sabato 29 novembre 2008

Lamp Dance

Vede l'oggetto del desiderio là in fondo alla sala, tra loro solo due metri, una distanza percorribile, la meta è sempre più vicina.
Afferra il palo orgoglioso, si guarda intorno e appena qualcuno lo osserva inizia la sua esibizione. Prima un sorriso, il suo solito sorriso a quattro denti, poi qualche smorfia rumorosa "ah ah ah" ed eccolo: un movimento di bacino e pannolone, una serie di giri, qualche flessione sulle ginocchia tenedosi forte con le mani e poi mentre ride spassosamente a voce alta, flette la testa in dietro e continua a ballare.

Barcolla in autonomia da qualche giorno e già si lancia divertito in esibizioni su due gambe: una simpatica lamp dance.

Se non fosse che il palo ha alla estremità superiore una lampada; se non fosse che la lampada è un ricordo affettivo importante, un regalo di nozze di amici che hanno attraversato in camper l'Italia pur di essere presenti quasi otto anni fa; se non fosse che al valore affettivo andrebbe sommato quello economico della lampada in sè e del lampadario che abbiamo scelto appositamente abbinato; se non fosse che è uno sport un tantino pericoloso; Luca potrebbe continuare la sua esibizione anche ogni sera.

venerdì 28 novembre 2008

Un invito a cena

Viveva in un bilocale a Milano, da solo.
Mi invita a cena e cucina lui.
Se vive da solo, l'appartamento non sarà proprio in perfetto ordine, pensavo tra me e me condizionata dalla mia situazione famigliare in cui mio padre non è capace di cucinarsi un piatto di pasta e mio fratello non ha ancora imparato a portare in bagno gli abiti smessi.
Suono il campanello, apro la porta.
Un intenso odore di olio fritto mi blocca sulla porta. Ma senza dire nulla riesco ad entrare.
“Ti posso aiutare? Non sono una grande cuoca ma se vuoi?”
“No guarda è tutto pronto, dai un’occhiata in giro se ti va.”
In un bilocale fai in fretta a guardarti in giro e in un bilocale fai anche in fretta ad accorgerti che in quella casa tu non ci potresti mai vivere. "Mai dire mai!"
Bagno lungo e stretto, sul vetro della doccia sono appesi tre sacchetti: uno pieno di indumenti intimi bianchi, uno con calze blu e uno con camice dai colori tenui. La luce fa strane ombre sul muro, alzo la testa e vedo uno stendibiancheria da interno da cui pendono panni bagnati.
La cucina è out, vado in camera.
Una grande camera con un balcone vista incrocio, una grande camera con quattro pareti: un letto, sfatto, appoggiato al muro e al lato opposto un armadio a tre ante; una parete che sembra un misto tra un’officina meccanica e una discarica per computer e su quella difronte un grande poster con centinaia di foto sue in compagnia di un bimbo di circa tre anni; nel mezzo della stanza, sparse, tante cose.
Nell’ordine: “Hai un figlio?” e Ci sono stati i ladri oggi?” mi veniva da chiedere.
“E’ pronto!”
Primo piatto: pasta con panna e noci. Un piatto impegnativo per lo stomaco ma direi superlativo per il palato.
Secondo piatto: una grande padella piena di funghi cardoncelli che navigano nel prezioso olio di mamma.
Il resto non lo ricordo, la vista di quell’olio mi aveva bloccato.

Io non uso molto l’olio e in quel periodo forse non lo usavo affatto. L’olio mi riportava indietro nel tempo, mi riportava al periodo dell’infanzia in cui io bimba scheletrica chiamata “biafra” venivo rimpinzata di olio di mandorle e di olio di fegato di merluzzo aromatizzato all’arancia, uno schifo che ancora oggi mi fa venire la nausea alla sola idea. Non amo l’olio e non mangio fritti, non che sia una salutista, semplicemente non mi piacciono.

Ora è la prima volta che un tipo che hai conosciuto sulla 50 ti invita a casa sua, ha cucinato e a qualcun altro sarebbe piaciuto anche molto e tu fai la schizzinosa? A rischio di vomitare tutto no! Mangio di gusto e apprezzo.
La serata procede, il tipo continuava ad essere interessante bastava chiudere gli occhi e il naso: senza il disordine e senza l’odore di fritto, la serata era davvero ok!
Ci salutiamo e ci risentiamo il giorno successivo: "Che ne dici di vederci per pranzo domenica?"
Io vivevo in famiglia e mica potevo portare a casa un quasi sconosciuto. “Ok, facciamo da te ma questa volta porto tutto io, non ti preoccupare di nulla. Anzi magari vengo un po’ prima così ti aiuto a sistemare un po’, che ne dici?”

NON FATELO MAI! Sono bastate tre frasi dette così per solidarietà, perché hai trovato un modo di fare volontariato, per un senso materno che ti porti dentro e ti ritrovi a pulire da nove anni sempre e solo tu!
E la cucina? Ho vinto l'appalto quasi in esclusiva!

Comunque dopo averlo riordinato in quel bilocale abbiamo vissuto felicemente insieme per quattro anni e ci eravamo così affezionati che avevamo anche provato a comperarlo: per fortuna nostra non lo hanno venduto!

giovedì 27 novembre 2008

Una serata trasgressiva

"Mamma perché ti fai bella? Non metti il pigiama?"
"Marco devo uscire questa sera?"
"Vengo anche io."
"Non puoi amore mio, devo andare con altre mamme ad avvisare Babbo Natale. Non vorrei che si dimenticasse di passare da te e Luca!"
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L'altra sera per la prima volta dopo tanti anni mi sono presa una serata libera.
Ore venti cena con amiche.
Dopo aver “sfamato” i bimbi e averli preparati per la notte, in quindici minuti mi sono lavata, vestita, truccata e ho anche sistemato le unghie perché dovevo “farmi bella” per la mia serata trasgressiva. Non ho avuto il tempo di fare la ceretta ma per la trasgressione programmata, nessuno se ne sarebbe accorto.
Ero un po’ agitata devo ammetterlo e mi sentivo anche a disagio mentre camminavo verso l’ingresso del locale, mi continuavo a ripetere “Che ci faccio qui?” poi per fortuna vedo C. “Bene non sono la prima!”. Iniziamo a parlare e secondo voi di cosa parlano due mamme che si sentono in colpa per la loro trasgressione? Di tutto quello che può aiutarle a stare peggio, ovvio. La figlia di C. ha la stessa età di Marco, insieme hanno frequentato il vecchio asilo e ora sono alla scuola di infanzia: due scuole diverse ma la stessa antipatia per il nuovo ambiente. Ecco che arriva M. allegra e solare come sempre. Aspettiamo tutte insieme l’altra M. che chiameremo M2, perché è arrivata per seconda e perché è mamma di due bimbi.
B. non è potuta venire e nemmeno T.
Ci siamo tutte allora!
Abbiamo iniziato a chiacchierare. Una serata tranquilla, rilassante e tra un boccone di pizza e il successivo abbiamo parlato di figli, del Natale, del lavoro, dei locali “In” di Milano che ormai nessuna di noi riesce più a frequentare ma sui quali M2 è informatissima grazie ad amici single o senza prole, abbiamo parlato anche del mio blog e ovviamente per farmi pubblicità avevo portato carta e penna: cosa non si fa per la gloria!
Una serata in cui esistevi solo tu e le tue amiche.
Amiche per le quali devo ringraziare il nido del "Cane Fifone" che ci ha fatto incontrare.
Una serata da ripetere più spesso.
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Torno a casa, la chiave non entra, suono. Nessuno.
Dopo un po’ Antonio apre la porta assonnato. Si era appena svegliato. Luca dormiva nel suo letto. Marco era sdraiato sul divano con la faccia tutta rossa che faceva pan dan con le mani e ha aperto gli occhi: “Mamma sei tornata, mi hai detto che tornavi subito, ho sonno.” Un bicchiere di latte e cinque minuti di abbracci e già si era riaddormentato.
"Sono stati bravi?” chiedo.
“Insomma Marco ha passato tutta le serata a tormentarmi perché non c’eri, Luca lo vedi da te cosa ha fatto.”
La scusa di Babbo Natale non era servita. Però alle dieci e venticinque erano insolitamente già tutti addormentati o quasi. Non era stata così traumatica la mia assenza.
Proprio una serata da ripetere.
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PS: un grazie ad Antonio che dopo quasi otto anni di matrimonio è decisamente meno geloso e ha soprattutto capito che una serata tra amiche non è una trasgressione insana e almeno finchè la ceretta non diventa prioritaria, può stare tranquillo!

mercoledì 26 novembre 2008

Facebook

Ieri mattina ho letto un post su un blog che seguo e mi son detta: accidenti mi ha rubato l’idea!
A dire il vero non è una idea originale: tutti ne parlano, molti lo utilizzano e tanti si divertono pure.
Parlo di Facebook. Se mi state leggendo forse sapete di cosa parlo ma spendiamoci due parole.
Come sapete quando sono rientrata in ufficio dopo la maternità avevo poco da fare, ora va un po’ meglio nel senso che ho cercato di applicare il training autogeno imparato durante il corso preparto: allora non era servito a molto, ora un po’ di più.
Dicevo, quando sono rientrata in ufficio e avevo poco da fare mi sono iscritta su Facebook.
Ho aperto la mia paginetta e ho cercato di capire cosa offrisse questo nuovo strumento. Risultato: Facebook è una sintesi di tanti servizi più o meno utili e interessanti che coprono le esigenze di varie fasce d’età. Vi ho incuriosito? No? Allora vediamo un po’.

Ti iscrivi, inserisci i tuoi dati personali compreso il giorno del tuo compleanno e con stupore sei sempre aggiornato e non puoi più dire ai tuoi amici: non sapevo, non ricordavo. Ora c’è facebook che ti aiuta e supporta e ti propone una serie di regali che puoi inoltrare loro per aiutarli ad invecchiare meglio.
Procedi e inserisci le scuole che hai frequentato e con stupore riesci a ritrovare alcuni ex compagni di liceo che non vedevi da decenni. Wow c’è Bruno,Vale, Fede, Lavi, chi l’avrebbe mai detto! Ma non ci sono solo loro, ci sono anche i contatti che hanno fuori facebook e scopri cose che non avresti mai pensato potessero accadere: “Vale ha sposato la tua vecchia "cotta" del liceo! Come è successo? Dove si sono rivisti?” Insomma non è che si può dire tutto!
Poi passi alla sezione foto: puoi mettere tutte le tue foto, quelle dei tuoi bimbi e gli amici possono vederle e commentarle. E’ un po’ come avere dei piccoli album sul web da rivedere ovunque ci sia una rete disponibile.
Scopri anche che c’è una bacheca in cui momento per momento puoi scrivere quello che stai facendo e se sei su facebook la maggior parte delle volte stai “cazzeggiando” ma è bello sapere che non sei la sola, è bello vedere che altri condividono questa tua attività e allora commenti, ti confronti perché il cazzeggio ha tanti aspetti a seconda delle ore in cui lo pratichi, del dove sei.
Quando aumentano gli amici, ecco che aumentano anche le attività. Qualcuno ti manda quiz del tipo: “Che profumo sei? Quale cartone animato sei? Diventa fan di “Bisio”. Una serie di quiz che inizialmente ti sembrano un po’ stupidi e che rifiuti. Poi così per caso ci provi: ok saranno anche stupidi ma in fondo se stai cazzeggiando tutto fa brodo e alla fine ti diverti anche.
Insomma facebook sarà anche solo una moda e come tutte le mode viene accettata o esaltata da alcuni e criticata o demolita da altri, una moda può anche essere solo passeggera ma se un ragazzo di ventiquattro anni è diventato miliardario creando questo sistema un motivo ci sarà e se siete iscritti avete già trovato il vostro motivo.

martedì 25 novembre 2008

Zio Giò

Zio Giò è lo zio preferito di Marco.
Marco ha per lui una venerazione da sempre. Da quando poi abbiamo vissuto un intero mese nella stessa casa, la casa dei nonni, zio Giò è diventato un mito.

Lo zio fa il falegname e lavora nel capannone, alias bottega, sotto casa. Ovviamente la sua presenza durante il giorno era continua: forse questo, forse la capacità di zio di diventare bambino, di fatto si è instaurato un legame speciale tra i due. Sì perchè zio Giò non gioca con un bambino, quando è con Marco diventa un bambino: fa la lotta con i cuscini sul lettone dei nonni; lo fa volare mentre sta sdraiato sopra un guanciale trasformato in nuvola; gli fa fare tuffi sul divano lanciandolo da due metri di altezza; lo coinvolge nella sua passione per la pesca e per Sampei, storico manga della nostra infanzia; gioca con lui alla play station mangiando patatine; guarda le corse di Moto GP e gli insegna i nomi di tutti i corridori e i colori delle rispettive moto; lo porta con sè quando va a trovare Jessica, la fidanzata; una volta l'ha anche portato a prendere un aperitivo con sommo gaudio di Marco.
E poi zio Giò ha una grande moto verde e ogni tanto fa salire Marco a moto spenta, questo fatto da solo è sufficiente a promuovere lo zio quale unico parente degno di considerazione vera, ovviamente dopo mamma e papà.

Zio Giò ha una grande camera in mansarda e questa estate per stare un po' da solo e non essere costretto alla ossessiva presenza di Marco fingeva di uscire e si rifugiava in camera sua.
"Mamma dove è andato zio?"
"E' sceso a lavorare."
"Ma io sento dei rumori, no Mamma c'è! Ehi zio sei tornato, aspetta che vieno da te."
"Marco non puoi sempre importunare lo zio, adesso è al telefono con Jessica."
"No Mamma, zio ha detto che posso andare. Ehi zio, vero che posso venire!"

Non solo, lo zio è l'unica persona per la quale Marco non è MAI occupato a fare altro.
"Mamma mi ha chiamato zio oggi?"
"No Marco, non ancora."
"Allora io sono arrabbiato."
"Mamma posso telefonare a zio?"
"Pronto, si però la maestra non voleva e non mi ha dato i fogli." dice Marco con le lacrime agli occhi.
"Marco ti devi presentare." intervengo.
"Em, pronto zio, sono io Marco. Oggi sono andato all'asilo e ho disegnato, però la maestra non voleva e non mi dava più fogli e allora adesso ti faccio un disegno tutto per te. Per la zia Lu no, solo per te. Hai capito? Zio Giò ieri vengo a trovarti e te lo porto. Va bene? "

L'inizio delle telefonate non è mai chiaro, Marco parte a raccontare senza presentarsi e nel raccontare rivive le stesse emozioni di quando è successo il fatto: così rabbia, pianto, dolore, vengono trasmessi via cavo ancora prima di sapere se dall'altra parte del telefono c'è chi tu pensi ci sia e in tal caso se ha capito chi sei. Ma questa è un'altra storia.

Per concludere: zio Giò potresti evitare di insegnare a Marco rutti e schifezze varie; potresti smettere di ripetergli i jingle delle pubblicità più stupide: "Italiaaaaaaaaa Uno!"; potresti limitare l'euforia per il motociclismo vista la atavica paura di tua sorella per le due ruote; ma infondo zio Giò i miti non sono perfetti!

lunedì 24 novembre 2008

Una serata tranquilla

"Marco esci dal cassetto!"
"Marco si rompe, esci!"
"Luca dove vai! Lascia stare il tonno, non buttare a terra tutto!"
"Lucaaaa! Smettila, guarda che mi arrabbio!"
"Marco non ridere, esci di lì."
"Ok adesso basta!"
"Luca non ci provare sai! Luca guarda la mamma, no ho detto no!"
"Luca la terra deve rimanere nel vaso!"
"Marco fai pipì e poi esci. Lascia qui tuo fratello."
"Marco non hai visto le mani di Luca nel water?"
"Luca, perchè!? Luca guarda che schifo! Fuori di qui tutti e due!"

Cinque minuti di silenzio. Sarà superato il momento di gogliardica euforia?

"Luca non si mangia il didò, apri la bocca! Apri, fa vedere!"
"Marco ma cosa hai fatto? Ma quale granatina, qui è tutto verde!"
"Almeno smettila di urlare, sembri una scimmietta!"
"Se dovete correre, prima raccogliamo i giocattoli!"
"Marco non lo spingere! Cade! Attento!"

Ci sono sere in cui vedi ogni angolo di casa sottosopra, ci sono sere in cui ti domandi "chi te l'ha fatto fare", ci sono sere in cui speri soltanto che le batterie dei tuoi bimbi si scarichino il prima possibile.

Marco e Luca non assumo sostanze stupefacenti, non bevono caffè, the e nemmeno coca cola ad eccezione di qualche rara occasione e sempre senza caffeina, non mangiano cioccolato.
Quindi per chi ha un figlio solo e sta pensando ad un fratellino: sappia che questa è la norma non l'eccezione!
Per chi ha un figlio solo e pensa che questo sia troppo: sappia che non ne farei mai a meno!

sabato 22 novembre 2008

Primi passi

Marco non ha mai gattonato, a sei mesi circa ha iniziato a muoversi su due gambe: stringeva forte il dito della mia mano e si faceva portare dove voleva. Se nessuno lo aiutava se ne stava seduto a terra immobile e richiamava l'attenzione con versi più o meno comprensibili finchè qualcuno interveniva in suo aiuto. Verso i nove mesi i primi passi appoggiato ad oggetti.
I primi giorni al nido sono stati uno stimolo importante: nessuno si spezzava la schiena per accompagnarlo nel suo girovagare e ha iniziato a "darsi una mossa!" Ad una settimana esatta dal giorno del suo primo compleanno ha camminato da solo: ha abbandonato la sedia, ha guardato mamma e papà, ha allargato le braccia ed è venuto verso di noi barcollando e sfoggiando un sorriso orgoglioso. Dopo quel primo slancio sicuro è caduto pochissime volte.

Luca gattona da luglio. Il gattonare è stata una conquista graduale. E' passato da un movimento goffo e a scatti ad una progressiva padronanza dell'uso dei quattro arti. E' rapido e raggiunge sempre la meta che si prefigge. Se ha un appoggio si arrampica impegnandosi con tutto il corpo. Spesso cade, rotola: piange un po' e ci riprova. Nel gattonare è una vera saetta, ma se la cava bene anche nel camminare, non da solo ma appoggiato a mobili, poltrone, sedie. I suoi spostamenti non sono mai fine a se stessi: o deve prendere qualcosa che poi porta con sè stringendo forte o deve scappare ridendo dal fratello.
Poi improvvisamente si è lasciato andare: braccia in alto, un simpatico sorriso orgoglioso, andatura alla Charlie Chaplin e vai: dal mobile al divano, due metri in totale autonomia e ancora e ancora. E' bellissimo guardarlo mentre tutto compiaciuto cerca di raggiungere la meta, a volte perde l'equilibrio ma ha imparato a cadere e a riprendere con la sua andatura più nota, decisamente più sicura e veloce.
E' felice per questa grande conquista e sfoggia sorrisi a quattro denti.

I primi passi di un bimbo sono speciali perchè un po' goffi, buffi, simpatici e unici e perchè è tuo figlio e ti emozioni sempre.

venerdì 21 novembre 2008

Caffè, brioches e ...

Immagina di esserti svegliato molto presto, di esserti lavato, truccato, pettinato e vestito frettolosamente, di avere scambiato due parole con tuo marito in tutta tranquillità senza essere interrotto in continuazione da richieste di attenzioni da parte dei tuoi figli, di essere uscito di casa magari senza nemmeno bere il caffè.
Immagina di avere viaggiato ancora assonnato su tram e metro, di aver letto qualche pagina di un libro qualsiasi lungo il tragitto e di essere sceso dalla metro in orario. Trenta minuti di inizio giornata molto concentrati, tanto concentrati che ancora non sei sicuro di essere sveglio.
Sali la scale, in superficie ci sono tanti bar e ti aspetti di sentire odore di brioches e caffè, perchè sono le sette e trenta, è ora di colazione e hai bisogno di un caffè.
Qualcosa rompe l'equilibrio che ti aveva accompagnato fino a quel momento, non è l'aroma che immaginavi e non è nemmeno il vociare dei tanti studenti che ti scuote e ti riporta alla realtà: è un puzzo fastidioso che ti impregna le narici e che ti sveglia davvero.
Quell'idilliaco viaggio che ti costruisci ogni mattina per evitare di pensare che stai andando in ufficio lasciando a casa una parte di te, viene bruscamente interrotto dall'odore di Pizza.
Adoro la Pizza ma per colazione no!!!

giovedì 20 novembre 2008

Intervista stile iene: figli a confronto

"Parliamo di figli ora. Come si chiama suo figlio, il maggiore?"
"Marco."
"E il suo piccolo?"
"Luca."
"Quanti anni ha Marco?"
"Tre."
"Luca?"
"Uno."
"Di che colore sono gli occhi di Marco?"
"Verde grigio."
E quelli di Luca?"
"Marrone scuro."
"Di che colore sono i capelli di Marco?"
"Biondo scuro."
"Quelli di Luca?"
"Biondo chiaro."
"Quanto è alto Marco?"
"Ottantotto centimetri."
"Luca?"
"Settantadue."
"Cosa mangia più volentieri Marco?"
"Latte, solo latte e miele."
"Luca?"
"Tutto, troppo di tutto."
"Qual è il gioco preferito di Marco?"
"Il computer: la serie didattica di Gcompris."
"Il gioco di Luca?"
"Macchinine, palline e adora rincorrere il fratello."
"Grazie, alla prossima."

"Come?"
"Abbiamo finito per oggi. Perchè non è soddisfatta di questa intervista?"
"Non proprio."
"Nooooo, perché?"
"Perché ho descritto due bambini qualunque non i miei figli."
"Davvero?! Non è stata sincera?"
"Certo che ho risposto sinceramente, ma pensa che un'altra persona avrebbe risposto in modo diverso?"
"E va bene, la accontento. Allora come descriverebbe i suoi figli?"

"Marco ha due occhi grandi, profondi e molto espressivi. Due occhi color verde grigio che ti rapiscono e ti incantano. Due occhi che parlano da soli.
Marco ti seduce con lo sguardo e ti conquista con le parole.
Inizialmente ti osserva con sospetto e diffidenza, ti scruta senza dire nulla. Se non gli piaci con lui hai chiuso, se invadi troppo il suo spazio per te ci saranno solo tanti “NO”. Se non lo convinci diventa pensieroso e aspetta. Se lo conquisti i suoi occhi brillano e quell’aspetto di bimbo determinato e deciso lascia spazio a grandi sorrisi, a risate complici e a lunghe interminabili chiacchierate. Quel piccolo uomo ti lascia invadere la sua sfera di bambino e cerca la tua complicità: allora ti chiede di giocare, colorare, leggere storie, ti racconta e ti stupisce.
Se lo rimproveri ti contesta ma alla fine gli occhi gli si riempiono di lacrime e si nasconde.
E se gli chiedi se gli è piaciuta questa descrizione ti risponde:" Mamma, a me Marco sì!"".

Luca ha due occhi profondi e scuri, due occhi dolci e sorridenti, due occhi che ti avvolgono e ti accettano sempre. Luca ti guarda e ride. Il suo sorriso è una porta aperta verso il suo cuore. Luca ha fiducia di tutto e di tutti e cerca negli altri affetto e protezione. A volte ti guarda stupito e perplesso, non capisce ancora tutto e spesso di fronte ad un tono di voce che non riesce ad interpretare ti fissa "sospeso”, aspetta un tuo cenno e appena le nubi si dissolvono ti regala il suo buffo sorriso sdentato e un gorgheggio e tu ti sciogli in un abbraccio.
Luca ti cerca, ti si lancia contro, ti abbraccia e rimane lì sdraiato su di te, sereno e tranquillo, di tanto in tanto alza la testolina, ti fissa in viso, ride e ritorna ad abbracciarti. Poi si stanca si divincola e torna a giocare.
Se lo rimproveri ti guarda perplesso e ti ride in faccia con una smorfia e tu vorresti restare seria ma i tuoi occhi ti tradiscono ogni volta.

"Ok ok, basta così, questa non è una intervista, non interessa a nessuno."
"Forse non è una intervista stile iene, forse non interessa a nessuno ma questi sono i miei figli e questo è quello che vede chi li ama. Chi ama non si chiede perchè uno è così e l'altro l'opposto, non cerca l'uno nei pregi dell'altro e l'altro nei difetti dell'uno. Chi ama, ama e basta. ".

mercoledì 19 novembre 2008

C'è crisi dentro e fuori

Le borse perdono punti in continuazione, molte aziende chiudono improvvisamente, alcune parlano di mobilità, altre ricorrono alla cassa integrazione.

Se hai un lavoro cerchi di tenertelo stretto anche se non ti piace e non ti soddisfa, cerchi di vedere i lati positivi e alla fine ti accorgi che non è poi così nauseante come pensavi: ok SAP non ti piace, odi le tabelle, non è decisamente il lavoro della tua vita, ma hai incontrato persone nuove, il clima è disteso e inizi a mettere il tuo orgoglio da parte.
Hai fatto delle scelte, hai voluto il part time: non puoi prendertela con tutti. Forse qualcuno ha provato a trovarti un lavoro solo per farti decidere liberamente di andartene o forse è davvero un caso: non sarai pienamente soddisfatta ma alla fine è un problema tuo, dei tuoi desideri repressi, della tua nostalgia.

In un momento di crisi economica in cui senti in continuazione parlare di persone preparate che perdono lavoro, persone che non riescono ad arrivare a fine mese, persone che non sanno quando e se riusciranno a reciclarsi in altre realtà perchè di realtà che assumono ce ne sono poche o forse non ce ne sono proprio, in un momento così ti senti uno schifo.
Ti senti uno schifo per il tuo egoismo, per la tua superficialità, per la tua piccolezza.

martedì 18 novembre 2008

Il pisellino

A luglio Marco ha imparato a fare pipì in piedi.
Era contento e appena poteva dava sfoggio alla sua acquisita abilità.
Gita in montagna due giorni dopo la conquista.
In montagna si incontrano sempre famiglie con bambini che trascorrono la giornata a giocare nei prati. Marco è molto diffidente per carattere ma ci sono bambini/e con i quali avverte una affinità da subito. Di solito l'affinità è tanto più alta quanto più grande (di età) è il bambino/a che ha difronte e in questi casi si butta: parla, domanda, invita al gioco.
"Lo sai Camilla che io so fare la pipì da solo?"
"Tu sei capace di fare la pipì da sola?"
"Io so anche tenere il pisellino da solo!"
"Mamma mi scappa la pipì, posso fare vedere a Camilla come sono bravo?"
Camilla deve avere un'età compresa tra i sette e i nove anni ed è molto gentile e accondiscendente. Si diverte difronte all'ingenuità di Marco.
Non faccio in tempo a rispondere che è già lì a braghe calate davanti a Camilla che sorride.
"Hai visto Camilla come sono bravo? Tu ce l'hai il pisellino?"
Marco, orgoglio di papà e delusione di mamma, va bene che la prima cosa che hai pensato davanti a Camilla è stata calare le braghe ma il pisellino!
L'argomento interessava a Marco ed è naturale: stava scoprendo una parte del suo corpo.
"Papà mi scappa la pipì, mi aiuti?"
Papà perchè il mio pisellino è piccolo. Io lo voglio come il tuo!"
"Marco sei piccolo quando cresci, crescerà anche il pisellino, non ti preoccupare." risponde il papà.
"Quando sono gande voglio un pisellino grande grandissimo come il tuo."
Antonio sorride e mi guarda orgoglioso.
Se non ci fossero i figli a incrementare l'ego paterno!

lunedì 17 novembre 2008

Ricerca graduale di un bebè

E' un ricordo che mi indigna, perchè sono certa che come noi molte altre coppie stanno vivendo e vivranno quello che abbiamo vissuto. Il problema non è il non essere rimasta in attesa grazie all'intervento di un medico specialista, questo nessuno lo può garantire: mi indigna il metodo, la superficialità di un approccio graduale adottato senza avere tutti gli elementi per decidere. Procediamo con ordine. Antonio ed io ci siamo sposati nel 2001. Per alcuni mesi abbiamo lasciato la ricerca di un figlio al caso. Poi abbiamo iniziato ad informarci un po'. La prima ginecologa mi prescrive i classici esami ormonali. Esami per il partner non sono previsti. Nessun problema fisico e quindi si tratta solo di provare nel periodo giusto. Nulla. Il secondo ginecologo ci consiglia il metodo della temperatura basale e la corretta posizione durante i rapporti, il tutto accompagnato da una poco felice battuta:"Ma non le ha insegnato nulla sua madre?". Dopo sei mesi abbiamo detto basta. Decidiamo di affidarci ad un centro sterilità abbastanza noto e di andarci con la classica ricetta del medico condotto. Il marito viene liquidato abbastanza in fretta. "Allora il problema sono io!" Iniziamo una serie di accertamenti che chiamerei per approssimazione successiva. In sintesi mensilmente venivano prescritti alcuni esami e sulla base dell'esito dei primi si procedeva ad indagini più approfondite. Arriviamo all'ultimo esame: anche la isterosalpingografia è ok. "E ora?" domandiamo al medico. "Faremo altre analisi" risponde. Il medico non ci piaceva, non avevamo fiducia in lui e abbiamo deciso di cambiare. Forse pagando avremmo ottenuto qualcosa: ok vada per il settore privato. Un settore sì, un business costruito sulle speranze delle persone, sui loro sogni e sulle loro fragilità. Ci siamo. Wow altro che il centro sterilità dell'ospedale! Una segretaria premurosa, servizievole e preparata compila la nostra scheda e ci fa accomodare nella sala d'aspetto. Una sala rilassante, una perfetta armonia di musica, colori e profumi. Tutto ispirava fiducia. Incontriamo il ginecologo e ovviamente ci prescrive una serie di esami. "Guardi che noi già li abbiamo!" "Ho visto ma preferisco appoggiarmi ad un centro che conosco." "Dobbiamo rifare gli esami perchè l'esito dipende dal laboratorio analisi e non da come stiamo noi???" Arriva l'esito: marito sano, moglie quasi sana. E' solo un problema di cicli lunghi e quindi di difficoltà nello stabilire il momento esatto della ovulazione: iniziamo con quattro cicli di monitoraggio semplici, alias senza stimolazione ormonale. Un ciclo di monitoraggio consiste nel tenere controllato lo sviluppo dell'ovulo nel corso del mese e quindi più o meno in prossimità del periodo ovulatorio dovevo andare nello studio del medico che con una ecografia interna stabiliva quando, con che frequenza e in quale posizione dovevo fare sesso con mio marito. Sì sesso, perchè non sono capace di fare l'amore a comando. Quello che dovrebbe essere un piacere quando si ama una persona stava diventando un peso, un impegno da segnare in agenda con tanto di appunti sul prima e sul dopo. All'ultimo monitoraggio il medico consiglia una cura di progesterone. Non so se fosse stata la cura o meno ma io ho iniziato ad avere dei dirturbi e cosa saggia fu quella di chiamare il medico. Trecento euro a seduta per sentirmi dire:"Chiami il suo ginecologo di fiducia, quello di cui mi parla non può essere una reazione al farmaco!" "Il mio ginecologo? Ma sta scherzando, io la pago da più di quattro mesi per sentirmi dire solo quando devo fare sesso e lei mi liquida così!" questo quello che avrei voluto dirgli. "Il mio ginecologo? Va bene grazie." questo quello che gli ho detto. Sì perchè dopo quattro mesi, venti ecografie interne e sedici scopate a comando non mi andava più di rispondergli. Con me aveva chiuso. Quello stesso giorno chiamo lo studio di un illustre professore dalla fama internazionale, che ci era stato consigliato già da diverso tempo e sul quale avevamo sempre temporeggiato perchè non esercitava a Milano. Il professore non parla, ascolta per trenta minuti il riassunto di tre anni di inutile ricerca. Ci prescrive altri esami oltre a tutti quelli che già avevamo e che dovevano essere rifatti. Alla seconda visita portiamo l'esito: "Siamo franchi, tra i problemi suoi e i problemi di suo marito di figli concepiti in modo naturale non ne avrete mai. Certo si può aspettare ma più passano gli anni più la situazione peggiora!" Ci sono voluti quasi tre anni ma uno che parla chiaro l'abbiamo finalmente trovato. Eravamo soddisfatti perchè ci aspettavamo che individuata la causa si potesse anche trovare la cura. Ci parla di fecondazione intrauterina preceduta da stimolazione ormonale. Ogni tentativo cinquecento euro. Il processo è abbastanza semplice. La donna e quindi io, fa una iniezione di ormoni per i quattordici/quindici giorni che precedono l'ovulazione e quando il controllo ecografico rileva la presenza di ovuli maturi, viene fatta un'ultima iniezione bomba che fa scoppiare l'ovulo. Il mattino seguente il marito preleva il liquido seminale che viene eccitato in laboratorio e iniettato nell'utero. Dopo 14 giorni il risultato. Tutto chiaro no? Vi spiego meglio. Per quattordici giorni ti fai una iniezione a sera, i tuoi ormoni impazziscono, ti senti dopata, in piscina passi dal corso principianti al delfino con estremo stupore dei compagni di corso che ammirano le tue prestazioni e la tua gamba livida per le iniezioni intramuscolo. Ovvio:"ti fai!". In ufficio i colleghi si accorgono di tutto perchè non stai zitta e perchè ti ritrovi con due airbag sul davanti senza esserti assentata dal lavoro per qualche ritocchino chirurgico. Il mattino del giorno "X" tu e tuo marito vi mettete in fila nello studio medico, davanti a voi altre dieci/quindici coppie con lo stesso barattolo in mano, quando è il vostro turno vi rinchiudete in uno stanzino per fare "attività manuale" e magari qualcuno da fuori bussa per entrare. "Se nasce con gli occhi azzurri hanno scambiato il barattolo con il tipo davanti a noi e ci può stare, ma quello dietro è alto e nero! Chi lo spiega poi?" L'unica cosa che puoi fare in certi momenti è sdrammatizzare. Quattro tentativi, duemilacinquecento euro, otto mesi perchè la cura ormonale deve essere fatta a cicli alternati e niente. Passo successivo la fecondazione in vitro, nota come FIVET. Non so se lo sapete ma per accedere alla Fivet esiste un rigido protocollo ministeriale che altro non è se non una serie di esami e accertamenti piuttosto costosi e tra questi la mappa cromosomica sia dell'uomo che della donna. C'è qualcosa che non va. L'illustre professore ci consiglia di sentire un genetista. I tentativi fatti nei precedenti quattro anni erano stati del tutto inutili a causa di un piccolo cromosoma anticonformista e anche una eventuale Fivet aveva poco senso se non associata ad una analisi preimpianto. Peccato che in Italia nel frattempo qualcuno aveva pensato di fare una bella legge che impediva tale accertamento e che qualcun altro di lì a poco avrebbe fatto di tutto per far apparire come un attentato alla morale il testo del referendum abrogativo, referendum che ovviamente non ha avuto il risultato che noi speravamo. Quattro anni per sentirci dire: "Voi in Italia oggi non potete fare nulla! Quattro anni fa sì, oggi no." In Italia puoi fare la villocentesi a sette settimane di gravidanza e l'amniocentesi a sedici, ma non puoi verificare se il tuo ovulo, fecondato in laboratorio, è sano. In Italia ti devi accorgere di portare in grembo un bimbo gravemente deformato e poi puoi decidere di abortire con un parto vero e proprio. Ma torniamo a noi: quattro anni, 72 ecografie interne, sesso a comando e a pagamento, ormoni a mille e ogni mese una delusione. E sì perchè alla fine ci speri sempre, alla fine non riesci a non illuderti e ogni mese la delusione è peggiore del mese precedente perchè non vedi più la meta. "Basta io non faccio più niente, sono stanca, si vede che non è destino." Ero davvero stanca e mi sentivo stupida, beffata dal metodo e delusa dal risultato: "perchè non fare tutti gli accertamenti subito?". Mi ero rassegnata all'idea di non avere un figlio, Antonio no. Si informava su tutti i centri esteri, su quale offrisse un servizio che meglio rispondesse ai nostri problemi: la Svizzera non andava bene, forse la Spagna. Aveva persino iniziato una cura a base di Aloe Vera perchè pare abbia benefici effetti sugli spermatozoi, forse non sarebbe servita a nulla ma male non faceva. Io invece non volevo più sentir parlare di cure, volevo riprendere la mia vita, ritrovare un'intimità con mio marito, volevo tornare a fare l'amore con lui. A febbraio, cinque mesi dopo l'ultima cura, stavo meglio: "Vogliamo informarci sulla Spagna?" Appuntamento privato la domenica pomeriggio. Quella stessa mattina mi viene un sospetto, mi sembra passato parecchio tempo dall'ultimo ciclo: faccio un test di gravidanza, è positivo. Io e Antonio siamo rimasti a guardare quello stick inebetiti e increduli per non so quanto. Dal medico ci facciamo spiegare tutto sulla Spagna e poi gli parliamo del risultato del test. L'ecografia non rileva ancora nulla, ma i test difficilmente sbagliano. Il mattino dopo l'esame del sangue. La sera mi chiama il medico:"Signora è in attesa, in Spagna ci andrete in vacanza!". PS: per informazioni www.cercounbimbo.net

domenica 16 novembre 2008

Post di servizio: un nuovo layout

Volevo un template che profumasse di antico, i cui colori avessero le tonalità dei ricordi, qualcosa di simile ad un vecchio diario. Volevo un template semplice e accogliente. Il vecchio template si avvicinava ai miei desiderata, ma non mi convinceva pienamente.

Ho provato a cambiare, ma non sentivo più mio il blog e allora: torno al vecchio template !


PS: Grazie Mimmo!

sabato 15 novembre 2008

If you are happy!

Il virus intestinale non è ancora completamente debellato, così ho passato quindici minuti poco piacevoli seduta sulla tazza.
Ovviamente Marco e Luca erano con me.
Luca si divertiva a srotolare e sminuzzare la carta igienica.
Marco era preoccupato per me.
"Mamma ti posso aiutare?"
"Sì Marco esci, vai in cameretta insieme a Luca!"
"No Mamma ti canto una canzone: ef you eppi and you nooo clep ior end, ef you eppi and you noo clep ior end! Come stai Mamma?"
"Meglio Marco"
"Allora canto ancora così stai più meglio: ef you eppi and you nooo clep ior end...."

Per dieci minuti Marco ha ballato e cantato "If you are happy" davanti a me incurante dell' olezzo decisamente poco invitante.
Nel frattempo Luca ha preparato un pasticcio di carta igenica e acqua, il tutto insaporito con detergente liquido.

"Luca accidenti smettila, guarda che schifo!" dico io.
Marco con riso sornione guarda il fratello: "Luca hai capito smettilaaaaaaaaa! Sei una merda!"

Una brava mamma avrebbe ripreso il figlio almeno per due motivi: la brutta parola e l'essersi eretto ad educatore non autorizzato del fratello.
Ora, la parola decisamente poco adatta in bocca ad un bimbo educato l'ha imparata da me e per inciso era anche l'unica parola non fuori luogo in quel contesto.
Secondo, non mi piace rimproverarlo in continuazione per dirgli ciò che non deve fare, lo sa anche lui e comunque capisce da come lo guardo.
Non gli ho detto niente, l'ho solo guardato in modo serio e poco dopo gli ho dato un abbraccio, sì un abbraccio seduta sulla tazza.

"Scusa Luca. Luca ti canto una canzione: ef you eppi and you nooo clep ior end!"

venerdì 14 novembre 2008

Due Capi

Due persone, due capi unici e speciali.

Ho conosciuto Maurizio durante un colloquio di lavoro.
In trenta minuti mai un sorriso: sempre composto, serio, indagatore, inflessibile.
"Possiamo darci del tu ora" mi disse il primo giorno. Il ghiaccio era rotto.
Iniziavo a scoprire una persona molto preparata, disposta ad insegnarmi tutto quello che sapeva con dedizione, pazienza, comprensione, un capo un po' accentratore ma disponibile al confronto, un capo aziendalista fino al midollo e fin troppo rispettoso delle gerarchie ma che accettava anche compiaciuto la mia insubordinazione.
A volte alzavamo la voce, spesso non condividevamo il modo di procedere, ma al di là degli scontri tra capo e matricola ribelle si era creata una proficua complicità.
Maurizio non era solo il mio capo, stava diventando un amico e col tempo un consigliere prezioso.
Ha condiviso le mie angosce quando cercavo invano un bimbo, le mie gioie quando ho scoperto di essere in attesa. Mi sono emozionata quando mi è venuto a trovare in ospedale dopo la nascita di Luca.
Maurizio è una persona speciale.

Anni dopo nella ormai periferia milanese venne mandato Francesco, un dirigente romano, responsabile direttamente e non di tutta la struttura.
Uno che a trentacinque anni ricopriva un simile ruolo o aveva tanti santi in paradiso o era il classico genio un po' " tipo leopardiano".
Arriva.
Era vestito in modo impeccabile, palestrato quel tanto che basta, biondo, occhi azzurri, alto. Beh, alto non troppo ma ci sta bene. La sua genialità sarebbe uscita di lì a poco.
"Io dovrei lavorare con lui?" Come inizio niente male. Come inizio!
Era esigente a volte anche troppo, era pungente e cazziava piuttosto bene ma sapeva coinvolgerti, motivarti, premiarti, ti lasciava spazio e molta autonomia. Sapeva anche ridere e scherzare. Non voleva essere un amico, difficilmente chiamava solo per chiedere "come stai?" ma sul lavoro avevamo un'ottima intesa. Era un leader, un punto di riferimento, con lui avevi le porte aperte ovunque. Se qualcosa non andava, se avevi lamentele era sempre disposto ad ascoltare. E con una logorroica come me, ha ascoltato e sopportato tanto, troppo.
Per qualcuno forse ho una seconda anima masochista ma ricordo con piacere il periodo in cui era il mio capo.

giovedì 13 novembre 2008

Neo laureata, giovane e...brillante!

Vi ho già parlato di Mamma ma ancora la conoscete poco.

Mamma ha iniziato a lavorare a ventiquattro anni e a quell’epoca non era ancora Mamma. Quindi la chiameremo Renata.
Renata ha iniziato a lavorare a tre mesi di distanza dalla laurea. E’ stata fortunata. In quegli anni e ancora per poco, le grandi società di consulenza assumevano con contratto di formazione e lavoro giovani e brillanti neo laureati e Renata era una di loro. Di certo era neo laureata e giovane che fosse brillante era ancora da dimostrare.
Renata non aveva molta famigliarità con il computer, fino ad allora l’aveva usato per scrivere la tesi di laurea ma per lei era poco più di una macchina da scrivere con due grandi vantaggi: la correzione ortografica e la modifica agevolata di interi paragrafi.
Internet era un mondo sconosciuto: all'università se voleva fare un ricera doveva prenotare il tecnico che offriva un'ora di consulenza cercando nella rete quello che le poteva servire.
Sorvolo sulla oggettiva difficoltà di scrivere una tesi sulla Cina con il metodo della ricerca assistita ma sottolineo che era il 1998.
Insomma Renata era un vero somaro, brillante neo laureata ma priva di quegli strumenti indispensabili per approcciare con successo il mondo del lavoro.
Dopo soli venti giorni di full immersion su SAP R/3 modulo FI (un sistema per la gestione aziendale e nel suo caso la contabilità) e un mese di affiancamento ad un consulente senior che non aveva il tempo nemmeno per dire “ciao Renata come stai oggi?” era pronta per essere venduta al cliente come consulente junior per la modica cifra di 650 mila lire al giorno, lira più lira meno.

Renata deve dire grazie a tutti i colleghi che per due anni hanno condiviso con lei le giornate lavorative apprezzando la sua spontaneità e la sua voglia di apprendere e che le hanno permesso di diventare se non brillante almeno meno opaca.

Dopo due anni, l’essere meno opaca e il parlare di SAP le hanno permesso di cambiare lavoro.
Per otto anni ha fatto cose diverse tra loro e diverse da SAP. Ha anche gestito un progetto SAP modulo FI, ma dall’alto la prospettiva cambia. Non aveva a che fare con ABAP, customizing, tabelle, doveva gestire e quindi partecipare ad incontri, approvare documenti, essere sempre allineata con il team di progetto: alias rompere gli attributi maschili agli altri per far fare loro quello che lei non sapeva fare e a rompere gli attributi maschili era molto brava.
Negli otto anni di cui parlavo, Renata è anche diventata Mamma o meglio Mamma bis e il rientro in ufficio non è stato molto felice.
Qualcuno poi ha pensato che Mamma avesse sempre lavorato su progetti e così per aiutarla a scegliere liberamente le ha trovato un progetto ad hoc proprio a Milano.
Mamma si dovrà occupare di SAP R/3. Dovrà rispolverare il customizing, ritrovare nella memoria nomi come la BSIS e la BSAS, seguire le migrazioni dati. Non potrà partecipare agli incontri importanti perché il part time è una sua scelta e forse potrà anche evitare i sabati e le domeniche.

In tutti questi anni Mamma si era illusa di essere diventata un po’ più brillante: si sbagliava.

mercoledì 12 novembre 2008

Anna

Anna era sposata da anni e non aveva figli.
Anna e Paolo si sono conosciuti al lavoro. Paolo era un consulente che lavorava con Anna. Era bello, simpatico, estroverso e libero: libero di innamorarsi di Anna, libero di volerla come non aveva mai desiderato nessun altra, libero di farla innamorare di lui.
Anna amava suo marito, non aveva mai pensato di tradirlo, dopo tanti anni di matrimonio l'ultimo suo pensiero era guardare altrove.
Però l'interesse di Paolo la lusingava, Paolo aveva qualcosa di speciale, di diverso e Anna sentiva il suo cuore battere forte come non succedeva da tempo, era attratta da lui, sapeva però che avrebbe rovinato un matrimonio felice o quasi e cercava di fuggire da quello che provava.

In certi momenti le amiche sono un'ancora, un rifugio.
Anna non voleva consigli: aveva chiesto solo di esserle amica e di accettare la sua scelta qualsiasi fosse.
Prima ancora di poter decidere era in attesa e aspettava un figlio da suo marito.
A volte Anna ripensa a Paolo a come sarebbe stata la sua vita, ma non ha rimpianti, è felice.
Paolo è un bel ricordo, lontano.

Qualcosa di Anna vive in ognuno di noi.

martedì 11 novembre 2008

Lunedì nero

Non so come sono andate le borse, ma a casa nostra è stato un lunedì nero.

Suona la sveglia e dopo una notte tra nausea e conati mi devo alzare. Cerco di vestirmi in silenzio ma inutile: Luca inizia ad urlare senza motivo e le grida svegliano Marco.
Marco tra i singhiozzi continua a ripetere: "Mamma perchè devi andare al lavoro?" e Luca lo aiuta nella supplica con un pianto straziante.
Quando colpisce la mammite non c'è rimedio: il papà non può nemmeno pensare di intromettersi, l'unica arma sono gli abbracci di mamma e solo quando i bambini si sono calmati, allora si può cercare una via di fuga dalla morsa.
Questa mattina la mammite è durata dieci minuti e sono davvero molti per chi ha quindici minuti di tempo da quando suona la sveglia a quando timbra il biglietto sul tram!

E' tardi e c'è sciopero dei mezzi pubblici. E' noto che in queste occasioni Tram e Metro si trasformano in convogli della speranza: c'è chi cerca di salire ad ogni costo e ci riesce, c'è chi dimentica l'educazione e stanco di sentire spingere inizia ad imprecare e ad insultare; c'è poi chi si trova schiacciato contro un signore che non si lava da tempo e non potendo muoversi respira a pieni polmoni.
Diciamo che la nausea notturna non era nulla a confronto di quello che ho accusato per il resto della mattinata.

Finalmente è ora di andare a prendere i bimbi!
L'asilo di Luca è alquanto decimato causa virus intestinale e Luca era stato colpito da attacchi di dissenteria.
Marco sembra uscito da una discarica. Nel sonno aveva tossito e rimesso su tappetino, vestiti e capelli.

"Dai che non è successo nulla, adesso andiamo a casa e prendiamo tutti la medicina così il pancino guarisce bene bene!"
Luca sembra non capire, Marco invece domanda curioso: "Quale medicina?"
"Una fialetta di Enterogermina a Luca e una a te"
"Quella vera o quella finta?"
"Quella vera"
"Evviva evviva evviva, si però a me due perchè mi fa male la pancia tanto tanto tantissimo!"

Almeno per qualcuno il lunedì stava cambiando colore.
Per me cambia ora: buona notte!


PS: Marco adora l'enterogermina, quando era più piccolo era capace di buttarsi a terra piangente davanti alle confezioni di enterogermina che vedeva sul bancone delle farmacie e non potendo somministargli il farmaco a piacimento siamo ricorsi alle fialette finte o meglio alle fialette vuote riempite con acqua. Beveva quattro/cinque fialette finte per volta e per la necessaria sostituzione delle fialette usurate siamo anche ricorsi all'aiuto di amici reduci a loro volta di virus intestinali. Per fortuna ora va meglio.



lunedì 10 novembre 2008

Papu e le cinque sorelline

Papu è un grande amico di Marco.
Marco ha incontrato Papu circa un anno fa. Papu vive a Como ma questo non impedisce ai due amici di vedersi con una certa frequenza. Di solito è Papu che viene a trovarci. Papu non ha orario a volte ci raggiunge quando stiamo cenando e ovviamente si autoinvita: non è un bimbo dal grande appetito e Marco è sempre contento di poter dividere con l'amico. A volte viene a giocare con Marco e, lui solo tra gli eletti, può usare tutti i giochi di Marco: non esistono veti per l'amico. Una volta siamo andati noi a Como, ma Papu non c'era.
Circa sei mesi fa anche a Papu è arrivato un fratellino: Kiki.
Kiki è più grande di Papu, nonostante sia arrivato dopo. Anche Kiki è diventato amico di Marco, però non viene spesso da noi. Marco parla spesso con Papu, a volte litigano ma l'amicizia tra i due non ha cedimenti.
Papu e Kiki non esistono, vivono solo nella fervida immaginazione di Marco.

Ieri Valentino era infortunato e Marco disposto ad una lunga chiacchierata:
"Mamma sai oggi Papu non è andato all'asilo vecchio."
"Marco hai ragione oggi è domenica. Ma l'asilo vecchio è a Milano, Papu non viveva a Como?"
"Sì mamma vive a Como e va all'asilo a Como ma era mio compagno."
"Dov'è andato oggi?"
"Oggi è andato lontanissimo."
"Lontanissimo? Dove?"
"Eeeeeeeeee è andato lontanissimo a Monza a salire sugli amberi"
Papu va spesso lontanissimo a Monza, era la prima volta che saliva sugli alberi.
"Sugli alberi? E suo fratello Kiki?"
"Kiki non sa salire e allora è andato all'asilo, anzi no, alla scuola elementare. Kiki è grande, grandissimo." "Papu è del segno del cranco, invece Kiki è come zio Giò. Che segno è zio Gio?"
"Leone, Marco."
"A sì, Papu è del cranco, Kiki del leone. Poi un altro fratello è bilancia come Luca, un altro fratello è come te mamma, un altro fratello è come il nonno e poi uno come papà."
"Allora due ariete e un altro cancro. Scusa ma quanti fratelli ha Papu?"
"E cinque, come le mie sorelline"
"Quali sorelline?"
"E si mamma ti ho già detto che voglio cinque sorelline!"

Effettivamente Marco chiede cinque sorelline da quando è nato Luca e ovviamente le sorelline sono in sostituzione di Luca. Da quando anche Papu ha cinque fratellini, la richiesta è più frequente.
Non amo dire bugie a mio figlio ma Marco non cede molto facilmente quando chiede qualcosa e soprattutto deve essere convinto delle motivazioni prima di mollare la presa.

“Ok Marco, vada per le cinque sorelline!”

domenica 9 novembre 2008

Persone vere

Ieri mi ha chiamato un'amica e mi ha raccontato di M.
M. è un collega da tanti anni, non abbiamo mai lavorato insieme ma è capitato più volte di partecipare alle stesse riunioni, di trovarci a Roma in trasferta e di uscire a cena.
M. è più grande di me, ha un figlio solo di cui va molto fiero e una moglie che deve amare molto.
M. è una persona tranquilla, pacata.
M. non sta bene, è a casa e starà a casa per molto tempo.
M. oggi ha chiesto di me.

Ci sono colleghi che vedi tutti i giorni, che apparentemente ti sono amici, che ti coprono di lodi quando hanno bisogno di aiuto e che non si ricordano di te nemmeno per chiederti “E' nato? Come stai?”
Ci sono colleghi che quasi nemmeno conosci, che hai incontrato per caso qualche volta e che anche quando stanno male, molto male, non pensano a se stessi ma a chiedere di te.
Anche per questo amavo il mio lavoro: mi ha permesso di conoscere persone vere, persone come M., presenti e amiche, persone disposte ad aiutare o semplicemente ad ascoltare.

Coraggio M. vedrai che è solo un brutto periodo e passerà presto!

venerdì 7 novembre 2008

Maschilismo in erba

Stavo giocando con Marco e Luca. Antonio era al computer lì vicino.

“Mamma, basta costruzioni! Cambiamo gioco?”.
“Che dite disegnamo un po'?”.

Luca: “knu” e sorriso. Luca non parla, sa dire solo Mamma, Papà e knu. Knu ha una valenza semantica che copre 360 gradi e quindi vuole dire tutto e il contrario di tutto a seconda della espressione del volto che l'accompagna. Knu e sorriso equivale ad un sì incondizionato.
Marco invece ha accettato con entusiasmo, gli piace molto dipingere e adora pennarelli e tempere.

“Dai allora vai a prendere i pennarelli!".
“Si però mamma coloro solo io”.

Già godevo tra me e me all'idea di potermi dedicare ad altro, ma visto che succede raramente mi viene spontaneo chiedere il perchè.

“Perchè sei una donna e le donne non usano i pennarelli".
“Amore mio chi ti ha detto una simile stupidaggine?”.
“E sì mamma tu sei una donna eeeeeeeeee alloraaaaaa non puoi. Lo dice Matteo che non puoi!”.

Io e mio marito ci siamo guardati stupiti. Un simile concetto suonava vecchio di almeno due generazioni.
Una frase che mi riportava ai tempi del liceo quando il mio vecchio professore di greco imprecava contro le ragazze dicendo "tu donna, che ci fai qui, dovevi stare a casa a fare la calzetta!". Detta da un vecchio professore di nome Pieradolfo era quasi accettabile, ma associata ad un bambino di tre anni lascia perplessi. Matteo non centra, qualcuno però queste idiozie gliele sta trasmettendo.

“Marco noi adesso coloriamo insieme, o tutti o nessuno. Se poi domani Matteo lo ripete ancora, digli pure che Valentina e Margherita sono bravissime e possono colorare con voi”.
“No mamma se lo dice ancora, gli dicio che non coloro neanche io”.


giovedì 6 novembre 2008

Intervista alla redazione


"Come va il blog?"
"E’ presto per dirlo, è aperto da meno di quindici giorni."
"Le seguono in molti?"
“Sa come è, sono una persona molto riservata e discreta, ho parlato del blog solo a pochi intimi e poi non mi piace parlare di me apertamente. Recentemente ho visto una maglietta alla Benetton con scritto “I can’t stop talking about me”. Davvero mi chiedo come si possa pensare di acquistare una maglietta con una scritta simile, non ne sarei mai capace!"
“Quindi nessuno?”
“ Beh nessuno no, qualcuno.”
“ Scusi la schiettezza, come fa a saperlo, non mi pare di avere visto molti commenti ai suoi post?”
“Diciamo che ho un ritorno da altri canali: chi non si fida di internet bussa alla porta dell’ufficio e commentiamo insieme, qualcuno poi mi manda una mail privata e poi c’è sempre il marito.”
“Il marito? In che senso?”
“Mio marito, mi ha parlato di un certo programma su google che poi altro non è che una sorta di contatore evoluto.”
“Ho capito non legge nessuno. Le mando un commento di incoraggiamento: aspetti, non riesco a postare, c’è qualche problema?”
“Vediamo.
Cliccare su COMMENTI.
Scrivere nella finestra POSTA UN COMMENTO qualsiasi pensiero, fatto si voglia testimoniare o condividere.
Nel menù a tendina alla voce COMMENTA COME selezionare una delle modalità con cui farsi riconoscere o non riconoscere.
Cliccare su POSTA COMMENTO.

Ecco fatto, vede è abbastanza semplice."
"Un’ultima domanda, ma lei cosa ci guadagna?"
"Io tantissimo. Ho un diario sempre con me e la possibilità di scriverci quello che provo e sento. Gli anni passano per tutti e la memoria inizia a fare brutti scherzi. E’ un po’ come avere scoperto un database delle mie emozioni per riviverle e conservarle."
"Un’altra domanda, questa volta l’ultima davvero, ma cosa importa agli altri dei fatti suoi?"
"Penso che siamo esseri umani che non vivono fatti o emozioni assolute. Molto di quello che ci accade è già successo ad altri magari in altro tempo o con sfumature diverse, è bello anche confrontarsi per condividere le esperienze."
"Grazie, alla prossima."
"Grazie a Lei."

mercoledì 5 novembre 2008

Una cicogna in arrivo!

Oggi è la classica giornata no. Una giornata di quelle in cui non ti senti te stessa: ti senti inutile e triste e non trovi nulla che riesca a farti superare questa situazione.
Non c’è motivo o non c’è un motivo diverso da quello che avresti potuto avere ieri o che potrai avere domani.
Obama ha vinto le elezioni, si apre una nuova pagina per la storia americana e mondiale e invece ho solo voglia di dormire senza pensare a nulla, ma non posso.

Suona il cellulare. "Ci siamo riusciti, aspetto un bimbo!"
"Wow! Sono contentissima per voi! Un fratellino o una sorellina in arrivo. Vedi che la cicogna ha ascoltato tua figlia!”. Mi sento davvero bene, sono felice.

La gravidanza è un periodo strano. Per quanto possa essere diverso da donna a donna o da gravidanza a gravidanza è comunque sempre bellissimo.
Non importa se ingrassi, se sei stanca, se sei costretta in casa perché ti senti svenire, se ogni volta che mangi qualcosa avverti solo nausea o se ti viene voglia di mangiare piselli in scatola alle ore più strane della giornata.
Hai una vita dentro e qualsiasi paura o preoccupazione non riesce a equiparare la gioia che provi. Ami il tuo pancione.

Ho nostalgia di quei momenti.

martedì 4 novembre 2008

Riunione di lavoro


Negli ultimi dieci anni ho partecipato a tante riunioni: incontri e meeting erano diventati il mio lavoro.
Il termine riunione però è alquanto riduttivo e generico, occorre un po’ di esperienza per saper distinguere, collocare in ordine di importanza e scegliere a quale incontro partecipare perché quando il ritmo è frenetico, le riunioni si sovrappongono e così devi spesso partecipare a più incontri contemporaneamente.
Non è un mondo di malati ma si è sulla buona strada per diventarlo.

Io amavo i tavoli di lavoro dove si praticava il brainstorming e detestavo le logorroiche riunioni con i grandi capi.
Indipendentemente dal piacere personale di essere presente o meno, ho sempre cercato di essere professionale: a volte aggressiva e un po’ rompiscatole, a volte spiritosa perché dopo un po’ o ti fai una canna o trovi una alternativa meno dannosa per la salute, ma sempre professionale.

L’incontro di ieri era a Roma ed era stata concessa la gentile partecipazione a me, Mamma part time milanese, e ad un collega del Nord Est.
Vengo chiamata tramite communicator, una specie di messenger aziendale che consente di contattare le persone via chat, telefono e web cam contemporaneamente.
Attendo quarantacinque minuti.
L'attesa è la normalità durante gli incontri con Roma, il resto un po’ meno.
Little Angel, il Capo del grande capo, entra nella stanza e inizia a parlare senza sapere che c’è un PC che deve veicolare la sua voce anche al Nord Est e a me, ovviamente Little Angel è seduto molto lontano dal PC.
Io sento molto poco. Il collega romano digita sul communicator “Si sente?” “No ma non ti preoccupare” digito a mia volta. A turno parlano diverse persone ma io non sento nulla e cerco anche di concentrarmi, di sfogliare le slide dell’incontro per capire meglio, ma nulla. Chiedo anzi digito al collega del Nord Ovest e anche lui sente poco.
Da Roma "Non digitate, non digitate si sente tutto!".
C'è uno strano rumore di sottofondo simile ad un treno che sta per entrare in stazione: due ore di riunione inutile e un mal di testa crescente.
Ad un tratto bussano alla porta del mio loculo milanese: è arrivato il pranzo.
"Grazie, lo mangio più tardi!".
Nelle orecchie il fischio del treno, nel cuore la delusione di dover far parte di un modo di lavorare che non sento mio, nella testa la consapevolezza di essere una presenza via cavo del tutto inutile e ignota a Little Angel, sotto il naso il profumo della pasta con panna e zucchine.
"Mangio?". No non posso, un minimo di decoro, di professionalità, anche se non interessa a nessuno, ho pur sempre una dignità personale.
Altri quindici minuti e la riunione termina.
"Buon appetito!" dicono ora in modo nitido "Grazie anche a voi, è stato un piacere!".
Si è stato un piacere mangiare la pasta con panna e zucchine comodamente seduta davanti al PC con le cuffie alle orecchie che veicolavano un fischio di treno accompagnato dal vociare convulso di qualcuno che crede ancora che quello sia lavoro.

lunedì 3 novembre 2008

Mickey Mouse al Moto GP

Marco ha una passione particolare per le moto, una passione che condivide con lo zio “pefferito”.
Marco conosce i nomi di tutti i piloti del Moto GP e il colore delle rispettive moto.
Marco ha un papà attento e interessato che ha prontamente colmato le lacune in materia per stare al passo con il figlio e una mamma che spera ancora che sia solo una infatuazione passeggera e che insiste con le visite alle fattorie, le gite in montagna, il disegno, le costuzioni.
Marco ovviamente ripete in continuazione che da grande vuole una moto grande, grandissima e cerca di conciliare la venerazione per lo zio con evidenti tendenze mitomani: “ Da grande voglio una moto verde, con caco verde, giubbotto verde, tutto verde, verdissimo” ma sostiene di essere Valentino!
Inutile dire che il fratellino è il rivale, l’antagonista per eccellenza e in questo caso il perdente “Casey Stoner”.
Da un po’ di tempo le gite in auto sono accompagnate da un ormai abituale e alquanto rumoroso rituale che dalla partenza al luogo di destinazione sostituisce qualsiasi dialogo, sottofondo musicale, o il semplice silenzio: “Brum, brum, brum… vado fottissimo!”
Nemmeno i tentativi di una madre chiacchierona e logorroica hanno effetto su un figlio altrettanto chiacchierone e logorroico che in quei momenti dimostra un Io troppo forte per poter essere contrastato.
E così:”Brum, brum, brum… guarda Casey ti sto superando, brum brum brum… guarda che impennate, guarda Valentino che bravo!”.
Questo autodefinirsi in terza persona mi stupisce un po’ vista l’età del pilota ma avremo modi di parlarne un’altra volta.
Ovviamente la moto di Valentino ha sempre il serbatoio pieno e la benzina finisce solo quando si arriva a destinazione.
Ieri però la moto di Valentino si è rotta, era ferma ai box in attesa di riparazione ed è stata sostituita dalla moto di Mickey Mouse.
“Marco come mai oggi guidi la moto di Topolino? “
“ Noooooo, non Topolino, Mickey Mouse!”
“Ma Mickey Mouse non corre in moto!?”
“Siiiiiiiiiii, uffa! Mickey Mouse ha una moto arancio che non impenna e che fa tanto rumore!”
“Forse volevi dire Niki Haiden” interviene il colto papà.
“No, Niki Haiden ha la moto arancio e nera ed è amico di Lorenzo che ha la moto bianca e blu. Mickey Mouse ha la moto tutta arancio ed è amico di Valentino. Eeeeeeeeee alloraaaaa mi ha prestato la moto!”
Va bene Marco, da oggi anche Mickey Mouse corre al Moto GP.
Mamma e papà si rivedono nel figlio, condividono un carattere forte, la perseveranza nell’ostinazione e decidono che è meglio non contrastare.

domenica 2 novembre 2008

Una morte inaccettabile

E’ un bel ragazzo biondo, riservato, discreto, sempre molto educato e gentile. Ha 25 anni. Lo vedo passare tutti i giorni lungo il corridoio di fronte al mio ufficio: lo vedo passare quando entra la mattina e lo vedo la sera nella direzione opposta. Ci salutiamo quando ci incontriamo ma non c’è confidenza tra noi, di lui so poco anzi pochissimo: non ha fratelli e ha perso il padre quando era ancora giovane, vive con la mamma.
Con l’arrivo di Marco rimango a casa per diversi mesi, di tanto in tanto vado in ufficio a trovare i colleghi, l’ultima volta a inizio settembre: Lui è gentile, mi saluta con il solito sorriso e in modo discreto e senza invadenza si avvicina a Marco. “Ci rivediamo presto” dico.
Il diciotto settembre rientro in ufficio: saluto i colleghi, parlo di Marco, racconti dei mesi trascorsi a casa. Arriva una telefonata: “C’è stato un incidente ieri sera, un ragazzo è sbandato con la moto ed è finito contro un palo”. E’ morto sul colpo.

Lei era lì accanto alla bara del suo unico figlio e la accarezzava con la stessa dolcezza con la quale qualsiasi madre accarezza il volto del proprio figlio. Lei era lì accanto a quel corpo e si preparava a dire addio.
Non era il primo funerale a cui partecipavo, non era il primo figlio che vedevo salutare ma era la prima volta che mi succedeva da quando ero diventata madre.
Non riuscivo a smettere di piangere, era un pianto convulso, ero sconvolta. Pensavo a Marco, a quando l’avevo abbracciato per la prima volta. Avevo voglia di correre da lui, di stringerlo forte a me, di supplicarlo di non lasciarmi mai! Lei invece era lì composta nel suo dolore.

Improvvisamente ripenso a mia nonna con nostalgia e con rimpianto. Ero troppo piccola allora e forse l’avevo criticata e rimproverata senza sapere, senza poter capire.
Avevo a lungo visto una nonna indifferente, quasi infastidita dalla presenza dei nipoti; ora vedevo una madre chiusa nel suo dolore.
La sua mente si era rifugiata nel passato, lontano dal momento in cui le era stato tolto suo figlio. I medici parlavano di arteriosclerosi, oggi penso che quegli ultimi anni fossero solo un dignitoso e progressivo addio ad una vita di cui rimaneva solo un corpo.