sabato 28 febbraio 2009

Piacer figlio d'affanno

Oggi è l’ultimo giorno del carnevale ambrosiano.
Fino a ieri Luca e Marco hanno frequentato nido e scuola d'infanzia. Il nido è privato ed ero certa della sua apertura, la scuola è comunale e la scorsa settimana mi ero allarmata dopo aver chiacchierato con due amiche: le figlie, scuola d'infanzia privata, 5 giorni di riposo.

"Figurati se è aperta la scuola d’infanzia comunale! Potrei chiedere a S. se mi tiene Marco al nido insieme a Luca, e io pago! Potrei mandarlo dai miei ma non è mai stato fuori casa a dormire da solo, di notte si sveglia ancora, se poi gli prende la mammite chi se li fa 50 km in piena notte? Prenderò qualche giorno di ferie ma addio vacanze pazzerelle…"
Basta pensare:
"D. la settimana prossima la scuola è chiusa?!!!! Non ci sono cartelli e sul sito del comune non risulta."
"No siamo aperti."
"Ah, anche venerdì?"
"Sì, anche venerdì."
"Passata è la tempesta…
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore…"
"Mamma cosa hai detto?"
"Marco nulla. Pensavo a Giacomo, un amico di quando andavo a scuola."
"Non ho capito. Cosa hai detto?"
"Ho detto che sono contenta, tanto contenta."
"Di stare con i tuoi bambini?"
"Bhe si anche."

Ho già parlato di scuole pubbliche e private. Non funziona così, mai. Sarà che a carnevale ogni scherzo vale?

Buon sabato grasso a tutti!

venerdì 27 febbraio 2009

Tram, metro e libri

Sono sul tram, quasi schiacciata contro le porte a vetri che ad ogni fermata si apriranno creando un certo disagio, se non altro per il sali scendi che si ripeterà. Cerco qualcosa a cui aggrapparmi in caso di frenate improvvise, non c’è e comunque non ce ne sarà bisogno, pigiati così non cadrei comunque. Dietro di me un ragazzo che mi ha guardato con aria interrogativa mentre cercavo di salire. Apro il libro che ho in mano e inizio a leggere. “Chi li capisce i Milanesi, ble.” si lascia sfuggire il ragazzo.
Il libro è carino, divertente e triste insieme, ma del libro vi parlerò tra qualche giorno quando sarò arrivata alla fine. Di tanto in tanto scoppio a ridere, a volte sorrido appena. “Che cazzo avrà da ridere?” sempre il ragazzo.
Anche volendo non posso voltarmi a guardarlo e non mi importa affatto perché non ho nulla da dirgli, il libro è sicuramente più interessante di qualsiasi sterile discussione. E poi il ragazzo non ha tutti i torti, se arrivi da fuori questa sana abitudine di leggere sui mezzi pubblici mentre sei in piedi e ti reggi a fatica sembra un po' strana, quanto meno insolita, ma dopo un po' di tempo diventa un rito a cui non riesci a rinunciare.

“Salgo sul tram, apro il libro e inizio a leggere, mi immergo nelle pagine e non sento più rumori, voci, proprio nulla. D'un tratto vengo colta da improvvisa ansia da discesa, mi guardo intorno ed è sempre la fermata prima della mia. Scendo. Mi incammino verso la metro leggendo saltuariamente tra un tornello e la scala mobile, tra la scala mobile e la pensilina. Poi salgo sulla metro e idem come sopra. Il percorso è lo stesso ogni mattina ed è come se un lato del mio cervello fosse assorto dalla lettura e l’altro controllasse la strada che sto percorrendo, lo fa senza che me ne accorga, ma è bravissimo, non sbaglia. Diciamo non sbaglia quasi mai.”

E' davvero più semplice di quanto si possa pensare, provateci!

giovedì 26 febbraio 2009

Intervista alla redazione_febbraio

"Buongiorno."
"Buongiorno a lei."
"Ormai ci conosciamo ma devo dire che questo mese mi è sembrata diversa."
"Ha ragione, un periodo un po’ riflessivo mi ha detto gentilmente qualcuno."
"Ma ci lascia così nel vago? "
"Vago... diciamo che questo mese è stato un po' monotono, non avevo nemmeno argomenti per la mia etichetta più concitata “mamma che lavora”, almeno non fino a ieri. Sì insomma gli articoli erano molto introspettivi, forse un po' troppo per il blog."
"Dal momento che ha definito il suo blog una sorta di diario direi che non ha tradito alcuna idea iniziale. Però mi chiedo perché ha aperto un blog."
"Per caso, davvero per caso. La scorsa estate ho incontrato la tata di due bambini che conoscevo, come va come non va, ho scoperto che la mamma dei bimbi ha un blog e stava per uscire il suo primo libro. Vado, leggo, mi appassiono. Caspita brava, divertente, ironica… non potrei mai. Non ne sarei mai capace. Scrivere cosa!? Poi in autunno sono rientrata in ufficio e...”
"E ha aperto il blog."
"Non subito, poi un po’ per rabbia e un po’ per amore ho aperto la mia redazione personale, un articolo sei giorni su sette."
"Per rabbia e per amore?"
"Sì e si vede bene nei primi due articoli la rabbia e l’amore e poi qualcosa di contorno vien da sé perchè la vita è come una tavolozza di un pittore dopo un'ora di lavoro: forse trovi ancora qualche colore primario ma accanto a tanti altri che sono frutto della mescolanza dei primi."
"A dire il vero non ho ben capito."
"Vede il primo figlio è una esperienza unica nella vita di una donna. Il secondo e la magia si ripete. Vivi in una dimensione nuova: stancante ma di una stanchezza che non ti consuma. Vuoi ricordare questi momenti, vuoi condividerli.
Sei mamma ma sei anche una professionista e vorresti fare tutto, vorresti non privarti di una parte di te tanto importante fino a qualche anno fa. Sei mamma accontentati.
Ma sei anche figlia, sorella, amica, moglie, hai un passato prossimo e remoto che a volte riaffiorano nella tua mente e poi sentimenti e riflessioni che nascono da un libro, un film."
"E così scrive."
"E così scrivo."
"La ringrazio anche questa volta e alla prossima."
"Grazie a lei."

mercoledì 25 febbraio 2009

Pronto ci sei?

Mi è arrivata un’altra telefonata dalle sfere romane, la terza da quell’ormai famoso 23 dicembre: non erano i miei capi, era ancora Z. che voleva aggiornarmi sulla sua vita.
Z. è una ragazza simpatica ed estroversa, in altre circostanze potremmo anche diventare amiche, amiche vere non solo su Facebook. Ma le circostanze non sono "altre", per ora.
Abbiamo parlato un po' e per concludere in cinque minuti una chiacchierata di quasi venti mi ha detto che si dovrebbe scrivere ancora qualcosa.
"Ok" del tutto indifferente alla richiesta e rassegnata a buttare giù righe che nessuno leggerà, approverà, userà e consapevole che quel qualcosa non richiederà più di due giornate, "Ma la versione 33 della procedura inoltrata a dicembre che fine ha fatto? E la versione 1 della procedura? quella che ho scritto sperando di interpretare i vostri desiderata perché tra fai, non fai, fai altro non è facile capire su che argomento dovrei scrivere."
"A sì la procedura di dicembre, ma sai non so, non sono andata io all’incontro, dovrebbe essere stata bloccata a tempo indefinito. L’altra?! Avevo segnato qualcosa, aspetta che non trovo il foglio, dove l’ho messo!?"
"Non importa, quando vuoi."

Z. è una cara ragazza, io mi domando perché accetti di telefonarmi solo per verificare la mia presenza in ufficio. Non è un’attrice e non sa fingere: "....pronto, scusa ma qual è il tuo interno?" "Z. mi stai chiamando tu!". "A ma ci sei" "Sì ci sono, avevo disattivato il communicator ma ci sono, sono qui tutti i giorni 8:00-14:00 ricordi?" avrei voluto rispondere.
Così lei gentilmente mi chiama mentre i capi sono scomparsi.
Capi la cui lettera maiuscola è solo una regola grammaticale dopo un punto. Capi che mi hanno detto di scegliere liberamente ma che a fronte di una concreta possibilità di fuga hanno pensato che potevo essere una interessante merce di scambio perché i numeri contano e quindi “do ut des”.
Io sinceramente non capisco il perché di questa situazione e ho smesso di fare e farmi domande.

"Caro capo e grande capo, basta e-mail, vi parlo da qui dal mio spazio a cui forse accedete o forse no, non importa. Mi avete accennato al tema procedure, ripetendomi di scegliere liberamente; poi avete pensato ad un progetto in quel di Milano, un progetto all’interno del quale non avevo un ruolo, ero solo una presenza e inizialmente anche disposta a mettere l’orgoglio sotto i piedi, rassegnata a ripartire da zero purchè mi fosse esplicitato quello zero e non l’avete fatto; poi un database interno morto già prima che venisse proposto e infine ancora le procedure, senza nemmeno dirmelo direttamente.
Forse siete dispiaciuti anche voi per questa situazione ma francamente non mi importa. Ero incazzata, molto, ero. Sono serena e felice come sempre. Non sto aspettando voi per sorridere o vivere le mie giornate, ho altro a cui pensare."

martedì 24 febbraio 2009

Arance a Ivrea

Oggi è il martedì grasso, l’unico giorno del carnevale che accomuna l’italica festa alla medesima chiamata ambrosiana. Mentre per il resto del Paese il giovedì, il venerdì e anche il sabato grasso sono già un ricordo, per l’ambrosiano popolo “en fest da venì" (devono ancora arrivare).
In attesa dei nostri bagordi, siamo andati a sbirciare un poco fuori porta e mentre scrivo ho già nostalgia di una battaglia che si disputerà tra poche ore e di cui siamo stati spettatori e protagonisti domenica scorsa.
La battaglia delle arance si ripete infatti per tre giorni consecutivi: la domenica il primo combattimento e il martedì l’epilogo.
Se volete informazioni, il sito ufficiale del carnevale di Ivrea descrive tutto: la storia, la battaglia delle arance, la mugnaia e gli altri personaggi, la fagiolata, dedica anche parecchio spazio alle fotografie e vi alletterà se non per questo pomeriggio per il prossimo anno.
Per me e Antonio era la terza presenza: la prima anni fa su invito di un collega naturalizzato eporediese, la seconda quattro anni fa con un affiatato gruppo di amici e poi domenica con zia Lu, il fidanzato di zia e i figli.

Mi colpiscono sempre gli improvvisati banchetti che vendono cappelli, rigorosamente rossi e dalle forme più strane, tra le quali domina incontrastata il Berretto Frigio chiamato anche “Calza” per la sua forma e per la comune tecnica manifatturiera. Devi acquistarlo: è simbolo di libertà e di rivolta contro le oppressioni, esprime la tua partecipazione attiva alla manifestazione, ti introduce subito nell'atmosfera carnascialesca, dà allegria e ti mette in salvo dalle arance!

Poi la passeggiata mattutina tra le piazze. Piazze illuminate dal sole, pulite. Gli edifici che le circondano sono ricoperti da alte reti e protezioni metalliche lungo tutte le pareti; i bar che si affacciano sulle piazze o che trovi lungo le vie di accesso alle stesse hanno pavimenti e banconi rivestiti con tavole di legno perfettamente incastrate l’una accanto all’altra: un abito perfetto a protezione degli interni. Lungo i lati della piazza, loro, le protagoniste: migliaia di arance in cassette di legno ordinatamente accatastate e protette da rudi guardiani.
Se ci sei già stato, ti soffermi a guardare quelle piazze più a lungo: già sai che di lì a qualche ora saranno simili a grossi frantoi colmi di succo d’arancia e bucce, venti trenta centimetri di poltiglia ricoprirà tutto.

Incomincia la battaglia delle arance. Le due volte precedenti avevamo seguito i combattimenti nelle varie piazze e qualche arancia abusiva fuori dalle reti di protezione, cappello rosso in tasca, l’avevo lanciata anche io e qualcuna ne avevo presa. Quest’anno abbiamo osservato i combattimenti tra le guardie del tiranno sui carri e gli aranceri (il popolo) sotto, mantenendo qualche metro di distanza. L’unica piazza in cui abbiamo dato spazio al nostro entusiasmo era quella dedicata ai piccoli: bambini di sei/dieci anni che imparano sul campo la tecnica del lancio. Anche Marco ha voluto provare, si è tolto il cappello e arrivato in prima linea ha lanciato la sua arancia. Un lancio che ha permesso alla sfortunata di rotolare qualche metro più avanti e di finire schiacciata sotto gli zoccoli di un cavallo e che nella sua descrizione: "ho lanciato fottissimo e ho colpito il cavallo che si è messo a correre”. L’unico centro è stato la mia spalla esposta ai proiettili vaganti mentre cercavo di proteggerlo. Luca durante la battaglia, dormiva. Fortunatamente, perché vista la sua passione incontenibile per arance e mandarini temevamo il peggio: che è arrivato sì ma era quasi ora di ripartire!
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Una camminata lungo le sponde della Dora Baltea in un primo pomeriggio quasi primaverile. Alla nostra destra il fiume che scorre lento trasportando a valle le prime arance cadute in battaglia. A sinistra una fiumana di cappelli rossi che con la stessa lentezza del fiume si trascina su un altro campo di battaglia, forse il più grande, quasi fuori dal centro storico.

lunedì 23 febbraio 2009

Andavo a 100 all'ora per trovar la polizia!

Zio Giò ha deciso di vendere la sua moto verde.
In realtà, nessuno crede che lo zio si priverà a lungo del suo più profondo e intimo amore: forse la venderà ma siamo certi che prima dell’estate ritornerà sui suoi passi.
La moto è parte di zio, del suo vissuto e si potrebbe scrivere un libro su di loro.
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Era inverno e mio fratello, da poco zio, sfrecciava felice a 120 km orari su una impervia e innevata statale alpina. Con lui la fidanzata, in equilibrio sulle due ruote.
Un click, una foto in bianco e nero per la sua collezione privata: panorama innevato sullo sfondo, la moto ritratta da dietro e due figure ricurve e abbracciate di spalle. In bella mostra la targa.
Zio Giò pagò regolarmente la multa ma pensò di notificare quale autista del suo bolide 636, nonna Grazia. In effetti tutti sanno che nonna ha un passato da centauro delle due ruote: ha la patente da quarant'anni, ha guidato l'auto una sola volta in vita sua giusto il tempo di andare dalla scuola guida a casa con l'auto del fratello: lei a casa ci è arrivata, l'auto no.
Ma per non far perdere quei due o tre punti di patente al figlio, la nonna era disposta a sacrificarsi e a giurare il falso anche al telefono: come centauro ha qualche speranza, come attrice nessuna.
Io avevo ricevuto l’incarico di spedire la documentazione, arrivata in posta avevo notato che mancava una firma e per non tornare… insomma la penna l’avevo.
Tutti convocati in caserma per accertamenti: zio, nonna e io.
Il mio ruolo in realtà era di solo supporto psicologico, sostegno morale: avevo studiato, potevo essere d'aiuto. Si perchè per mia mamma la laurea serve a tutto, quando serve. Hai studiato: improvvisati avvocato. Hai studiato: la medicina è il tuo pane. E che è? Ho fatto Economia Aziendale, giusto il supporto morale vi posso offrire.
E poi nessuno sapeva che la firma era mia, almeno non lo sapevano ancora.
Dicevo: zio, nonna, io e Marco che aveva quattro mesi, ciucciava solo il mio latte, non poteva stare altrove.
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Entriamo in questo piccolo commissariato di montagna, ci presentiamo, ci guardano, ci additano e ridacchiano. Un poliziotto si allontana e dopo alcuni secondi escono altri due colleghi che ci guardano e ridono anch'essi.
Invece della nonnetta centauro che sfreccia con la sua 636 sulle cime alpine portando a passeggio il figlio più che ventenne si trovano davanti mia madre: altezza 1,58 cm. per 90 kg di peso.
La prima cosa che mi viene in mente ora è "assomiglio al papà", la seconda "non aggiungo altro".
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In sintesi:
_interrogatori separati per zio e nonna (esonerata in seguito);
_nonna agitata e fuori di sè durante l'interrogatorio del figlio: "è più di un ora che è dentro! Lo stanno picchiando, tu non sai come vanno le cose, si sente tutti i giorni: ti prendono per una stupidaggine e ti rovinano. Chiama l'avvocato, no chiama la polizia prima!";
_Marco ha fame: "C'è un posto dove posso allattare un bambino in questo commissariato?"
_zio: aveva raccontato tutto, cercato di salvare la faccia della sorella falsaria madre di una creatura innocente, tutelato la nonna appellandosi alla sanità mentale, perso i due punti della patente e affidato il tutto ad un suo amico avvocato.
_poliziotti: "chiama noi la prossima volta e se non vuoi perdere due punti sulla patente basta che paghi il doppio della multa. "

Lo zio aveva cercato di fare il furbo ma chi fa le leggi è molto più “furbo” di lui! Questa è la giustizia in Italia.
Insomma zio Giò, se vendi la moto cosa scrivo nei prossimi articoli?

sabato 21 febbraio 2009

Cambiamenti

Quando ero più giovane avevo soprattutto amici uomini. Forse perché ero simpatica, belloccia, diciamolo "figa", che sono attributi che ad un'altra donna possono anche dare fastidio. Sì perché se tu cammini per strada con una amica così, prima guardano lei e poi te e tu ci rimani male e allora pensi che sia meglio lasciarla perdere o ti rovina la piazza. Anche per questo motivo, i miei amici erano uomini.
Poi sono diventata mamma e ho iniziato ad essere apprezzata dalle donne, perché il fatto che tu sia simpatica, intelligente e magari ancora figa non interessa più a nessuno, tu sei prima di tutto mamma.
"Ci avete creduto è?! Buon carnevale!"
Ora se sei mamma le tue amiche per la maggior parte sono mamme e con loro non parli di politica, di cultura, dell’ultimo libro che hai letto, parli di bambini e discriminazioni sul lavoro e lo fai per telefono perchè il tempo per incontrarsi scarseggia.
Se poi l'amica è quasi mamma e quindi in attesa e magari nel primo trimestre della gravidanza, quello in cui ancora non senti di avere un bambino nella pancia ma passi molta parte delle tue giornate ricurva sul water o in cucina in preda a voglie improvvise, devi cercare di ascoltarla, capirla, suggerirle rimedi: è lei la protagonista ora.
“Rena, ma tu non avevi di questi problemi quando eri in attesa?”
“Ma guarda io non ricordo di essere mai stata abbracciata al water come mi stai dicendo.”
“Bella amica, grande consolazione, ma non mi parlavi di piselli anni fa?”
“Sì le voglie e anche le nausee, ma non il water fisso. Mentre aspettavo Marco..."
"Un attimo Rena..."
"Dicevo mentre aspettavo Marco mangiavo intere confezioni di piselli in scatola a tutte le ore, sai quei barattoli da 450 grammi l’uno? Aprivo, scolavo, lavavo e giù nello stomaco. Delle scorpacciate che mettevano la nausea anche a mio marito. Ricordo che una volta, erano le undici di sera e avevo finito i piselli. Fortunatamente c’era una confezione di borlotti.”
“Devo andare in bagno, attendi un attimoooooo…”
“E poi la pizza il mio vero test di gravidanza. Io adoro la pizza, spesso la mangio anche per colazione perché alla salute ci tengo, ecco nei primi mesi d’attesa mi nauseava persino l’odore della pizza. Disgusto totale. E con Luca ancora peggio avevo sempre voglia di minestra di lenticchie, mestoli e mestoli di brodaglia ingurgitata avidamente e fatta ingurgitare al malcapitato consorte. ”
“Eccomi, dicevi?”
“No parlavo di pizza, lenticchie, non importa. Dimmi di te piuttosto.”
“Io non riesco a mangiare proprio nulla e invece di ingrassare dimagrisco!”
“Bhe no quello no, per me quello è un problema che viene dopo. Io prima ingrasso, poi partorisco e mi ritrovo a pesare meno di prima. Costituzione. Mia mamma ha accumulato circa dieci chili per ogni gravidanza e io ne perdo uno ad ogni gravidanza. Costituzione.”
“E ti lamenti?”
“Mica mi sto lamentando: non una smagliatura, non un rotolino cellulitico, secca secca e senza fatica.”
“Sarà contento tuo marito?”
“Contentissimo, se non fosse per il culo piatto e le tette mosce e le rughe da xxxenne.”
“A quello si può sempre rimediare…”
“Sì infatti per il culo piatto mi hanno suggerito ginnastica e massaggi che poi al centro c’è un massaggiatore carino, anche se un po’ mi vergogno di farmi vedere con il culo piatto da uno così; per le tette mosce ci sono rimedi alla Brico"
"Da Brico?"
"Si insomma rimedi quasi fai da te: un punturina a destra e una a sinistra e recuperi una taglia, facciamo due punturine a destra e due a sinistra e sono a posto. Per le rughe ho chiesto ad un mio amico chimico."

"Ma una crema?"
"Mamma hai detto “culo”!”"
“Marco stavo parlando con la mia amica, mi è scappato, hai ragione.”
“Luca culo, Luca culo…”
“Senti scusa ci sentiamo più tardi, ho un problema con il lavoro per il massaggiatore carino in questo momento.”

Si cresce, si cambia, ma accidenti quanto è difficile usare un linguaggio politically correct in presenza dei bambini!

venerdì 20 febbraio 2009

Uguale a me...NO

Ero proprio un amore di bambina, educata e ubbidiente, sempre pronta ad aiutare gli altri, brava a scuola, un po’ timida con gli estranei. A quattro anni e poco più la mamma mi lasciava a casa con la sorellina appena nata e mi occupavo di lei: stavo seduta sul divano con la piccola in braccio e aspettavo che la mamma tornasse dal supermercato. Ero giudiziosa e responsabile. Non ho mai ricevuto uno schiaffo perché non ne avevo bisogno. A sette anni andavo a fare la spesa da sola in bicicletta…
Se mi chiedete se vorrei che i miei figli mi assomigliassero, vi rispondo senza esitazioni "No".

Vi sintetizzo una favola che potete trovare ne “Il bambino nascosto” di Alba Marcoli. Quella che vi propongo si intitola “Il cucciolo che non sapeva dire di no!”
“Gregorio è un cucciolo che vive nel Bosco, è il più bravo a scuola, obbedisce sempre, non ha mai bisogno di rimproveri, va d’accordo con tutti, però si sente solo. La mamma è orgogliosa di lui, vorrebbe che anche gli altri figli fossero così bravi, sorridenti, ubbidienti e non pensa minimamente che Gregorio possa soffrire per qualcosa. L'unico sintomo di un disagio emerge quando i genitori parlano con il saggio Fiume che si è accorto della tristezza di Gregorio: il cucciolo fa ancora la pipì a letto, ma spesso quando bagna la paglia si alza presto per cambiarla in modo che nessuno se ne accorga. Gregorio è ancora talmente insicuro che ha sempre bisogno dei genitori e la paura di perdere il loro aiuto lo porta ad agire così. Solo un viaggio solitario verso il mare lo aiuta a diventare forte, a crescere... Al ritorno dal viaggio, il cucciolo che diceva sempre di sì per paura di essere abbandonato è diventato grande, forte e saggio, ha imparato a dire di no, senza paura di restare solo al mondo.”

Se un bambino è buono, sempre buono, forse è il caso di interrogarsi sul perchè si comporta così, perchè non si può mai permettere dei normali capricci. Forse è il caso di mettere il bambino nella condizione di opporsi, di essere aggressivo. Deve capire che lui è amato sempre e comunque e che solo quelle manifestazioni sono errate, non lui.
Abbandonando la Marcoli aggiungo che un bambino ha il diritto di vivere la sua infanzia, di essere bambino prima che adulto. Ci sono situazioni in cui i bambini diventano uomini troppo presto e non parlo solo dei bambini soldato, della prostituzione infantile "quasi legalizzata" di alcuni Stati, non c'è bisogno di guardare le situazioni estreme; di bambini adulti ce ne sono anche da noi , nella nostra evoluta società.

Vi consiglio il libro che fa parte dei Saggi Mondadori e costava 7,50 euro qualche anno fa. Non si trova in tutte le librerie.
Nel libro la Marcoli racconta alcune “favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli”. Sono favole scritte in modo semplice, quasi infantile, ma destinate agli adulti.

giovedì 19 febbraio 2009

Dietro un pugno

"Questa tappa strutturante, chiamata della gelosia, è inevitabile, è segno dell'intelligenza del bambino di fronte a un'esperienza nuova. Secondo i bambini essa è più o meno spettacolare. Si può affermare che più viene vissuta con intensità, più successivamente si assiste allo sbocciare di una personalità potente e capace di adattabilità." da "Il gioco del desiderio" di F. Dolto

Marco ha vissuto l'attesa del fratellino con entusiasmo: c’era il pancione e dentro qualcuno chiamato fratello ma non aveva ancora due anni e non poteva capire.
Poi è arrivato Luca e la gelosia di Marco è esplosa.
Ho iniziato a leggere alcuni saggi di psicologia e tutti ripetevano che era una reazione normale e positiva, tanto più positiva quanto più manifesta. Avevo parlato anche con un medico del consultorio pediatrico: "non lo lasci mai da solo con il fratellino, abbiamo visto casi di bambini accoltellati, buttati nella spazzatura di casa!"
Ok i consigli degli esperti ma ero davvero arrivata a pensare di avere sbagliato a cercare un secondo figlio così presto.
Il momento peggiore era l’allattamento. Ogni volta che Luca ciucciava il latte Marco si avvicinava, diventava paonazzo, pretendeva attenzioni urlando e piangendo. E così quel momento che doveva essere intimo e nostro diventava un atto dovuto, necessario: Luca ciucciava in autonomia mentre io coccolavo Marco.
Altro momento tragico era il ritorno dal nido. Andavo a prendere Marco subito dopo il pranzo e portavo con me Luca. Marco non guardava il fratellino, che ci fosse o meno a lui interessava solo un mio braccio che lo reggesse fino alla porta di casa. Una volta sono andata a prenderlo in taxi e avevo lasciato Luca con l'autista, massima fiducia ad uno sconosciuto, Marco mi ha abbracciata all’uscita dall’asilo con un trasporto e un entusiasmo insolito.
La gelosia era sempre rivolta a me e spesso scoppiava improvvisamente senza un apparente motivo: cercavo di non dare eccessiva importanza al problema, di non rimproverarlo troppo, di ritagliare spazi solo per lui quando il fratello dormiva. Una sera mentre avevo Luca in braccio, Marco si è avvicinato con aria allegra e ha sferrato due pugni sul naso del fratello che ha iniziato a piangere e sanguinare. Ok non rimproverarlo ma tutto ha un limite!
Poi Luca è cresciuto quel tanto che basta per riuscire a difendersi e per capire che quando il fratello esagera, basta rifugiarsi da mamma. Ma anche Marco è cresciuto.
La gelosia ha manifestazioni diverse o forse mi sono abituata io: ci sono ancora spinte e accanite difese di giochi e spazi, ma molto spesso si limita alle parole: "Mamma voglio coccole! Mamma quella è la mia gamba, Luca si deve sedere sull’altra!"
C'è anche molta collaborazione e sono contenta quando li vedo giocare insieme. E’ soprattutto Luca a cercare il fratello, a imitarlo. Non serba rancore e nemmeno memoria del pugno al naso e di qualche scappellotto.

Anche oggi vi ho raccontato un po’ di fatti miei.

mercoledì 18 febbraio 2009

Un padre

Franco ha quasi 70 anni ed è orgoglioso di non dimostrarli: ha ancora molta energia, voglia di vivere, entusiasmo. Ha moglie e figli, ma la sua vera grande passione è il lavoro. Aprì la sua "bottega" a diciannove anni e da quel giorno la sua vita ha avuto un senso, un senso unico.
Non aveva tempo per niente altro: recite scolastiche, gare di atletica, riunioni con i genitori, feste di paese e anche tesi di laurea, se non costretto.
Poi sono arrivati i nipoti: cerca di giocare ma non è capace. Allora li porta a fare passeggiate in giardino, gli mostra il suo regno, la sua campagna ed è felice.

Non è un padre da premio nobel ma ci ha provato ed è migliore di molti altri.
I figli avrebbero voluto che avesse più fiducia in loro, che li sostenesse invece di opporsi sempre ma Franco è fatto così. Però i suoi "no" erano sempre confutabili e una volta tradotti in “sì”, il suo appoggio non mancava.
Certo la sua non accettazione di fondo non aiutava a crescere sereni. Nessuno era mai all’altezza delle sue aspettative: quali aspettative?
Se donna, per natura eri destinata alla casa: di certo la bottega era out.
Se uomo, avevi già il lavoro ma non era facile reggere il confronto con la sua abilità.
Raggiunta l'indipendenza economica, una figlia se n'è andata di casa, voleva essere libera. Libera di non sentirsi in colpa per tutto quello che faceva, libera dal peso di un modello di perfezione che non era e non voleva incarnare.
Ho incontrato la figlia recentemente. Fino a qualche anno fa provava molta rabbia nei confronti del padre, poi il tempo passa e tutto si ridimensiona. "Non è colpa sua, è cresciuto così" dice. Oggi nei suoi confronti prova comprensione e amore.

martedì 17 febbraio 2009

Cercasi Parete Designer

Più volte ho parlato del mio ufficio loculo.
In realtà il termine loculo è legato allo stato d'animo di chi lo abita per sei ore al giorno, anche se non tutti i giorni sono tristi, la stanza in sè è accogliente e luminosa.
E' lo studio che mi manca a casa e non dovendolo dividere con altri, lo posso arredare come voglio. Basta rispettare la dotazione standard: le due scrivanie tinta noce a sfondo blu e l'armadio.
In uno studio che si rispetti e che rispecchi i miei gusti non potevano mancare delle belle piante: ne ho portate alcune ma c'è ancora spazio per il verde.
Fino a pochi giorni fa, da brava mamma che lavora, avevo anche una discreta collezione di foto sulla scrivania poi ho pensato di riciclare una cornice di un metro per settanta che giaceva dimenticata dietro un armadio. Carta, colla, nastrini, foto ed ecco un bel quadro appeso sulla parete di fronte a me con tutti gli scatti più belli fatti ai miei figli, in una anche il marito. Accontentato.
Dovrei portare anche un cestino per cioccolatini e caramelle. Su quest'ultimo punto sono un po' indecisa. Avevo provato tempo fa, ma alla fine le caramelle venivano mangiate con una certa avidità dall'unico ospite fisso con conseguente mal di pancia e cestino vuoto in bella mostra. Potrei riprovare con cioccolatini al caffè.
Poi c'è la parete Est, completamente di vetro. Il lerciume accumulato su quelle finestre le ha rese talmente opache che se guardo distrattamente fuori mi sembra sempre ci sia nebbia, per ora non intendo porre rimedio con vetril e strofinaccio alla mano.
Fin qui tutto accettabile. Ma alle mie spalle è ancora tutto completamente bianco e spoglio. Un po' triste, sembra il muro del pianto, con tutto il rispetto per il muro di Gerusalemme.
Ho diverse idee ma non sono convinta. Che ci metto?

lunedì 16 febbraio 2009

Fifino e Fifone

Ci sono domande a cui è difficile dare una risposta semplice ed esaustiva per un bambino di tre anni. Risposte che si complicano quando necessitano una mediazione tra due credo profondamente diversi: il mio e quello di mio marito.
"Mamma perchè Fifino e Fifone (i gatti della nonna) non ci sono più?"
"Marco lo sai sono andati in cielo."
"Ma perchè non cadono?"
"Sono in alto in alto su una strada che non vediamo da qui."
" Ma non scendono mai? "
"No Marco non possono scendere."
"Ma sono con Gesù?"
Ecco se gli dico di sì, Antonio ribatte e dice di no e così creiamo solo confusione su un tema di per sè difficile.
"Marco sono in cielo con tutti gli altri amici gatti e sono felici."
"Ma sono con Gesù? Perchè non li fa scendere mai?"
"Sì Marco sono con Gesù e non possono più scendere. C'è una scala magica che scompare mentre si sale." con occhiataccia minacciosa ad Antonio che tradotta era "non contraddirmi" ora, non sta prendendo i voti!
"Ma io li voglio vedere! Allora salgo a prenderli e li porto qua."
"Marco non puoi, però possiamo dire alla nonna di prendere un altro gattino o un cagnolino."
"Voglio un gattino. Ma poi va in cielo anche lui?" mi chiede con le lacrime agli occhi.
"Stai tranquillo non va in cielo."
"Si invece" e scoppia a piangere.
"Dai Marco vieni che ti coccolo un po'. Non piangere."
"Allora gli facciamo promettere che non muore mai, va bene mamma?"
"Ok amore glielo facciamo promettere.".

Marco era molto affezionato ai gatti della nonna, un affetto che dimostrava a dire il vero in modo alquanto discutibile, li rincorreva e li prendeva a calci e non c'era modo di rieducarlo. I due gatti sono stati chiamati Fifone e Fifino non a caso: scappavano sempre quando lo vedevano. Ormai i gatti mancano da più di sei mesi ma sempre quando andiamo dalla nonna chiede di loro e ieri le domande sembravano non finire mai. Fino a poco tempo fa Marco si limitava al "sono in cielo?", ora la risposta non razionale non lo convince molto e così le domande si moltiplicano e con esse i pianti disperati che la sera, quando è già stanco, sono intervallati da singhiozzi strappalacrime (le mie).
Non è granchè come spiegazione ma non so fare di meglio e pare sia stata accettata, subita, anche dal marito.

sabato 14 febbraio 2009

Gabry

Ci accomuna l’età, l’amore per la Puglia, la città in cui abitiamo e la linea di tram sotto casa, i veglioni dell’ultimo dell’anno e le feste di carnevale, i the delle cinque durante le maternità, le cenette a quattro mani, qualche amica, la lettura del blog, la delega alla scuola d’infanzia, i mal di schiena e un marito a cui piace mangiar bene.
Suo marito ha trovato una cuoca raffinata, il mio ha trovato me e diciamo che non muore di fame. Grazie a lei, alla sua pazienza e alle sue ricette ho imparato a fare i dolci, a farli con passione e ricevo anche prenotazioni per compleanni e feste.

Ieri la scuola d’infanzia era chiusa. Il secondo venerdì consecutivo.
“Non ti preoccupare porta Marco da me, non ho impegni.” mi dice.
A me non piace chiedere aiuto, son fatta così. Non riesco a delegare la gestione dei miei figli ad altri perché un bambino richiede attenzioni e stanca. Lei però è molto legata ai piccoli ed è sempre sincera, non parla tanto per dire qualcosa o per essere gentile e mi son detta proviamo.
“Grazie mi sei di grande aiuto.” rispondo.

Gabry sei una Amica, sempre.

venerdì 13 febbraio 2009

Figli degli anni '70

Ieri mattina mi è arrivata una mail, catena di sant’Antonio, firmata "Go Team".
Una serie di simpatiche considerazioni sui bambini nati negli anni settanta e una domanda iniziale “Come hai fatto a sopravvivere, a crescere, a diventare grande?”
Riporto alcuni punti dell’elenco:

  • Bevevamo l'acqua dal tubo del giardino, invece che dalla bottiglia dell'acqua minerale.
  • La scuola durava fino alla mezza, poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia (si, anche con il papà).
  • Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, perdevamo un dente, e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.
  • Mangiavamo biscotti, pane olio e sale, pane e burro, bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di sovrappeso, perché stavamo sempre in giro a giocare.
  • Condividevamo una bibita in quattro, bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.
  • Non avevamo Playstation, Nintendo 64, X box, Videogiochi, televisione via cavo con 999 canali, videoregistratori, dolby surround, cellulari personali, computer, chatroom su Internet . Avevamo invece tanti AMICI.
  • Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis, si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati non andavano dallo psicologo per il trauma.
  • Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità...e imparavamo a gestirli.

L'altro ieri ho firmato per Marco un modulo di autorizzazione ad uscire per brevi gite nel quartiere accompagnato dalle insegnanti della scuola d'infanzia. Ho pensato per tutto il pomeriggio e ho firmato solo dopo aver riempito la testa di Marco di raccomandazioni: "Quando esci dalla scuola con i compagni ascolta sempre quello che dice la maestra, non fare lo stupidino per strada, non giocare con gli amici perchè passano le macchine ed è pericoloso. Hai capito bene!". Avevo paura: uscire in gruppo a tre anni?!
Marco è rimasto talmente impressionato dalla mia preoccupazione che quasi quasi non voleva più partecipare alla gita e mi ha chiesto: "Mamma vero che vieni anche tu?!"

Devo ricordarmi più spesso di essere una figlia degli anni '70 se voglio davvero aiutare i miei figli a crescere.

giovedì 12 febbraio 2009

Amare due figli

"Il secondo figlio sì o no?".
Lei è legatissima alla bimba e non sente l'esigenza di un altro figlio ma non vorrebbe lasciare la piccola senza fratelli o sorelle. Questa mancanza di desiderio la fa temere di non essere in grado di amare un altro come ama la sua principessa. E c'è il marito totalmente assorbito dalla figlia che ha le stesse paure.

La scelta del secondo figlio è personale. Ma amare due figli in egual misura è naturale, normale, non servono sforzi.
Ho ripreso la mia pen drive, proprio quella ritrovata per caso in un cassetto su cui ci sono ricordi, sentimenti, emozioni vissute durante le gravidanze e momenti con i miei figli.
Questo è un estratto di quanto scritto il 25 giugno 2007.

"Sta per concludersi il quinto mese e il fratellino è in arrivo! Siamo contenti e più sereni ora che abbiamo imparato a gestirci meglio. Ma quanto è diversa questa gravidanza: sono stanca, forse perché Marco assorbe tutte le mie attenzioni ed energie. Sto anche pensando poco al piccolo che c’è dentro di me. Con la gravidanza di Marco tutto era nuovo e meraviglioso, ora tutto è più normale e la straordinarietà è sempre e comunque la presenza di Marco che ci regala ogni giorno emozioni nuove. Eppure questo fratellino lo abbiamo tanto desiderato e siamo contenti che stia per arrivare, speriamo solo di essere in grado di dedicargli tutte le attenzioni di cui avrà bisogno."

Noi Luca l'abbiamo cercato e tanto sperato che arrivasse. Nemmeno ricordavo di aver temuto di non essere in grado di dedicargli le stesse attenzioni o di provare lo stesso affetto. Oggi mi sembra un dubbio così sciocco, ma ho voluto riportare le sensazioni di allora proprio per rassicurare i miei amici. " Oggi non potrei mai scegliere tra Marco e Luca."

mercoledì 11 febbraio 2009

Un po' lepre e un po' tartaruga parlante

Come sapete abito in un condominio due piani sotto al tetto. Quei due piani sono da tempo uno tra i giochi preferiti di Marco e Luca. In genere aspettano che qualcuno suoni alla porta per sgattaiolare sul pianerottolo e salire le scale.
Il rito è abbastanza costante: Marco sale incitando Luca a fare lo stesso. Luca gatton gattoni lo segue. Logica vuole che Marco arrivi per primo al sesto piano ma non sempre è così. Questa sera è stato battuto.
"Dai Luca andiamo fino da P.! Arrivo primo io!" poi si gira verso di me: "Vero che possiamo andare da P., io sono più veloce, io sono Doryss, no io sono Marlin!"
Dory e Marlin sono due protagonisti del film "Alla ricerca di Nemo". Non so interpretare l'importanza di essere un pesce in quel momento.
Nel frattempo Luca sale le scale, di tanto in tanto si gira per verificare se la sua è una salita solitaria e ride.
Pianerottolo del quinto piano: ex aequo.
Si procede verso il sesto, la meta. Luca continua a ridere rumorosamente mentre sale. Marco si gira di nuovo: "Mamma ma ci sono i cani di P.? Perchè io non ho paura, lo sai che non ho paura? Bau, bau, bau." I cani non rispondono: "Vedi mamma che non ci sono, dai Luca arrivo prima io".
Luca è già sul pianerottolo che guarda Marco e fa "Ba, ba".
.
Conoscete la fiaba della lepre e della tartaruga?
E' una fiaba di Esopo che narra di una lepre vanitosa che sfidava chiunque nella corsa convinta di essere imbattibile. La sfida fu accettata da una tartaruga. La lepre dopo aver deriso la sfidante, partì come un fulmine. Quando era già molto lontana si sdraiò a fare un sonnellino per mostrare tutto il suo disprezzo verso la tartaruga. Sì svegliò e vide la tartaruga vicina al traguardo, così vicina che per la lepre non ci fu vittoria.

La scenetta di ieri sera mi ha ricordato quella favoletta: un po' lepre è stato Marco, un po' tartaruga Luca; l'uno parlava, l'altro agiva.
Ma Luca, amore mio, la vera sorpresa non è stata la vittoria!
Hai detto "Ba, ba"! L'avrai detto per sbeffeggiare il tuo ciarliero fratellone, per fare il verso ai cagnolini di P., perchè eri felice e "Knu, Knu" è un suono troppo duro per esprimere gioia, ma l'hai detto e soprattutto l'hai detto al momento giusto. Vuoi vedere che Luca abituato alle tante parole in libertà di mamma e fratello ha già capito che in tutto ci vuole un po' di misura?
Comunque, se non si fosse capito, attendo con ansia le prime parole del mio cucciolo.

martedì 10 febbraio 2009

Template mancato

Sono stanca. Perchè a volte capita di volere andare a letto, chiudere gli occhi e dormire. Ma non ho scritto l'articoletto? Non è proprio così: l'ho scritto ma non posso pubblicarlo.
Volevo cambiare il template del blog e ho iniziato a cercare tra i tanti siti che propongono template gratuiti per blogger. Cerca e studia ho scoperto che il mio blog, aperto lo scorso anno, appartiene ai "blogger beta" e per questi ultimi rispetto ai "blogger classic" ci sono pochi modelli a disposizione. "Ma ecco quello giusto!"
Ho fatto i test su un blog di prova, tutto era pronto per il rilascio in produzione. Non ero convinta e ho chiesto un parere a mio marito. Bocciato, perchè non adatto a me?! Ho rivolto la domanda ai bimbi: Marco non ha apprezzato e Luca ha detto "Knu". Due no certi e il solito suono onomatopeico che potevo tradurre a piacimento ma che onestamente era più un no che un sì. E allora nulla di fatto. Vi dovete accontentare di questo template ancora per un po', però vi mando il link di quello sottoposto al giudizio degli uomini di casa.
Buona notte a tutti!

lunedì 9 febbraio 2009

Quei de Canterana

Ieri sulla Provincia di Como c'era un articolo dedicato alla "popolare e stimata casata dei R. del quartiere Canterana".
Due fratelli verso la fine dell'800 lasciarono Valmadrera, si spostarono a Penzano per poi approdare qualche anno più tardi nel paese in cui sono nata, lì acquistarono una casa a corte, misero su famiglia ed ebbero tanti figli. Uno dei due fratelli era il mio bisnonno Felice. L'articolo ricostruisce una parte dell'albero genealogico e arriva fino a mio padre e ai suoi sei tra fratelli e sorelle. L'elemento guida della storia è il contributo di questa casata alle schiere ecclesiastiche. In tre generazioni ben nove suore di cui sei missionarie in Africa.
Ovviamente ho ritagliato l'articolo per conservarlo ma l'articolo è uscito sulla Provincia non sul Messaggero o su qualche altro bollettino parrocchiale: si potrebbe aprire un bel dibattito, mi limito a sottolineare come Don Camillo e Peppone non siano solo bei film di qualche anno fa. Spesso poi, se ci si limitasse alle storie rappresentate dai due attori il tutto sarebbe quanto meno digeribile se non accettabile .
Torniamo all'articolo. Rispetto sinceramente i miei avi e ammiro quella Fede incondizionata che ha fatto scegliere a tante donne della mia casata di seguire l'insegnamento di Cristo, vivendo povere tra i poveri. Io stessa non nego che la Fede in Dio è un elemento importante nella mia vita, anche perchè con una famiglia così potete facilmente immaginare quale sia stato il mio imprinting. Ma Fede e chiesa seguono strade talmente diverse da far dimenticare che hanno un minimo comune denominatore. Su troppi temi vedo una chiesa che non ha rispetto per gli uomini e con il pretesto di sapere cosa è bene e cosa è male si erge a giudice spesso senza sforzarsi di capire e dimenticando il vero insegnamento del suo fondatore: l'amore e il rispetto per tutti gli uomini. Dal boicottagglio del referendum per l'abolizione della legge 40/07; alla accettazione di una sola famiglia formata da un uomo e una donna uniti dal sacro vincolo del matrimonio con evidente discriminazione verso gli omosessuali, i conviventi, i separati; per non parlare di aborto ed eutanasia. Mi fermo ai temi più pubblicizzati sorvolando sulle esternazioni antisemite di molti prelati. Ecco questa è la chiesa che rifiuto ma questa è anche la chiesa che parla dal Vaticano e che incontro sempre più spesso quando partecipo a qualche funzione.
Sarà per questo che l'articolo della Provincia si ferma alla generazione di mio padre?

sabato 7 febbraio 2009

Sfruttamento minorile

"Ciao papà io vado al lavoro!" dice Marco orgoglioso mentre saluta il suo papà sulla porta di casa alle sette e quindici di ieri mattina.

La scuola d'infanzia era chiusa, apertura alle 13:30. Non avevo visto il cartello e l'averlo saputo qualche ora prima della presunta apertura non mi è stato di grande aiuto. Così Marco è venuto in ufficio con me.

Dal 23 dicembre vivo nel mio ufficio loculo in solitaria attesa, mai una mail o uno squillo di telefono e stamane la legge di murphy non ci ha traditi: telefonata di Z., la collega delle alte sfere romane. Marco è stato relativamente tranquillo tutta la mattina, ha disegnato sulla scrivania accanto a me, ha ascoltato le sua fiabe preferite con le cuffie alle orecchie (fiabe per le quali devo ringraziare la mia amica D. per la bellissima idea), ha giocato un po' con le sedie girevoli, per poi scatenarsi durante i dieci minuti della telefonata romana. Non aggiungo altro.

Ovviamente si è annoiato non poco e verso l'una ha inziato a supplicare di andare a casa: "Io sono stanco di stare al lavoro!" Tempo dieci minuti, dormiva con la testa appoggiata alla scrivania.

Caro Marco hai ragione! Il lavoro spesso è noioso e lo dicono in tanti, il venerdì ad un'ora dalla uscita lo dicono quasi tutti. Spero che ieri tu abbia capito che la scuola d'infanzia è molto meglio: giochi con gli amici, non ti annoi e ti diverti più di mamma. Ma sai il lavoro non è solo questo e un giorno, tra tanti tanti anni, mi auguro che ti possa realizzare professionalmente e allora ti accorgerai che anche il lavoro può essere divertente se fatto con motivazione, interesse ed entusiasmo. Per mamma è stato così per anni e lo sarà ancora prima o poi. Ma c'è tempo. Per ora continua a giocare.

venerdì 6 febbraio 2009

Riposi in pace

Fuori dalla metro trovi sempre ragazzi che distribuiscono volantini. Si tratta in genere di offerte di finanziamento a tasso agevolato o proposte di mutui; ieri il titolo dell'opuscolo era “Caso Eluana. Carità o Violenza?” firma Comunione e Liberazione. Stavo per buttare il foglietto, poi ho pensato che da mesi web, televisione, radio e carta stampata parlano di questo caso e ognuno dice la sua. Per dire la mia avevo bisogno di conoscere i fatti e i fatti mi mancavano.


"C'era una volta una ragazza di nome Eluana. Un mattino di gennaio del lontano 1992 la ragazza si addormentò a seguito di un incidente stradale. Per un anno i medici cercarono di capire se da quel sonno si sarebbe potuta svegliare e per tutto quel tempo ripeterono “bisogna aspettare”, “la speranza è l'ultima a morire”. Dopo dodici mesi la diagnosi divenne definitiva e sicura: “stato vegetativo permanente e quindi irreversibile”. Dodici mesi sono tanti, il tempo necessario e sufficiente per ritenere legittimo sospendere nutrizione e idratazione artificiale. Sì per la British Medical Association che la American Academy of Neurology il tempo era sufficiente; ma Eluana viveva in un bel Paese di nome Italia dove la maggior parte dei medici non conosceva il significato di “accanimento terapeutico”, l'importante era tenere in vita più a lungo possibile la paziente.
E così Eluana stava lì distesa dentro un corpo che respirava e quel corpo era la tomba su cui i sui cari potevano piangere, non poteva essere definita morta per legge perché l'incidente le aveva lesionato "solo" la corteccia, cioè la parte dove vengono elaborati pensieri, consapevolezza, sentimenti, relazioni, non l’intero encefalo.
Nel 1997 il padre Beppino divenne il tutore di quel corpo, un primo passo ma il tutore poteva far ancora poco. Solo due anni più tardi la Corte di Appello di Milano sentenziò: finalmente Eluana avrebbe potuto esprimere la propria volontà attraverso il padre, perchè Eluana l'aveva detto in tempi non sospetti: "se non posso essere quello che sono adesso, preferisco morire.". Eravamo ad una svolta, un passo importante per la giurisprudenza italiana ma per il buon Beppino? Beffa su beffa. Poteva esprimere la volontà della figlia e sospendere i farmaci per evitare l’accanimento terapeutico, ma non sospendere l’alimentazione (con sondino) perché atto assistenziale e quindi sempre dovuto.
Il buon Beppino però non si diede per vinto, avrebbe potuto risolvere i suoi problemi “all'Italiana”, portando la figlia in Olanda o sganciando una mancia a qualche infermiere esperto ma non voleva una risposta solo per sé e per l'amata figlia, voleva una risposta per tutti nel suo Paese. E continuò così nella sua ricerca di giustizia.
Nel 2000 scrisse al capo dello stato Carlo Azeglio, al presidente del consiglio Giuliano Amato e anche al ministro della sanità, Umberto Veronesi. Umberto cercò di far qualcosa, nominò un gruppo di studio ma qualcuno iniziò a parlare di eutanasia e si confusero le acque. Poi Umberto venne sostituito da Girolamo detto Sirchia che aveva idee diverse, innovative e tutto morì.
Nel 2005 Beppino ci riprovò di nuovo, questa volta con la Corte di Cassazione ma lo attese un'altra delusione: lui, il padre, era un semplice “tutore” emotivamente coinvolto e non un “curatore speciale” e mancavano “specifiche risultanze” sulle reali volontà espresse da Eluana riguardo la vita e la morte. Altra sconfitta altra battaglia. Nel 2007 una diversa sezione della Corte di Cassazione dispose un nuovo processo e sentenziò che il giudice, su istanza del tutore, poteva autorizzare l’interruzione dell’alimentazione artificiale solo in presenza di due circostanze concorrenti: “che fosse provata come irreversibile la condizione di stato vegetativo e che fosse accertato che il convincimento etico di Eluana avrebbe portato a tale decisione se lei fosse stata in grado di scegliere di non continuare il trattamento.” Fortunatamente il curatore ora c'era, un avvocato di nome Franca, e lei aveva fatto bene il suo lavoro, aveva verificato che il padre non aveva agito per egoismo e le testimonianze della amiche della ragazza fecero il resto. Le richieste della Corte di Cassazione erano esaudite e la Corte di Appello di Milano nel luglio del 2008 autorizzò la sospensione dell’alimentazione forzata.
Siamo alla fine della storia? Portate ancora un po' di pazienza.
In Italia esiste la libertà di pensiero e di opinione e tutti ma proprio tutti vollero esercitare questo diritto. Dapprima la Procura Generale di Milano presentò ricorso contro la sentenza, ma il ricorso fu giudicato “inammissibile” per difetto di legittimazione all’impugnazione. Poi il Vaticano giudicò il tutto come un assassinio e diede ordine ai suoi ministri di predicare dai pulpiti la difesa della vita. Poi fu la volta delle Camere: “i giudici si sono arrogati un potere che spetta solo al parlamento” dissero “ricorriamo alla Corte Costituzionale”. Ma come spesso accade le Camere avevano preso un abbaglio e tempo un mese la Consulta dichiarò inammissibile anche questo ricorso. E infine si fece avanti la Regione Lombardia che senza pensare di non avere alcun potere di veto sulla decisione, fece sapere che le sue strutture non avrebbero interrotto le cure. Se i nostri politici avessero studiato la Costituzione un pochino meglio avrebbero evitato quanto meno una brutta figura ma in questo modo hanno permesso anche al presidente della Corte d'Appello di Milano di parlare alla inaugurazione dell'anno giudiziario 2009: “né il potere esecutivo, né il potere legislativo possono far finire nel nulla le sentenze definitive” e “la Costituzione è fondata sulla separazione dei poteri per cui un potere non può interferire in un altro.” Un ripasso veloce per togliere il cappello da somaro a tanti parlamentari.
Tutto è chiaro e risolto. Nella clinica di Udine da stamattina è iniziata la sospensione graduale dell’alimentazione e dell’idratazione. Ma il Governo sta lavorando come mai in vita sua, i Cattolici stanno protestando sotto la clinica, la Procura di Udine studia il caso in queste ore. Tutto finito? Speriamo solo che siano davvero le ultime quarantotto ore e che Eluana possa riposare in pace.”


Ho volutamente e noiosamente cercato di ricostruire il cammino giudiziario di questa storia e spero di non aver offeso nessuno se Eluana e il calvario di suo padre sono stati presentati quasi come una favola. Non era mia intenzione. Io ammiro il signor Englaro e non so cosa avrei fatto al suo posto. La forza di lottare la trovi quando hai davanti un figlio che soffre e chiunque farebbe il possibile e l'impossibile per lui ma la fiducia nella giustizia ha radici che a me mancano. Dopo aver letto i diciassette anni di sofferenza del signore Englaro e della figlia la fiducia mi manca ancora di più. Diciassette anni sono tanti, troppi. Forse avrei preso un volo per l'Olanda e forse solo quando vivi la storia da protagonista puoi permetterti di esprimere un parere.
Vi rimando all'articolo di Saviano.

giovedì 5 febbraio 2009

Fate la nanna

Estivill e De Béjar in "Fate la nanna" sentenziano:"Mai aiutare un bambino ad addormentarsi, mai prendere parte attiva ai suoi tentativi di addormentarsi. Deve imparare da solo..." e ancora "Dai sei-sette mesi in avanti tutti i bambini dovrebbero essere in grado di: andare a letto senza pianti e con gioia; addormentarsi da soli; dormire tra le undici e le dodici ore di seguito; dormire nella propria culla e senza luce."

I metodi del tipo falli piangere per tre sere e vedrai che si abituano nel frattempo tu nascondi la testa sotto il cuscino per non sentire le loro suppliche, li lascio ad altri. Ora tra il rigore del metodo Estivill-De Béiar e il lassismo del dormi quando crolli, quando gli occhi non stanno più aperti e magari hai fatto capricci per ore perchè troppo stanco, è possibile trovare una soluzione di maggiore equilibrio per genitori e figli.
Anche noi ci siamo riusciti: finalmente abbiamo organizzato il nostro rito della nanna. C’è voluta un po’ di pazienza ma senza traumi e costrizioni da quasi venti giorni alle nove e quarantacinque scatta il coprifuoco: Marco e Luca indossano il pigiama e bevono l’ultima tazza di latte. Marco si infila nel suo letto e io mi siedo sullo stesso tenendo in braccio Luca che dopo qualche minuto si addormenta e viene adagiato nel suo lettino. Poi leggo qualche fiaba a Marco e si dorme!

Semplice e indolore ma se osservo il tutto con i miei occhi di mamma e penso al tempo che trascorre troppo velocemente, il rito è un po' diverso.

Luca si addormenta tra le mie braccia mentre stringe e strofina il suo straccetto preferito tra le mani. Mi guarda sorride, poi chiude gli occhi e li riapre, si accoccola su di me appoggiando la testa su un braccio e le sue gambette sulle mie, per lui sono una sorta di culla parlante che lo rassicura con sussurri e parole e io lo osservo e lo stringo forte e lo sento mio. Poi il sonno prende il sopravvento e rimane lì sdraiato su di me con il viso sereno, tranquillo, rilassato mentre lo coccolo e lo accarezzo ancora per un po’, forse lui non se ne accorge, forse il sonno è già profondo ma quella intimità mi riempie il cuore e mi fa star bene.

Marco dice di essere grande: si sdraia nel suo letto, mi ascolta mentre gli leggo il libro delle rime natalizie, sempre le stesse rime che conosce a memoria, poi arriva la solita domanda: "Mamma domani cosa facciamo?" Il sentirsi dire che dovrà andare all'asilo lo agita, cerca di protestare, di barattare poi si tranquillizza a fronte della solita promessa:"Dormi tranquillo, ti sveglio prima di andare al lavoro, ti faccio tante coccole, ti do tanti baci e poi ti vengo a prendere prestissimo e giochiamo insieme!". Due o tre carezze e dorme.

Estivill e De Béiard mi manderebbero al rogo.

mercoledì 4 febbraio 2009

L'abito fa il monaco

Ho aperto l’armadio per cercare qualcosa da indossare velocemente e uscire di casa. Azione banale e quotidiana che penso accomuni tutti gli esseri umani. Mi sono fermata a osservare.

A destra: una serie di completi grigi o neri, tinta unita o gessati. Al centro: camicie rigorosamente bianche e nuove. A sinistra: pantaloni neri, marroni e jeans. In un angolo: qualche gonna di quelle lunghe sotto il ginocchio e una sola corta.
Sono passata al cassetto: maglioni di varie tonalità dal rosa al marrone, dall’azzurro al grigio; dolcevita a collo alto di tinte diverse.

E poi il baule: stivali suggeriti da zia Lu e ballerine nere, marroni, rosse, con i brillantini, solo ballerine.

Che squallore! Che guardaroba da super sfiga! Ma quando mai indosso questi vestiti? Tutti i giorni dell’anno e in anni diversi.

Cominciamo con ordine:

  • I completi taglio maschile sono aggiornati a due anni fa e quindi per la maggior parte sono con pantalone a gamba larga e c’è ancora una zampa d’elefante. Erano adatti alle colazioni di lavoro, alle riunioni con i capi, alla vita seria d’ufficio e si accompagnavano bene alle dolcevita colore pastello. Le camice? NO! E chi aveva il tempo di stirare, ero sempre in ufficio e già c’erano quelle del marito.
  • I pantaloni lunghi per lo più marroni o neri, collezione autunno-inverno 2008, sono adatti al nuovo lavoro, al week end e ad ogni altra occasione mondana. Ben si accompagnano ai maglioni di lana a collo alto o aperti sul davanti se accompagnati da dolcevita in tinta. Le camice? NO! E chi ha il tempo di stirare, alle camice del marito si sono aggiunte quelle dei figli.
  • Le gonne sono un ricordo di altri tempi perché ultimamente ho sempre freddo e le trovo un tantino scomode. Marco mi ha visto una volta con la gonna e mi ha detto:”Mamma sei strana!” Ecco la gonna simbolo di femminilità e seduzione, mi fa sembrare aliena a me stessa e a lui. Ma devo tornare ad usarla, promesso.

  • Gli stivali sono un acquisto azzeccato; le ballerine sono la conseguenza di una scelta di vita. A diciotto anni indossavo scarpe con i tacchi, un po’ controtendenza visto che in quegli anni non andavano molto di moda tra le giovanissime e le indossavo ovunque, amavo i tacchi alti e stretti. Poi ho conosciuto il mio futuro marito e mi sono detta: ”Se aggiungo ai sette centimetri che ci separano per colpa di madre natura anche otto centimetri di tacco, sembriamo proprio l’articolo “il” non preceduto da un punto - a capo -lettera maiuscola." E allora ballerine per ogni occasione.

Mi vesto di corsa, mi guardo allo specchio e mi piaccio. Ma chi se ne frega se ho un guardaroba da super sfiga, sto bene con me stessa che voglio di più?
Bhe una cosa la vorrei, una risposta almeno. Perché continuo ad acquistare camicie bianche?

martedì 3 febbraio 2009

Ieri: oggi è un altro giorno

Ieri mattina neve, ancora neve. Ormai è l’elemento ricorrente di questo inverno, non è una novità non entusiasma più, è solo un disturbo, una rottura di scatole.

Ieri mattina i bambini non volevano tornare all’asilo e hanno iniziato a supplicarmi di stare a casa con loro. Il vivere in simbiosi per giorni ha reso più difficile la separazione, per tutti.

Ieri mattina ho riaperto la porta del mio ufficio, annaffiato le piante, aggiornato il calendario, salutato qualche collega, letto la posta arretrata. Ecco è arrivata una mail che getta un po’ di speranza in questo pozzo senza fondo, in questa inutile presenza la cui parvenza lavorativa è solo una vacua illusione. Poi ho aspettato le due.

Ieri pomeriggio sono andata a prendere i bimbi, ho giocato con loro: “Mamma sei triste?”
Non puoi fingere, i figli ti leggono dentro più di chiunque altro e basta un attimo in cui ti soffermi a riflettere che sono lì pronti a farti domande. “Non sono triste, sono un po' distratta, dai giochiamo!” ho risposto.
“Non sono triste ma ho elemosinato un lavoro soddisfacente visto che sono mesi che mi trascino in ufficio senza stimoli o motivazione e ora qualcuno sta cercando di fare qualcosa, forse ci sta riuscendo e io mi sento confusa. Non è il rimettermi in gioco con un nuovo lavoro che mi spaventa ma il silenzio protratto per mesi mi ha dato modo di riflettere e ho pensato che in fondo mi piacerebbe avere un altro figlio e non vorrei aspettare troppo perché l’orologio biologico prima o poi si ferma. E mi sento in colpa per una decisione che fin’ora non è mai stata programmabile ma un evento fortuito, inspiegabile e non è detto che succederà di nuovo, ma se dovesse succedere proprio ora? Certo sarei tanto felice, anche se mi rifiuto di pensare a come sarà gestire tre pargoli visto che è già problematico con due, ma tradirei la fiducia di una persona amica.” ho pensato tra me.

Ieri sera mi sono detta:"Non mi posso tormentare senza avere in mano elementi certi! Un lavoro migliore non l'ho, ho solo un forse ancora fumoso come risposta; in attesa non sono e forse non lo sarò mai più. Che noia, che barba! Basta ho altro da fare: devo giocare con le costruzioni, disegnare, stirare, pulire il pavimento!"
Non so voi ma quando sono nervosa i lavori manuali mi aiutano a non pensare e a rilassarmi.

Ieri sera la casa brillava ma fuori c'era ancora la neve e, impronte su impronte, è brillata per poco. Almeno oggi ho altro lavoro certo!



lunedì 2 febbraio 2009

Sasso piatto

"Luca vieni, giochiamo in camera dei nonni."
Luca segue Marco orgoglioso per il solo fatto di poter fare da spalla all'egocentrico fratello.
"Dai Luca chiudiamo la porta!".

Quando apro la porta, Marco sta saltando sul letto dei nonni e Luca gioca con un barattolo. Me lo porta: "Eh knu!" L'espressione, evoluzione dell'iniziale "knu" viene abitualmente usata per indicare oggetti o per invitare a fare qualcosa con un oggetto che già possiede. Nel caso specifico il barattolo è simile ad un contenitore del didò e Luca insiste affinchè lo apra.
"Perchè avete rovistato nel cassetto del nonno?"
"Mamma sono stato io" dice Marco e continua "lui non lo sapeva, gli ho spiegato che nel barattolo c'è il sasso del nonno."
"Marco questo barattolo deve rimanere chiuso, non dovete prenderlo."
"Ma mamma me l'ha fatto vedere il nonno. Tu lo sai che è un sasso che aveva nella pancia? E' tutto piatto e grandissimo e poi rotola come una ruota!"

Il nonno ha subito diversi interventi in vita sua, troppi ed è arrivato ad una età in cui le ciccatrici sono una sorta di trofeo da esibire con tanto di dettagli sul periodo in cui sono state fatte, la motivazione, la perizia o meno del medico. Nessuno è esonerato da questi racconti o escluso dalla esibizione dei tanti segni, nemmeno quelli in zone poco opportune. L'ultimo intervento "calcoli alla vescica" gli ha lasciato anche un ricordo tangibile, il sasso piatto.
Dire qualcosa al nonno è inutile e ingiusto ma lasciare giocare due bambini con un siffatto cimelio è un tantino disgustoso.
E così il sasso piatto ben chiuso nel suo barattolo ha cambiato collocazione, se non altro il nonno ha salvato la sua collezione.