venerdì 12 marzo 2010

Scoprendo Cuba_ 10 Marzo 2010

Il villaggio è un'oasi magnifica: piccoli edifici in muratura sorgono in un
grandissimo giardino dalla vegetazione rigogliosa, ricercati angoli fioriti
sparsi tra palme di ogni specie, piscine, corsi d'acqua, ristoranti e bar a
cui si accede in ogni momento grazie al braccialetto all inclusive. E ancora
la spiaggia e il mare che si estendono davanti al balcone del nostro
bungalow e che raggiungiamo in meno di due minuti a piedi.
Un paradiso terrestre abitato principalmente da ospiti canadesi che se ne
stanno sdraiati a bordo piscina con i loro termos in mano o ai bar a
consumare alcolici dalle prime ore del giorno. I bambini sono pochi e quei
pochi parlano inglese.
Bello ma di cubano quasi nulla, se non fosse per il cocco fresco tagliato
dal macete di mani esperte, o da grilli e pappagalli costruiti con foglie di
palma da alcuni giardinieri che cercano così di arrotondare lo stipendio.
Cerchiamo un taxi che per 40 euro ci segua nella nostra gita a Banes,
cittadina nell'entroterra che dista circa 30 km. Lungo la strada non
incontriamo auto, solo carri trainati da buoi o cavalli, persone in
bicicletta o a piedi e un camion colmo di gente in piedi sotto il sole,
stipata come su un tram milanese nelle ore di punta. La provincia è quasi
esclusivamente agricola, il verde domina incontrastato: piantagioni di
banani, canne da zucchero, patate dolci; piccoli villaggi con poche
abitazioni in legno dal tetto in foglia di banano essiccata e qualche casa
in muratura, poche, pochissime potrei definirle belle, ma in ogni villaggio
non manca mai la bandiera cubana che sventola davanti alla scuola elementare
e il consultorio. Parlando con il nostro tassista, scopriamo che le piante
di banano durano il tempo di un solo raccolto.
E poi Banes.
Carretti trainati da cavalli per il trasporto di un massimo di dieci persone
fungono da taxi collettivo; biciclette con posto passeggero costeggiano la
strada in quello che è il punto di ritrovo di questi altri taxi; poche
moto, un'auto d'epoca.
Tutti i negozi hanno un arredamento minimo, spoglio e trascurato; all'inteno
la merce è stipata in scatole di cartone malconce: dalla merceria alla
farmacia tutto si ripete uguale. Alcuni banchi da lavoro sono posti
direttamente sul marciapide: calzolai, gelatai... Sembra che sia da poco
passato un tifone, un villaggio fantasma a giudicare dalle abitazioni.
Mi sento a disagio nei miei abiti made in Cina e nel mio completo
scarpe/borsa sportivo che da solo costa più dell'abbiglimento esposto
nell'intera merceria, mi sento a disagio nel camminare lungo una strada in
cui la povertà si respira in ogni angolo, mi sento a disagio e mi accorgo
che è un sentimento solo mio.
Dietro una dignitosa povertà di abiti e strutture, scopriamo una città viva
che pullula di persone riverse nelle strade intente a chiacchierare,
discutere, passeggiare. La musica suonata da un gruppetto di musicisti fermi
per strada contagia chi passa, non c'è ombra di tristezza nei volti. Nella
"casa della cultura" alcuni artisti locali stanno facendo le prove di uno
spettacolo musicale, uno dei tanti a giudicare dalla ricca locandina esposta
all'ingresso.
C'è anche un museo e una simpatica cubana si offre come babysitter per
l'intera durata della nostra visita. Marco e Luca si allontanano felici con
la signora, non capiscono nulla di quello che dice ma la sua allegria è
sufficiente e al ritorno ci accolgono con un festoso: "Ciao mamma e papà ,
noi restiamo qui!"

3 commenti:

  1. ohh...finalmente! bel reportage, aspettiamo qualche foto

    RispondiElimina
  2. Con il tuo racconto mi hai fatto ricordare alcuni aneddoti raccontati da colleghi argentini.
    Esperienze diverse, ma un comune denominatore: la simpatia della gente e l'accoglienza a braccia aperte.

    RispondiElimina