Questa mattina sono uscita di casa molto presto complici il ritorno all’ora solare e l’improvviso risveglio di Luca che ancora non ha metabolizzato il cambiamento.
La metro era più vuota del solito e mi sono fermata accanto a due ragazzine poco più che sedicenni.
La scena è abbastanza frequente: a quell’ora ci sono sempre molti studenti e io osservo tra l’ammirato e lo stupito la disinvoltura con cui molte ragazze indossano abiti succinti o scollature provocanti che lasciano poco spazio alla immaginazione. L’ammirazione è sincera: penso di non essere mai stata capace di indossare abiti “esagerati” anzi penso di non averne mai avuti; da un lato gli insegnamenti famigliari che vedevano in certe scollature e minigonne un attentato alla incolumità personale perché “non si sa mai chi si può incontrare” e dall’altro l’imbarazzo che mi impediva di essere me stessa le poche rare volte che indossavo abiti “troppo” appariscenti. Lo stupore è totale: se solo pensassi di uscire con una maglietta che non si infila nei pantaloni e con un collo meno alto di sette centimetri penso che mi verrebbe un attacco di tosse e annessa bronchite.
La scena è abbastanza frequente dicevo: una ragazzina piuttosto carina e vestita da ricovero ospedaliero di lì a due ore, parla con l’amica. L’amica appartiene a tutt’altro genere: di certo non una bellezza mozzafiato, di fatto abbruttita dal tentativo di nascondere dentro un involucro nero qualsiasi forma che la identificasse non dico come donna ma come essere umano. Insomma le due parlano e come era facile prevedere la super figa, chiamiamola così, racconta alla amica la sua uscita domenicale, la sua solita bevuta con gli amici, l’essere rincasata quasi ubriaca; dall’altra parte l’amica la redarguiva dicendole che se avesse continuato così, probabilmente sarebbe finita in un centro per alcolisti prima dei diciassette anni. La mia solidarietà andava alla amica sfigata, nostalgicamente più vicina a come ero io a sedici anni, ma questa è un’altra storia.
Insomma fin qui tutto nella norma: esagerare un po’ nel raccontare le proprie imprese eroiche per sembrare ancora più femme fatale è normale a quell’età, cercare di farlo poi su un vagone della metro dove la comunicazione non è riservata e dove tutti ascoltano più meno attentamente quello che dici è ancora più affascinante. Ti senti importante, ti senti ammirata e non hai ancora il doppio degli anni di chi ti ascolta e ride dentro di sé ripensando a quando aveva la tua età e a quante stupidaggini stai dicendo!
Poi il treno entra in stazione e il rumore è tale da interrompere il collegamento tra me e loro e quando il suono della conversazione raggiunge nuovamente le mie orecchie mi sono persa alcuni passaggi fondamentali, mi manca il legame tra il prima e un dopo che sembra così fuori luogo: “Se mai dovessi avere un figlio, non sarei come mia madre ma non so come mi comporterei!”. La ragazza figa stava ancora sparando cazzate!? Perché parlava di sua madre? Cosa centrava con il fatto che poco prima stava bevendo? Forse era l’amica che stava parlando?
Qualcosa non andava, la ragazza aveva detto qualcosa che poteva sembrare sensato e forse lo era davvero.
Scendo dal treno e mi incammino verso l’ufficio: sono cinque minuti a piedi, è ancora presto e non incontro nessuno che conosco.
“Non so come mi comporterei!”. Cercavo con superficialità e supponenza di catalogare la frase tra le tante “cazzate” che si dicono a quell’età per sembrare adulti, per apparire, per sfoggiare un io che ancora ha bisogno di contenuto e invece la ragazzina, forse inconsapevolmente, mi ha fatto riflettere.
“Come mi comporterei se fossi una madre?”
Ho pensato ai miei figli e alla madre che cerco di essere, alle tante volte in cui penso a come mi comporterei in situazioni che mi capita di osservare e la ragazzina aveva proprio ragione.
Non si comporterebbe come sua madre e non sa come si comporterebbe in circostanze analoghe perché non è sua madre e non ha davanti a lei un figlio suo. Perchè ogni rapporto tra madre e figlio è unico e speciale e solo il vissuto di entrambi, il carattere di ciascuno e l’amore che li lega rende le scelte altrettanto uniche e diverse momento dopo momento.
Devo ringraziare quella ragazzina sconosciuta che mi ha permesso di crescere un po’ di più.
La metro era più vuota del solito e mi sono fermata accanto a due ragazzine poco più che sedicenni.
La scena è abbastanza frequente: a quell’ora ci sono sempre molti studenti e io osservo tra l’ammirato e lo stupito la disinvoltura con cui molte ragazze indossano abiti succinti o scollature provocanti che lasciano poco spazio alla immaginazione. L’ammirazione è sincera: penso di non essere mai stata capace di indossare abiti “esagerati” anzi penso di non averne mai avuti; da un lato gli insegnamenti famigliari che vedevano in certe scollature e minigonne un attentato alla incolumità personale perché “non si sa mai chi si può incontrare” e dall’altro l’imbarazzo che mi impediva di essere me stessa le poche rare volte che indossavo abiti “troppo” appariscenti. Lo stupore è totale: se solo pensassi di uscire con una maglietta che non si infila nei pantaloni e con un collo meno alto di sette centimetri penso che mi verrebbe un attacco di tosse e annessa bronchite.
La scena è abbastanza frequente dicevo: una ragazzina piuttosto carina e vestita da ricovero ospedaliero di lì a due ore, parla con l’amica. L’amica appartiene a tutt’altro genere: di certo non una bellezza mozzafiato, di fatto abbruttita dal tentativo di nascondere dentro un involucro nero qualsiasi forma che la identificasse non dico come donna ma come essere umano. Insomma le due parlano e come era facile prevedere la super figa, chiamiamola così, racconta alla amica la sua uscita domenicale, la sua solita bevuta con gli amici, l’essere rincasata quasi ubriaca; dall’altra parte l’amica la redarguiva dicendole che se avesse continuato così, probabilmente sarebbe finita in un centro per alcolisti prima dei diciassette anni. La mia solidarietà andava alla amica sfigata, nostalgicamente più vicina a come ero io a sedici anni, ma questa è un’altra storia.
Insomma fin qui tutto nella norma: esagerare un po’ nel raccontare le proprie imprese eroiche per sembrare ancora più femme fatale è normale a quell’età, cercare di farlo poi su un vagone della metro dove la comunicazione non è riservata e dove tutti ascoltano più meno attentamente quello che dici è ancora più affascinante. Ti senti importante, ti senti ammirata e non hai ancora il doppio degli anni di chi ti ascolta e ride dentro di sé ripensando a quando aveva la tua età e a quante stupidaggini stai dicendo!
Poi il treno entra in stazione e il rumore è tale da interrompere il collegamento tra me e loro e quando il suono della conversazione raggiunge nuovamente le mie orecchie mi sono persa alcuni passaggi fondamentali, mi manca il legame tra il prima e un dopo che sembra così fuori luogo: “Se mai dovessi avere un figlio, non sarei come mia madre ma non so come mi comporterei!”. La ragazza figa stava ancora sparando cazzate!? Perché parlava di sua madre? Cosa centrava con il fatto che poco prima stava bevendo? Forse era l’amica che stava parlando?
Qualcosa non andava, la ragazza aveva detto qualcosa che poteva sembrare sensato e forse lo era davvero.
Scendo dal treno e mi incammino verso l’ufficio: sono cinque minuti a piedi, è ancora presto e non incontro nessuno che conosco.
“Non so come mi comporterei!”. Cercavo con superficialità e supponenza di catalogare la frase tra le tante “cazzate” che si dicono a quell’età per sembrare adulti, per apparire, per sfoggiare un io che ancora ha bisogno di contenuto e invece la ragazzina, forse inconsapevolmente, mi ha fatto riflettere.
“Come mi comporterei se fossi una madre?”
Ho pensato ai miei figli e alla madre che cerco di essere, alle tante volte in cui penso a come mi comporterei in situazioni che mi capita di osservare e la ragazzina aveva proprio ragione.
Non si comporterebbe come sua madre e non sa come si comporterebbe in circostanze analoghe perché non è sua madre e non ha davanti a lei un figlio suo. Perchè ogni rapporto tra madre e figlio è unico e speciale e solo il vissuto di entrambi, il carattere di ciascuno e l’amore che li lega rende le scelte altrettanto uniche e diverse momento dopo momento.
Devo ringraziare quella ragazzina sconosciuta che mi ha permesso di crescere un po’ di più.
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