giovedì 18 dicembre 2008

Ti presento i miei

Presentare i miei ad Antonio non è stata impresa semplice.
Perchè? Non ho ancora capito il vero motivo, di sicuro era un cocktail di elementi che partivano dalle sue esperienze e approdavano ai miei racconti.

La mia famiglia è una famiglia brianzola come tante e chi abita da quelle parti sa che il termine “terrone” è ancora in uso anche se oggi non viene associato ad una valenza negativa, non sempre almeno.
Il termine ha origini storiche ma è negli anni sessanta, con le prime ondate migratorie dal Sud al Nord Italia, che diventa di uso popolare: identificava gli immigrati in modo dispregiativo ed era volutamente ingiurioso e offensivo.
Se ci pensate non è così strano. Quasi sempre nel passato e oggi, in Italia e fuori, lo straniero è visto con sospetto, diffidenza, ostilità. Perché? Perché è difficile accogliere a braccia aperte chi ci porta via il lavoro quando già il lavoro è scarso o manca, perché probabilmente chi arriva ha tradizioni e usanze diverse e ci vuole tempo per capire e condividere.
Come dicevo, oggi poche persone utilizzano il termine "terrone" con lo stesso significato di un tempo: è rimasto nella mentalità di qualche vecchio e nella ignoranza di alcuni giovani. Non si può negare però che sia ancora diffuso e può succedere di incappare nella parola.

Per farla breve mio padre, al secondo posto dopo il convento e in tempi non sospetti, avrebbe preferito un marito brianzolo per sua figlia.

Arriviamo a casa mia. Mio padre ci viene incontro.
“Ciao Gianfranco!”
“Ciao!”

Tutto bene no? NOOOOOOOOO!
Accidenti con Antonio avevo parlato ma non con mio padre! Non gli avevo detto che al paese di Antonio si usa il “tu” con tutti e il “ciao” è una forma di saluto universale. Al mio paese "ciao" non è un saluto qualunque, è sinonimo di confidenza, di amicizia e se lo usi con qualcuno che ti viene presentato per la prima volta, soprattutto se quel qualcuno è molto più grande di te, vieni considerato un maleducato. Ovviamente il "tu" e il "ciao" vanno di pari passo. Mio padre ha usato il “Lei” con sua suocera fino all’ultimo giorno e gli ho sempre sentito dire "Buongiorno sciura Martina! Sciura Martina la stia setada giò!" ("Buongiorno signora Martina, stia seduta! nel senso di non si stanchi!"), benché vivesse con noi da anni. Sentirsi dire “ciao” nella sua testa coincideva con mancanza di rispetto e io l’ho letto nei suoi occhi. Ma fortunatamente non ha detto nulla e Antonio non si è accorto di nulla.

Mi ero preoccupata di tante cose, volevo che tutto andasse bene e non avevo considerato che al di là delle tradizioni e delle usanze alla fine avevo di fronte due persone che mi amavano e che avrebbero messo me prima di tutti i pregiudizi, le abitudini o qualsiasi altra sfumatura fuori luogo.

4 commenti:

  1. ihihh...il primo complimento di mia suocera, nel lontano '72, fu:
    "la par no 'na terùnscella"
    gio

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  2. Da quando ho conosciuto i miei suoceri ho sempre usato il "Lei", fondamentalmente per una questione di rispetto nei loro confronti. Anni dopo quando chiesi "la mano" di mia moglie ed acconsentirono, mi autorizzarono a rivolgermi a loro usando il "Tu". Ma l'abitutidine e il continuo rispetto nei loro confronti non mi permise di modificare il "soggetto".
    Un capo .... quello timido

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  3. Che forza Renata, leggere alcuni tuoi racconti mi riporta indietro nel tempo...... Stessi episodi, stesse esperienze. Devo dire però che mio padre non credo si sia mai offeso del ciao o del tu ma piuttosto ha sempre vissuto il tutto con aria divertita. Però è anche vero che noi siamo spesso troppo formali. Un po' più di confidenza a volte aiuta nei rapporti. Che dici? Lucia

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  4. Cara Lucia, prima di tutto ben tornata. Io che dico?
    Io concordo con il capo.... quello timido.
    Non ci riesco proprio a dare del "tu" ai miei suoceri, così come fatico ad usarlo con i vicini di casa più anziani con i quali per altro ho un rapporto molto confidenziale.

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