mercoledì 4 marzo 2009

Un posto incantato

"Però quel cimitero a me sembra ancora un posto incantato,..., e me lo ricordo sempre uguale da quando ero bambina." "Mi son sempre piaciuti, i cimiteri," Daria Bignardi in "non vi lascerò orfani"

Sono cresciuta vicino ad un cimitero, unico insediamento abitato a duecento metri da casa, visibile in tutta la sua estensione dalla finestra della mia camera da letto. Là nel verde della campagna si intravvedeva appena avvolto dalla nebbiolina che si alzava dai prati nelle mattine invernali e sempre là restava la sera quando il buio nascondeva mura, tombe, cipressi e due enormi pini, lasciando spazio a tante piccole lucine gialle.
Un luogo che ai più suscita sentimenti tristi, dolore e un certo reverenziale timore. Io a quel luogo ero abituata: meta di passeggiate mattutine quando ero piccola, di pellegrinaggio serale durante il mese di maggio quando insieme a mamma e papà recitavamo il rosario con un "requiem aeternam" particolare per la bisnonna Giuseppina la cui tomba si intravvedeva dalla grata che dava sul piazzale antistante il cimitero.
Quel luogo così famigliare divenne meta di escursioni serali durante le vacanze estive, penso frequentassi le scuole medie o il primo anno delle superiori all'epoca. La sera venivano spesso a trovarci i cugini F. e D., a volte si univa anche S. e poi c'era C. che abitava al piano terra, sotto di noi. Verso le dieci, complice il buio, la squadra partiva. Obiettivo: entrare nel cimitero scavalcando la grata posta sul lato che volge a Sud, fare il giro di qualche tomba, scendere nei colombai ed entrare nella stanza del morto. Se fino ai colombai chi per coraggio chi per non restare solo arrivavamo tutti, quella stanza era solo per gli impavidi.
La stanza in realtà era il ripostiglio degli attrezzi del becchino di allora, il "sutéra mort", dentro c'era un tavolo in legno, una pala, qualche scopa di saggina e una in ferro, qualche vaso in metallo e poco più, ma per noi era la stanza del morto. Non ricordo di essere mai entrata, ma ricordo bene lo spavento di F. che abbiamo chiuso per scherzo nella stanza: è uscito pallido, l'unico zombie che abbiamo mai incontrato.
Poi terminato il nostro giretto notturno, stando ben attenti a non farci vedere dalle poche auto che passavano sulla strada, non fosse mai che qualcuno venisse colto da malore urlando ai fantasmi, uscivamo dalla rete posta a Est, alle spalle del cimitero. La rete era piuttosto allentata e sulla sommità c'era del filo spinato. Una sera mio cugino F. prestò poca attenzione e rimase appeso per i pantaloni che non si strapparono subito, ebbe tutto il tempo di urlare a più riprese "Mi fan male i c...., tiratemi giù!" ma per quanto supplicasse noi tutti eravamo impegnati a ridere a crepapelle e l'abbiamo lasciato lì fino a che la stoffa lacerandosi ce l'ha restituito.

Non ricordo spedizioni le estate successive o forse mi rifiuto di pensare che "da grande" mi dilettavo ancora in questo modo.
Però un agosto del 1992, avevo diciotto anni, la mia amica L. era rimasta qualche giorno a casa mia. Il suo ragazzo di allora ci ha raggiunto il sabato sera, con lui un amico. Lei aveva il divieto assoluto di uscire in macchina, di certo non con lui e men che meno con me, neo patentata, ma da casa mia a piedi non potevi andare molto lontano e così mi è venuta un'idea. "Ma veramente io un posto da proporre l'avrei!".
Siamo entrati nel cimitero, abbiamo fatto un giro per le tombe ma non c'era più nulla di paurosamente misterioso in quella passeggiata e così ci siamo seduti sulle scale di accesso alla chiesetta interna, tutto intorno i cipressi e sopra di noi un cielo stellato. E' stata l'ultima incursione notturna, una incursione quasi romantica.

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