad animare le speranze che non gli effettivi sintomi di un parto imminente. Mi sbagliavo.
Erano le ventidue e venti circa e improvvisamente non sento più alcun dolore, mi alzo dal divano con Marco in braccio e vedo cadere a terra delle macchie rossastre. Non ricordo benissimo la sequenza degli eventi ma ero terrorizzata. Penso di aver appoggiato Marco nel suo lettino e di essere corsa in bagno: le macchie non erano più sparse, ma un flusso continuo a cui non ero preparata. "Ma come, chi ha mai parlato di sangue? Mi avevano detto che era possibile una rottura delle acque, non sangue!". In dieci minuti eravamo tutti e tre pronti per andare in ospedale.
"Cosa succede ora? Perché il sangue?". Le nostre domande e i nostri volti sconvolti contrastavano con la risoluta fermezza della signora che stava in accettazione. "Ce la fa a salire a piedi o devo chiamare l’ambulanza? Ma fa prima a salire a piedi." "Salire dove? Il sangue? Cosa succederà adesso?" . Vengo visitata da un ginecologo e da una ostetrica: "Quanto sangue ha perso? Come è successo? Cosa ha mangiato questa sera? Che titolo di studio ha?" . Io ero sconvolta, mio marito e mio figlio in pigiama color violetto di una taglia più grande della sua, non so perché ricordo bene questo particolare, stavano fuori dalla stanza senza che nessuno dicesse loro nulla e nulla dicevano a me dentro se non interrogarmi. Ricordo di aver guardato l’ostetrica inebetita dopo l’ultima domanda: "Titolo di studio?". Non so se la momentanea afasia fosse dovuta ad una amnesia fulminea o se fossi riuscita a pensare alla stupidità della domanda in un siffatto momento. Tutti continuavano a tacere, a tacere su quello che stava succedendo, sul perché stesse accadendo e su come si sarebbe evoluta la situazione. Il silenzio era terribile, avevo paura. Non paura per il piccolo che ancora non avevo visto ma paura di perdere quello che già avevo. Pensavo a come sarebbe stata la vita di mio marito e mio figlio senza di me, ricordo di aver pensato che Antonio si sarebbe potuto innamorare di nuovo ma mio figlio? Non potevo lasciarlo solo, dovevo proteggerlo, aiutarlo a crescere. Finalmente l’ostetrica mi spiega il possibile evolversi degli eventi e mi dice di non temere perché lei sarebbe stata con me fino al mattino seguente. Avremmo trascorso la notte insieme.
La spontaneità di quella signora e la sua disponibilità a spiegare mi avevano rassicurato non poco, in quel momento era diventata la mia ancora. Ma bisognava aspettare ed era inutile che Antonio e Marco stessero lì con me: io ero in ospedale al sicuro e avevo il cellulare per qualsiasi evenienza. Ci salutiamo e poco dopo mi chiamano per una ulteriore visita: "Ha contrazioni? Perde ancora sangue, quanto? Cosa ha mangiato questa sera?" . Ancora questi maledetti pizzoccheri! Ma io stavo bene all'ora di cena. Se avessi immaginato probabilmente sarei stata a digiuno. Ci sono due ginecologi e una ostetrica e mi dicono che forse è meglio intervenire subito con un cesareo per un probabile distacco di placenta. "Forse è meglio?". Improvvisamente ricordo le parole di una donna conosciuta l’estate prima al mare, madre di un bambino celebroleso: "Se ti succede qualcosa, non ascoltare alcun parere e chiedi il cesareo subito. Quando Luca sarà nato ti racconterò i perché del mio Alberto." "Andiamo!".
Marco era a casa e dormiva, Antonio era a casa preoccupato e ignaro di tutto perché non avrebbe potuto aiutarmi questa volta e Marco aveva bisogno di lui.
Luca è nato alle 00:23. Era piccolo, i capelli ricci e appiccicaticci, tutto sporco di siero e stava lì in alto tra le braccia del medico che l’aveva sollevato per mostrarmelo, stava lì dietro il telo che divideva la parte superiore del mio corpo da quella inferiore dove i medici stavano ancora lavorando, stava lì strappato da me.
Mi avvicinano il piccolo per qualche secondo, non capisco ancora cosa è successo. Ero stanca e mi sentivo sola. Avrei voluto che Antonio fosse lì con me ma almeno il piccolo stava bene. Alla una e trentacinque esco dalla sala operatoria con un catetere e un drenaggio. Ecco Antonio: "Che ci fai qui? Hai visto il piccolo? Come sta? E Marco dove l’hai lasciato? Vai a casa da lui, noi stiamo bene! Ormai il più è passato.".
Non c’era ancora entusiasmo, lo shock era ancora visibile sui visi di entrambi. Antonio a casa, io sdraiata su un lettino della sala parto in attesa di una camera con un assorbente inumidito in bocca per attutire la sensazione di sete. Vedevo le lancette dell’orologio appeso alla parete, di tanto in tanto accarezzavo la pancia ormai vuota, ero tranquilla ma ancora non del tutto cosciente di quello che era accaduto. Ogni tanto qualche messaggio sul cellulare di Antonio e qualche risposta da parte sua. Verso le sei e trenta gli domando: "Hai già avvisato qualcuno?" "Forse un messaggio sul web, non ricordo." . Nessuno aveva violato ancora quel segreto, nessuno dei due aveva voluto condividere con altri la nascita di nostro figlio, come se quell’evento così intimo e unico che avevamo vissuto due anni prima e che ci era stato inspiegabilmente rubato quella notte avesse bisogno ancora di concretizzarsi se non nei fatti, nella nostra mente e nella nostra intimità di coppia. Solo verso le undici Antonio e Marco mi hanno portato Luca, solo a quell’ora ho potuto stringere tra le braccia il mio rospetto, solo in quel momento ho pensato a mio figlio, al fatto che fosse vero e già lì con noi.

5 commenti:

  1. è strano leggerti a quest'ora di notte mentre aspetto Giulia che tornerà quando farà quasi mattina. Elena e sua mamma dormono. Fra un po' andrò anch'io. Ricordo molto bene il parto di mia figlia primogenita dopo un travaglio di ore. Non ne voleva sapere di uscire. Appena nata le ho tagliato il cordone e poi piccola e tutta sbucciata, la testa bislunga per lo sforzo, l'ho adagiata nell'acqua tiepida e l'ho lavata, lei piangeva e mi guardava come fa a volte anche adesso che ha vent'anni con una cert'aria di sfida e la presunzione di sapersela cavare da sola comunque e lo stesso. Asciugata e vestita l'ho avvolta nella sua copertina che ha tenuto per anni a farle compagnia fino a quando è diventata trasparente ed ora è riposta in qualche suo luogo segreto e non se ne parla più. Elena invece è nata a in modo più tranquillo, ma con un impeto e una fretta sorprendenti, tutta ben fornita di una folta capigliatura nera che sua sorella se la sognava. Poi si è subito calmata e ha assunto quel suo carattere placido che le fa affrontare la vita con una calma a volte alquanto irritante. Ah le donne cara mia.
    Con la nascita di Elena mia moglie ha deciso diandare in pensione potendo cogliere in quel momento o mai più l'ultima occasione che la legge concedeva. Adesso a distanza di tempo ci interroghiamo se sia stata una buona scelta, ovviamente entrambe le possibilità avevano i loro pro e contro e a volte ci viene da pensare che forse dedicarsi troppo ai figli non fa loro tanto bene. Ma questo pensiero è frutto delle difficoltà e delle tensioni del momento, del fatto che le ragazze esprimono decisamente e in modi un po' bruschi il loro anelito all'indipendenza. Più avanti saremo tutti più saggi. Quello che posso dirti è certo che le figlie sono molto impegnative, ma sono quel che di più bello abbia avuto ed ho dalla vita. Cionondimeno penso che il lavoro sia un valore da non perdere non solo per essere ancora indipendente, ma soprattutto per mantenere la giusta prospettiva con i figli. In questo momento il lavoro è per te un argomento molto deludente sia professionalmente, sia soprattuto dal punto di vista credo dei rapporti persomnali in Enel e questo ti costringe a rimisurare e a rivalutare il tuo approccio. Per quanto duro e lungo io immagini questo periodo non durerà e tu troverai un nuovo equilibrio e una giusta prospettiva. Anche al di là dell'Azienda. Tieni duro. Io stasera ho tenuto duro e Giulia è rientrata giusto adesso che sono le 3 e 20 ancora legali. Buonanotte. Al tuo post precedente risponderò domani. ciao

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  2. Grazie Paolo.
    "Ciò che di più bello abbia avuto e ho dalla vita"...
    Non so commentare, la frase dice già tutto!

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  3. Ragazzi, mi avete emozionato. Sarà che ultimamente le lacrime mi escono con facilità, sarà che non potrei pensare alla mia vita senza figlie... Non vedo l'ora alla sera di andarmene dall'ufficio per vederle, per sentire come è andata la giornata alla mia Bea, per poter stringere la mia Emmina... Forse sto invecchiando? o forse è questa la vita, quella vera!

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  4. Ciao Renata,
    ho letto con interesse il tuo blog. Mi sono emozionata più volte...Ho avuto il piacere di conoscere te, Marco e Luca ad una cena! Che bello aver dato un volto ai protagonisti dei racconti quotidiani di Antonio. Ogni volta che mi recavo da lui per chiedergli una cosa di lavoro, prima di andar via mi diceva sempre "Ma sai che Marco...", "Ma sai che Luca..."..."ah, guarda ho delle nuove foto, vieni a vedere!"...e tutto orgoglioso me le mostrava!
    Non ho avuto ancora il piacere di diventare madre, un pò perchè sono ancora troppo giovincella, un pò perchè sembra che nessuno mi voglia (ma questa è tutta un'altra storia! :-)), ma sono convinta che sia la cosa più bella che la vita possa regalarti e la tua testimonianza non fa altro che confermare quello che ho sempre pensato.

    Anch'io adoro scrivere i miei pensieri, le mie riflessioni. A volte le annoto su carta, altre volte diventano doc, a volte restano bozze di e-mail. Fino a pochi mesi fa avevo un diario "particolare" e speciale su cui scrivevo quotidianamente, ma poi un pò per pigrizia, un pò per altro ho smesso! :-( Ma, a volte, lo ammetto, sento proprio l'esigenza di sfogarmi, di scrivere, scrivere, liberare i miei pensieri, dare voce alle mie emozioni. Ogni tanto, poi, mi capita anche di rileggerli ed è come rivivere quei momenti. E allora perchè smettere?...

    E' stato davvero bello leggere i tuoi ricordi, i tuoi pensieri...ho la vaga sensazione che tornerò spesso a far visita al tuo blog. :-)

    Ciao,
    Roberta

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  5. Roberta ti ringrazio molto, mi fa piacere che il blog possa diventare un "luogo" in cui condivedere esperienze ed emozioni e non solo parlare delle mie.

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